Home Economy Più di 7mila bar, hotel e discoteche chiusi. Il conto della pandemia al leisure

Più di 7mila bar, hotel e discoteche chiusi. Il conto della pandemia al leisure

Più di 7mila bar, hotel e discoteche chiusi. Il conto della pandemia al leisure

Sette mila esercizi in meno. La crisi dettata dalla pandemi ha presentato il conto a due anni di distanza. Tra iscrizioni e cancellazioni, sono oltre 7mila le aziende del tempo libero “sparite” dai registri delle Camere di commercio nel solo 2021. Nello specifico si tratta di 7.049 bar, 532 alberghi e 111 discoteche in meno rispetto all’inizio del 2020, mentre ristoranti e palestre resistono e cercano di invertire la rotta.

La pandemia e gli aiuti

La panoramica, riportata dal Sole 24 Ore, sui principali settori del tempo libero è frutto dei dati di Infocamere aggiornati a marzo 2022. Il trend delle imprese registrate negli ultimi cinque anni mostra come la pandemia si è abbattuta soprattutto su queste 384mila attività, che impiegano 1,4 milioni di addetti.

E a frenare le cadute non sono bastati gli aiuti dello Stato, a partire dai contributi a fondo perduto. Dal decreto Rilancio del 2020 al decreto Sostegni-bis del 2021, in due anni il Fisco ha erogato indennizzi per quasi 25 miliardi: circa un quinto dei quali, 5 miliardi, è andato proprio a chi opera in questi comparti.

I contributi sono spesso caduti a pioggia su tutte le partite Iva, con scarsa efficacia. Ma a volte hanno agito selettivamente: si pensi ai bar e ristoranti indennizzati per le chiusure del Natale 2020; o agli aiuti rifinanziati dal decreto Sostegni-ter, e ancora attivi, dedicati a discoteche e aziende dell’Horeca (hotellerie-restaurant-catering).

Hotel tra chiusure e costi

Negli ultimi due anni le strutture ricettive hanno incassato 181,6 milioni di euro di contributi a fondo perduto. Nello stesso periodo il Registro imprese ha “perso” 532 alberghi. Intervistato da Il Sole 24Ore, il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca ha commentato: “Sono dati che non ci sorprendono dopo due anni di blocco delle macchine.

“Il tax credit del 60% sui canoni di locazione ha aiutato – prosegue Bocca – ma il restante 40% ha continuato a pesare. Nel frattempo alcune rate Imu sono state sospese, ma altre sono state pagate”. Federalberghi ricorda poi come dal 1° gennaio 2022 sono state interrotte le moratorie sui mutui bancari. “Ci sono costi che continuano a correre, legati agli impianti e alla manutenzione. Anche se dai 100mila euro per albergo, le risorse non bastano, quando la perdita totale del comparto è di circa 15 miliardi in un anno“.

Bar penalizzati, ristoranti meno

A bar, ristoranti e discoteche sono invece stati destinati finora 3 miliardi di euro di ristori, per provare a far fronte ai 78 giorni di chiusure durante il primo lockdown, a cui si è aggiunta la serrata da novembre 2020 a maggio 2021.

A subire la crisi più profonda sono stati i bar, anche se dietro i numeri delle attività “perse” si nascondono diversi fenomeni, non solo il Covid. “I bar erano già in difficoltà prima della pandemia, in particolare nei centri storici”, afferma Luciano Sbraga, direttore del centro studi della Federazione italiana dei pubblici esercizi (Fipe). Ricordando che il settore, tra bar e ristoranti, ha sempre avuto un alto tasso di mortalità delle imprese, pari al 55-60% a 5 anni dall’avvio. Il saldo finale, oggi, viene aggravato dalla crisi.

Non solo Covid

Tra il 2020 e il 2021 sono state chiuse 45mila attività e nel frattempo le nuove iscrizioni, soprattutto di bar, sono crollate. “Rispetto ai ristoranti – dice Sbraga – lavorare in un bar è meno attrattivo e più faticoso a causa degli orari e della continuità di presenza fisica richiesta. E resta molto sensibile alla domanda turistica e agli spostamenti casa-lavoro, drasticamente ridotti con lo smart working“.

Il trend dei bar (-7.049 imprese rispetto a marzo 2020) è in netta controtendenza rispetto a quello dei ristoranti (+9.073). La spiegazione sta anche nei limiti delle classificazioni camerali. “Il confine tra bar, per definizione senza cucina, e ristorante è sempre più labile. Si va verso attività più complesse, capaci di diversificare i servizi“, osserva ancora Sbraga, sottolineando come le nuove attività preferiscano registrarsi nella categoria dei ristoranti: il “vestito” del bar sembra diventato troppo stretto.

Il valzer delle discoteche

A chiudere i battenti sono state anche 3.500 discoteche negli ultimi due anni, con un saldo finale di 111 piste da ballo “perse” rispetto al periodo pre-Covid. “Si tratta di attività meno elastiche, più complesse, che già soffrivano le limitazioni imposte negli ultimi anni su orari e consumi di alcolici. Chiudere a lungo – nota il direttore del centro studi Fipe – può diventare insostenibile”.