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La corruzione è il muro su cui rischia di sbattere il Piano Mattei

La corruzione è il muro su cui rischia di sbattere il Piano Mattei

Perché questo articolo dovrebbe interessarti? L’Italia evoca il Piano Mattei per tornare protagonista nel Mediterraneo allargato. Ma gli ostacoli sono molteplici, a partire dalla corruzione e dall’instabilità politica dei Paesi coinvolti. 

Il Piano Mattei costituisce forse il più ambizioso progetto di politica estera del governo Meloni. È stato annunciato nel discorso di presentazione del programma alle Camere ed è stato più volte ripreso dallo stesso capo dell’esecutivo.

La scelta di evocare il fondatore dell’Eni Enrico Mattei, appare molto significativa. L’obiettivo del piano è duplice: trovare nuovi sbocchi energetici per l’Italia e ridare un ruolo centrale a Roma in alcune aree strategiche. Tra tutte, il medio oriente e i Balcani occidentali. Le recenti visite di Giorgia Meloni in Algeria e in Libia, così come la conferenza sui Balcani svolta a Trieste nelle scorse settimane, sembrano suggerire la fattibilità del piano. Non mancano tuttavia delle insidie. A partire dalla situazione interna ai Paesi coinvolti, sconvolti da anni di instabilità e corruzione.

La percezione della corruzione nel Magreb e nei Balcani

Nelle scorse settimane è stato pubblicato il report Corruption Perceptions Index da parte dell’organizzazione Transparency International. Si tratta di una dettagliata analisi sulla percezione della corruzione su scala globale. I dati vengono poi convogliati in una classifica, dove il punteggio è calcolato in centesimi. Più ci si avvicina a 100 e meno alto è il livello di corruzione in un determinato Paese.

La classifica non è stilata in base all’opinione dei cittadini intervistati. Vengono esaminati altri fattori, quali la gestione dei fondi pubblici, il numero di reati di abuso di ufficio, l’abilità dei governi nel contrastare la corruzione, eventuali conflitti di interesse. L’esame avviene tramite la raccolta di dati di tredici organizzazioni internazionali, tra cui la Banca Mondiale.

Nel 2022 a guidare la classifica è la Danimarca, con un punteggio di 90 su 100. L’Italia, per la cronaca, è al cinquantaseiesimo posto con un rank di 41. Ma questa classifica interessa il nostro Paese anche per un altro motivo. Nella lista ci sono i Paesi con cui Roma sta riavviando specifiche contrattazioni nell’ambito del Piano Mattei. E le notizie in tal senso sono tutt’altro che positive.

Sia nel Magreb che nei Balcani, la percezione della corruzione appare molto alta. Solo la Tunisia, con un punteggio di 44, sembra a livelli ottimali ma secondo Transparency International il Paese ha subito un netto peggioramento rispetto al 2021. L’Algeria ha un rank invece di 33/100, l’Egitto di 30, la Libia di 17. L’area magrebina è quindi una delle più esposte ai fenomeni di corruzione.

Va un po’ meglio nei Balcani, anche se i dati sono lontani dagli standard ottimali. La media regionale è di 38.6/100. In miglioramento appaiono le condizioni di Albania, Kosovo e Macedonia del Nord, le quali hanno rispettivamente un rank di 36, 41 e 40. Passi indietro invece per Serbia, Montenegro e Bosnia Erzegovina. Quest’ultimo è il Paese con il dato più basso dei Balcani. Sarajevo ha infatti cumulato un punteggio di 34/100.

L’instabilità dei Paesi dove l’Italia vuole tornare a investire

Corruzione a volte è sinonimo di instabilità politica. È il caso della Libia, Paese che dalla caduta di Gheddafi in poi, avvenuta nel 2011, non ha più trovato pace. A Tripoli non ci sono governi unitari e riconosciuti da tutti da almeno 12 anni. Questo pone un freno alle ambizioni di Roma. Nelle scorse settimane, Giorgia Meloni ha concluso un accordo da otto miliardi di Euro che coinvolge Eni e Noc. L’obiettivo è quello di sviluppare nuovi giacimenti e implementare la fornitura di gas verso l’Italia.

Ma con governi sorretti dalle milizie ed esposti alle costanti minacce delle fazioni rivali, ogni accordo a lungo termine è potenzialmente a rischio. Il discorso vale anche per quei Paesi dove non c’è guerra, ma dove l’insoddisfazione popolare potrebbe destabilizzare il quadro politico. L’Algeria ad esempio negli ultimi tre anni è stata attraversata dalle proteste del movimento Hirak, il quale ha portato alla fine dell’era di Bouteflika. In Tunisia la crisi economica sta riaccendendo focolari di tensione in diverse province.

Nei Balcani un forte elemento di instabilità è dato dalle mai del tutto sopite tensioni etniche e territoriali, nonché dai pochi risultati raggiunti dall’Unione Europea in tema nelle politiche di allargamento. Come nel caso dei rapporti, tutt’altro che pacifici, tra Serbia e Kosovo. “Ma le tensioni – ha dichiarato Francesco Trupia, ricercatore dell’IMSErt dell’università di Toruń – sono importanti anche all’interno del Montenegro, così come della Bosnia dove il leader dell’entità serba Milorad Dodik ha più volte espresso posizioni potenzialmente destabilizzanti”.

Le differenze tra gli anni di Mattei e quelli attuali

In definitiva, si può dire che il programma italiano può avere nella corruzione e nell’instabilità dei Paesi coinvolti il più grande ostacolo. “Storicamente – ha spiegato ancora Francesco Trupia – Enrico Mattei poteva contare su un Medio Oriente e Nord Africa unito dalla lotta anti-coloniale, ma con leadership più forti grazie alla presenza del progetto del socialismo panarabo. Oggi, invece, l’attuale Piano Mattei del governo italiano deve fronteggiare una regione assai più divisa e instabile dal punto di vista interno”.

In poche parole, il fondatore dell’Eni nel secolo scorso ha potuto lavorare su un terreno più solido sotto il profilo politico. Roma adesso invece è costretta a operare su un fronte instabile. Tanto nel Magreb, quanto nell’area balcanica. “Qualora la conferenza di Trieste fatta da Tajani e i rappresentanti dei Balcani Occidentali – ha continuato Trupia – avesse l’obiettivo di porre Roma come alternativa all’asse Franco-Tedesco, pur sempre dentro le logiche occidentali della NATO e dell’UE, l’Italia dovrà chiarire la sua posizione dinnanzi alle dinamiche politiche interne, in un contesto dove la corruzione potrebbe destabilizzare l’approccio economicista italiano nella regione”.