di redazione

Anemia falciforme o drepanocitosi, una patologia genetica rara che va ben oltre il danno ai globuli rossi e che presenta complicanze che riducono la funzionalità di organi vitali. Le crisi falcemiche associate a dolore (VOC), distintive della patologia, sono eventi gravi, imprevedibili e possono rappresentare delle vere emergenze sanitarie a causa della loro rapida evoluzione e alta mortalità. Ne soffre il 39% dei pazienti, con una media di oltre 5 eventi/anno.
È quanto emerge da “SWAY” (Sickle Cell World Assessment Survey), una indagine internazionale, sponsorizzata Novartis, su oltre 2 mila pazienti affetti da malattia a cellule falciformi, che ha coinvolto diversi Paesi tra cui l’Italia.
Le crisi vaso occlusive (VOC) e le relative complicanze acute però, rappresentano solo la punta visibile dell’iceberg: tra una crisi di dolore e l’altra il processo della vaso-occlusione continua ad avere luogo e produce effetti che causano danno vascolare, conducendo a un progressivo danno agli organi con riduzione della funzionalità. In assenza di trattamento adeguato, quindi, può esservi un impatto sull’aspettativa di vita dei pazienti che, anche nei paesi sviluppati, è inferiore di circa 20 anni rispetto alla popolazione generale.
A sottovalutare di più i rischi di questa patologia subdola, secondo l’analisi, sono i pazienti italiani. Nella penisola. stando ai dati attualmente disponibili e pubblicati, si contano circa 2.000-3.000 persone affette (di cui il 44% di origine caucasica) con la patologia interessa per la maggior parte cittadini italiani, nati e residenti da più generazioni.
Dei 55 intervistati ben la metà dichiara di non ritenere opportuno rivolgersi al medico o all’ospedale in caso di VOC poiché considera i trattamenti disponibili non risolutivi e decide di rimanere a casa aspettando che il dolore passi.
Il forte impatto negativo sulla qualità della vita dei malati emerge anche dall’indagine narrativa (in corso) realizzata dall’Area Sanità e Salute di ISTUD, con la collaborazione di Novartis Italia, secondo la quale i pazienti rappresentano la malattia come qualcosa di “grave e invalidante…sei giovane con un corpo di un vecchio… incapace di vivere una vita normale e lavorare come tutti con serenità”.
Questi temi sono al centro del ciclo di 4 incontri promossi da Inrete, con il contributo non condizionante di Novartis, che si apre oggi con i tavoli regionali di Emilia-Romagna e Veneto e che proseguirà con Sicilia e Lombardia.
A oggi l’unica arma risolutiva per combattere la malattia è il trapianto di cellule staminali o di midollo osseo. In alternativa, i pazienti ricorrono a trasfusioni di sangue o, per ridurre il numero di crisi, all’idrossiurea. La ricerca però non si ferma e sono in arrivo nuove strategie terapeutiche come spiega la Prof.ssa Lucia De Franceschi, Dipartimento di Medicina, Azienda ospedaliera universitaria di Verona e referente per Anemie Rare Eurobloodnet (Rete Europea malattie rare):
“In Europa è stato recentemente approvato un anticorpo monoclonale che agisce su un target specifico, la p-selectina che media la adesione cellulare, prevenendo e riducendo significativamente le crisi vasocclusive.
Vita la cui aspettativa oltre a ridursi implica dolore, deterioramento fisico e cognitivo con diminuzione di produttività lavorativa e scolastica in aggiunta a un numero maggiore di consumo di risorse sanitarie, ambulatoriali ed ospedaliere. Anche recarsi in ospedale, in particolare per i giovani pazienti, può rappresentare una sfida. Infatti, come commenta la Dottoressa Raffaella Colombatti, dell’Oncoematologia pediatrica dell’Università di Padova, “l’adolescente e il giovane adulto si recano meno volentieri in ospedale perché i percorsi di gestione delle urgenze della drepanocitosi sono meno conosciuti nel mondo degli adulti e non sempre il paziente trova dei medici esperti sulla sua malattia, per cui prova a rimanere a casa e gestirsi, finchè può. Un altro aspetto cruciale – prosegue Colombatti – è l’età della transizione: molti adolescenti devono imparare a gestire autonomamente la propria patologia e il passaggio dal mondo della pediatria al mondo dell’adulto non è semplice’.
Anche secondo Fabrizio Canonici e Michel Gyslene Nkongne – rispettivamente Presidente e Vice Presidente Associazione Malattia Drepanocitica – e Costanza Musci, Consigliere della Federazione Nazionale delle Associazioni UNITED Onlus- il ruolo del caregiver non è facile poiché “deve imparare a riconoscere i segnali che anticipano una crisi, soprattutto in un paziente adolescente, per cercare di diminuirne al massimo l’impatto e la sofferenza”. Sofferenza che, sempre secondo i rappresentanti delle due associazioni, “deve essere evitata con trattamenti che intervengano per prevenire le crisi, perché quando la crisi è passata hai già sofferto molto e quindi, aspettiamo con ansia farmaci che possano ridurre al minimo l’effetto delle crisi o che le possano prevenire”.