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Ecoansia: gli effetti del cambiamento climatico sulla salute mentale

Ecoansia: gli effetti del cambiamento climatico sulla salute mentale

Perché questo articolo potrebbe interessarti? La crisi climatica ha conseguenze gravi anche sulla salute psicofisica. Oltre agli effetti acuti dei disastri ambientali, sul lungo termine gli studi hanno notato una correlazione con le malattie del cuore, neurodegenerative e infettive. Anche la salute mentale è a rischio, come dimostra il fenomeno dell’ecoansia (ma non solo).

La crisi climatica non è solo un’emergenza ambientale, ma anche sanitaria. Il riscaldamento globale e i cambiamenti del clima, infatti, impattano la nostra salute psicofisica su più livelli. Spesso in modo grave o letale. Secondo uno studio pubblicato su The Lancet Planetary Health, sono cinque milioni all’anno le morti causate dalle temperature anomale. Inoltre, si stima che tra il 2030 e il 2050 la crisi climatica provocherà 250mila vittime in più ogni anno. Anche la salute mentale risente dei cambiamenti ambientali. Eppure, solo in questi ultimi anni abbiamo iniziato a occuparcene mettendo a fuoco, ad esempio, il problema dell’ecoansia.

Gli effetti acuti e cronici dei disastri ambientali

In che modo la crisi climatica è anche una crisi sanitaria, dunque? Un primo esempio, il più immediato da riconoscere, sono le conseguenze dei disastri ambientali collegati alla crisi climatica. Sappiamo che le temperature stanno aumentando, così come il numero di giorni estivi eccezionalmente caldi e secchi. Siamo a conoscenza del fatto che la frequenza delle precipitazioni tende a diminuire, mentre cresce il numero di eventi metereologici estremi. Sappiamo che gli oceani si stanno acidificando, che le coste diventano più vulnerabili…

Tutto questo può portare a incendi, alluvioni, siccità, frane. Sono tutte catastrofi ambientali, direttamente o indirettamente collegate alla crisi climatica, che comportano degli effetti sulla salute acuti, ovvero morti e feriti, ma anche cronici. Stress, disturbo post traumatico e, in generale, il deterioramento del benessere psicofisico che consegue all’aver perso la casa, la famiglia, il lavoro, l’accesso a beni di prima necessità, eccetera. Per fare solo un esempio tra tanti, nelle alluvioni che hanno colpito il Bangladesh nel maggio 2022 sono morte circa 300 persone, mentre in milioni sono rimasti sfollati o con urgente bisogno di cibo e medicine.

Ondate di caldo: gli effetti negativi sulla salute

Ma non si tratta solo di questo. Un disastro ambientale fa notizia ma, almeno finché non ci tocca in prima persona, tendiamo a percepirlo come un tragico e sfortunato evento accidentale, distante dalla nostra quotidianità. Invece, la crisi climatica impatta la salute psicofisica di tutti in modo più pervasivo e costante. Riferendosi all’aumento delle temperature globali e al caldo estremo che stava colpendo l’Europa in quei mesi, nell’estate 2022 il direttore dell’OMS Europa Hans Henri P. Kluge aveva dichiarato: “Il cambiamento climatico non è una novità. Ma le sue conseguenze si fanno più evidenti stagione dopo stagione, anno dopo anno, con esiti disastrosi. Il caldo uccide. Negli scorsi decenni, centinaia di migliaia di persone sono morte per le temperature estreme nel corso di ondate di calore estese, spesso accompagnate da incendi. Quest’anno abbiamo già avuto oltre 1700 morti per l’attuale ondata di calore, solo considerando Spagna e Portogallo”.

Aumentano le malattie infettive

Altre volte l’impatto della crisi climatica sulla salute umana è più sfumato perché, sommandosi ad altre cause o fattori di rischio, va ad aggravare una malattia preesistente oppure ne favorisce la comparsa. Uno studio recente ha preso in esame 364 ricerche condotte tra il 1990 e il 2022 e ha analizzato l’impatto dell’inquinamento e del cambiamento climatico sull’incidenza di alcune malattie e sulla salute neurologica. È emerso che le variazioni di temperature e gli eventi metereologici estremi sono associati alla frequenza e alla gravità degli ictus, all’emicrania, alla riacutizzazione dei casi di sclerosi multipla e ai ricoveri dei pazienti con demenza. Anche l’esposizione agli inquinanti con meno di 2,5 micron di diametro è stata collegata al rischio di ictus, emicranie, demenza e al peggioramento della sclerosi multipla, oltre che al morbo di Parkinson.

