Home Future Quando il vip inguaia il brand: il caso Adidas-Kanye West

Quando il vip inguaia il brand: il caso Adidas-Kanye West

Quando il vip inguaia il brand: il caso Adidas-Kanye West

Conti in rosso ed interi magazzini pieni di sneaker invendute della linea Yeezy, che ora saranno messe sul mercato con l’obiettivo di dare il ricavato in beneficenza: si ritrova così Adidas, dopo la rottura del rapporto di collaborazione con Kanye West nell’ottobre 2022 a causa dei commenti antisemiti fatti dal rapper americano. ‘Ye’ è solo l’ultimo di una serie di vip licenziati dalle aziende da cui erano stati ingaggiati per il loro comportamento sopra le righe. Ma quella di silurare il testimonial non sempre si rivela la scelta vincente… 

Il caso Adidas-Kanye West

Partiamo da Adidas. Il primo trimestre del colosso di abbigliamento sportivo si è chiuso con 5,274 miliardi di ricavi, in calo dell’1% a causa della mancata vendita dei prodotti della linea Yeezy, ovvero quella firmata da Kanye West (anche se gli analisti si attendevano una flessione del 4%). Un freno di circa 400 milioni di euro rispetto al 2022, concentrato soprattutto in Nord America, Cina, Europa, Medio Oriente ed Africa. Sempre nel trimestre il risultato operativo di 60 milioni è crollato rispetto ai 437 milioni di euro del 2022 (ma è migliore dell’aspettativa di 15 milioni), con un margine operativo dell’1,1% (rispetto al precedente 8,2%) e una perdita netta di 24 milioni.

I magazzini dell’azienda sono pieni di scarpe, rimaste finora invendute, con il rischio a fine anno di un buco nelle entrate di 1,2 miliardi di euro. “La crescita delle vendite escludendo Yeezy è stata del 9%”, ha sottolineato il nuovo ceo Bjorn Gulden, sottolineando come i risultati siano stati comunque superiori rispetto alle attese. “Abbiamo solo bisogno di un po’ di tempo. Il 2023 sarà un anno di transizione per costruire una solida base per un 2024 migliore e un buon 2025 e oltre”. Gli investitori nutrono grandi speranze nei suoi confronti, tanto che il titolo ha guadagnato circa il 65% da novembre, quando l’ex CEO di Puma è stato lanciato come successore di Kasper Rorsted.

Non ci sono però soluzioni facili. Il valore delle scarpe Yeezy nel mercato della rivendita è aumentato vertiginosamente da quando l’azienda ha smesso di produrle, con alcuni modelli che sono più che raddoppiati di prezzo, ma il rischio di un ulteriore danno d’immagine è dietro l’angolo. Che farne? Bruciarle (per poi essere accusata di maxi-spreco)? Venderle senza marchio Ye? Donarle in beneficenza? Dopo lunghi mesi di incertezza, è stata presa proprio quest’ultima decisione. Gran parte del ricavato sarà destinato in particolare alle iniziative per combattere l’antisemitismo, come era stato chiesto da Holly Huffnagle, direttrice per la lotta all’antisemitismo presso l’ong American Jewish Committee. “Se queste scarpe saranno vendute e indossate dalle persone, dobbiamo assicurarci che il messaggio antisemita del loro creatore non si diffonda”, ha avvertito.

Anche l’Anti-Defamation League, organizzazione non governativa ebraica internazionale con sede a New York, ha detto a Reuters che “è pronta e preparata a lavorare con Adidas”, la quale a sua volta ha affermato di “essere al fianco della comunità ebraica nella lotta contro l’antisemitismo e di tutte le comunità del mondo che affrontano ingiustizie e discriminazioni”.  

Da Madonna a Sharon Stone: i precedenti

Come si sono comportate altre aziende di fronte a situazioni analoghe? La soluzione più diffusa è quella di prendere subito le distanze dal testimonial, cercando così di limitare il danno d’immagine e le perdite economiche. Per esempio, nel 1989 Pepsi scaricò Madonna a causa del nuovo singolo “Like a Prayer”, che l’azienda aveva inserito nel nuovo spot, senza però visionarlo prima. Certe scene, come il ballo di fronte alle croci che bruciano, furono considerate sacrileghe e suscitarono l’opposizione del Vaticano e dell’intero mondo cattolico.

Nel 2003 il campione dei Lakers Kobe Bryant fu arrestato con l’accusa di stupro: venne poi assolto, ma nel frattempo aveva perso lo storico appoggio di Adidas ed i contratti con Nutella e McDonald’s.

Due anni dopo Kate Moss fu licenziata da H&M, Chanel e Burberry, perché il Daily Mirror pubblicò una foto che la ritraeva mentre consumava cocaina, insieme all’allora compagno Pete Doherty.

Nel 2008 Christian Dior silurò Sharon Stone dopo le sue parole sul fortissimo sisma che aveva colpito la Cina. “Non sono stati gentili con il Dalai Lama, mio amico. E’ stato il karma? Quando non sei gentile, ti accadono cose spiacevoli?”, disse l’attrice, riferendosi alle repressioni in Tibet.

Contratti rescissi – in questo caso da parte di AT&T, Rosetta Stone e Kellogg’s – anche per il nuotatore olimpico Michael Phelps, fotografato nel 2009 mentre fumava marijuana. Subway, invece, cavalcò la notizia con una pubblicità in cui lo sportivo dichiarava “Be yourself”.

In anni più recenti controcorrente è andato invece Christian Dior nei confronti di Johnny Depp, dopo le accuse di abusi da parte della moglie, l’attrice Amber Heard. Mentre vari marchi, tra cui Disney e Warner Bros, hanno tagliato i rapporti con lui, il marchio d’alta moda francese, contrariamente alle scelte precedenti, ha voluto rimanere al fianco dell’attore, in attesa della conclusione del processo. Risultato? Dopo qualche contraccolpo iniziale, le richieste della fragranza Dior Sauvage nel 2022 sono aumentate esponenzialmente. Profumo di soldi.