Un altro effetto evidenziato dallo studio è la maggiore diffusione di zoonosi, cioè quelle malattie trasmesse indirettamente o direttamente dagli animali. “Stanno aumentando i casi di malattie trasmesse da vettori, come la malattia di Lyme, la malaria, la febbre dengue, la peste e il virus Zika. L’incidenza di malattie vettoriali potrà aumentare perché il nostro territorio sarà sempre più caratterizzato dalla presenza di pozze d’acqua stagnante causate dal ripetersi di inondazioni, che rappresenteranno dei perfetti ecosistemi artificiali per la riproduzione e la rapida crescita di milioni di zanzare”, scrive lo psichiatra e psicoterapeuta Matteo Innocenti nel libro Ecoansia – I cambiamenti climatici tra attivismo e paura (Erickson)

Gli effetti della crisi climatica sulla salute mentale

Il cambiamento climatico però, come accennato, non intacca solo la salute fisica, ma anche quella mentale. Si tratta di un collegamento che è ancora oggetto di studio e che ha iniziato a essere approfondito solo pochi anni fa. Come spiega Matteo Innocenti, che è anche fondatore dell’Associazione Italiana Ansia da Cambiamento Climatico, l’impatto sulla psiche può essere diretto o indiretto. La crisi climatica ha infatti tra le sue potenziali conseguenze violenze, conflitti, perdita della casa o dei mezzi di sussistenza, migrazioni forzate, aumento delle disuguaglianze… Tutto questo ha, appunto, un impatto diretto sulla salute mentale: stress e disturbi correlati, difficoltà relazionali, ansia, depressione, paura, dolore, pensieri suicidari, dipendenze.

“Se in terapia arriva un migrante che dice di provare tristezza, devo considerare che questo può essere dovuto al fatto che ha perso la sua terra e le sue origini, che non mangia più quello che mangiava prima, che è in un contesto diverso”, racconta Innocenti. “Tutto questo può essere un effetto del cambiamento climatico: le proiezioni ci dicono che entro il 2050 ci saranno un miliardo di persone migranti a causa dell’innalzamento dei mari e di altre problematiche ambientali”.

La crisi climatica ha anche degli effetti indiretti sulla salute mentale, ovvero può provocare le cosiddette emozioni ambientali. La più nota è probabilmente l’ecoansia, ovvero l’ansia per le catastrofi ambientali. Ma in questi ultimi anni sono state individuate e proposte anche altre emozioni ambientali “negative”. Solastalgia, la nostalgia per la casa-natura; ecoparalisi, il blocco dei comportamenti a favore dell’ambiente; dolore ecologico, il senso di lutto conseguente alla consapevolezza che stiamo perdendo natura e biodiversità; terrafurie, ovvero la rabbia nei confronti delle istituzioni che non agiscono per frenare la crisi climatica. “Le emozioni ambientali non sono patologie ma, appunto, emozioni: un mix fra stati esistenziali e stati emotivi”, prosegue Innocenti. “Prendiamo ad esempio l’ecoansia. Si tratta di un’ansia specifica per il cambiamento climatico che è costante e permanente. È quindi un possibile stato esistenziale, che però aumenta in risposta a certe notizie o eventi”.

Come affrontare e gestire l’ecoansia

Di fronte all’ecoansia, una possibile reazione è la chiusura. Prima di tutto perché l’eccessiva paura porta comunemente alla paralisi (ecoparalisi, in questo caso). In secondo luogo, perché psicologicamente è difficile tollerare la coesistenza di due stati opposti: la preoccupazione della crisi climatica da una parte, il non riuscire o non potere fare niente a riguardo dall’altra. “Quando riceviamo una notizia, sviluppiamo consapevolezza riguardo a essa e poi una risposta emotiva”, chiarisce Innocenti.

“Viviamo però in un’epoca poli-traumatica, inoltre il nostro cervello è ‘programmato’ per l’autoconservazione e talvolta reagisce proteggendoci. Per questo di fronte a un’emozione sgradevole come l’ecoansia ci sono due opzioni: o si risponde con l’azione, quindi adottando comportamenti pro-ambientali; o con il rifiuto, che è appunto una strategia protettiva. Questo rifiuto può manifestarsi con il fatalismo («Doveva andare così») o il negazionismo. Il negazionismo di fatto è una risposta psicologica e i negazionisti dovrebbero essere aiutati, perché non hanno le strategie cognitive e la capacità emotiva di accettare un certo tipo di brutte notizie”.

Come gestire l’ecoansia e le emozioni ambientali negative, dunque? Secondo Innocenti ci sono tre cose da fare. La prima, l’abbiamo già accennato, è adottare comportamenti pro-ambientali: dedicarsi all’attivismo, fare la raccolta differenziata, ridurre il consumo di carne, eccetera. “Poi bisogna fare rete: parlare con persone che provano lo stesso tipo di dolore non ci fa sentire soli. Infine, bisogna riconnettersi con la natura, che ha proprietà benefiche e ci aiuta a stare nel presente”.