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Più pannoloni che pannolini: l’Italia verso lo stesso destino del Giappone

Più pannoloni che pannolini: l’Italia verso lo stesso destino del Giappone

Perché leggere questo articolo? Da pannolini per bambini a pannoloni per anziani, così la denatalità piega il Giappone e il suo mercato. Secondo l’ex presidente Istat Giancarlo Blangiardo, interpellato da true-news.it, l’Italia avrà lo stesso futuro se non si interverrà in modo adeguato. L’intervista.

L’Italia, un paese di vecchi. Ma non è solo. Il primato geriatrico spetta al Giappone che ha visto superare la produzione di pannoloni per anziani rispetto a quella di pannolini per bambini. La causa? L’inarrestabile denatalità che affligge da anni il Paese del Sol Levante. Tanto da arrivare a piegarne e modificarne il mercato: tante le aziende nipponiche, come il colosso Oji Holdings, che hanno convertito la propria produzione dai prodotti per l’infanzia a quelli per la popolazione più anziana. Ma il cambiamento del mercato giapponese dei pannolini è solo uno dei tanti riflessi di una crisi demografica globale in corso.

Denatalità, l’Italia come il Giappone

Un problema scottante, quello della denatalità e del progressivo invecchiamento demografico, che interessa molto da vicino anche il nostro Paese. L’Italia infatti segue il Giappone per popolazione più anziana del mondo, col tasso di nascite ai minimi storici. Sempre più vecchi e sempre meno bambini. È la fotografia che accomuna i due Paesi, dove la quota di over 65 rappresenta quasi il 30% della popolazione totale e dove gli ultraottantenni sono in continuo aumento. Una tendenza diametralmente opposta riguarda invece i neonati: nel 2023, in Giappone sono stati 758.631, il numero più basso mai registrato dal diciannovesimo secolo. E anche l’Italia, con appena 379mila bambini venuti al mondo, ha segnato l’ennesimo minimo storico di natalità. Sono dati allarmanti che inevitabilmente comportano l’accentuarsi di disparità demografiche, con conseguenze impattanti sul mercato e l’economia a livello globale.

Per il primo ministro Fumio Kishida, il Giappone si trova nel mezzo di una “crisi esistenziale” che minaccia la sopravvivenza dell’intera nazione. Il passaggio da pannolini a pannoloni ne è solo una delle tante manifestazioni. Ma l’Italia condividerà le stesse sorti del paese nipponico? True-news.it ha analizzato l’attuale situazione e i possibili scenari futuri insieme a Gian Carlo Blangiardo, ex presidente Istat. Secondo il quale il Belpaese “non è ancora ai livelli del Giappone, ma ha intrapreso il suo stesso percorso. C’è ancora molta strada da fare per invertire i trend della denatalità e incamminarsi nella giusta direzione”.

La denatalità piega il Giappone e il suo mercato. Sarà questo il futuro anche dell’Italia?

Il percorso è quello. Il nostro Paese continua a registrare un progressivo aumento della componente anziana e di quella che definirei come vecchia. In questa situazione quindi la domanda di beni e servizi, pannolini e pannoloni compresi, non può non risentirne. L’Italia non è ancora ai livelli del Giappone, ma si sta muovendo nella stessa direzione.

Italia come il Giappone dunque. Ma dopo questo inverno demografico non è prevista alcuna primavera?

Dipende. Siamo in grado di definire solo ciò che accade al momento e le tendenze che ne derivano. Il futuro, però, è scritto anche dalle scelte e dai comportamenti attuali, perciò occorre urgentemente consapevolezza generale sull’importanza di risolvere questo preoccupante calo delle nascite. Lo Stato dovrebbe attivare una regia di soggetti istituzionali che si prendano cura del problema. Nell’ottica di un impegno comune per affrontare tutte le difficoltà che non tanto impediscono di diventare genitori, ma fanno sì che questo avvenga in maniera sempre più ritardata. E qualche volta, alla fine, il ritardo diventa rinuncia. È dunque necessario contrastare questa tendenza trovando le giuste leve in grado di dare una spinta concreta per la ripresa. Altrimenti la denatalità sarà inarrestabile.

Questa inarrestabile denatalità quindi come impatta sulle nostre vite?

Ovviamente impatta sul flusso d‘ingresso di giovani: il ricambio generazionale è evidentemente rallentato. Si attiva dunque un processo di diminuzione della popolazione. Gli attuali 59 milioni di abitanti potrebbero diminuire sensibilmente nell’arco di qualche decennio. C’è poi il discorso dell’invecchiamento: la popolazione continuerà ad essere sempre più anziana. Non è un fatto grave ma impone un’inevitabile ridefinizione degli equilibri, sollevando una serie di problematiche economiche, sociali e sanitarie. Innanzitutto la questione del sistema previdenziale e la difficoltà di avere forza lavoro in grado di mantenere il flusso di uscita che deriva dal sistema pensionistico. Un altro elemento ancora più delicato è quello della sanità. L’aumento della componente anziana infatti comporterà una domanda di assistenza sanitaria particolarmente intensa. Inoltre, anche la capacità di produrre PIL e di mantenere elevati i consumi risentirà inevitabilmente del cambiamento demografico e perciò si dovrà intervenire correttamente.

Quali sono le principali cause di questo crollo demografico?

La grande causa è lo squilibrio tra morti e nati, che determina la diminuzione della popolazione impattando anche sull’invecchiamento. Oggi infatti il numero dei morti è largamente superiore a quello dei nati per centinaia di migliaia di unità. O c’è un’immigrazione netta che compensa questo sbilancio o inevitabilmente la popolazione diminuisce. Dal 2014 in poi, ogni anno la popolazione italiana è diminuita sempre di più proprio perché il gap tra morti e nati non veniva compensato da un’adeguata presenza netta di immigrazione. Che però deve essere ovviamente governata e regolata. Inoltre, tra le cause c’è anche una questione culturale. Legata alla struttura della popolazione. Non solo si hanno meno mamme in età riproduttiva, ma i figli costano, impegnano, hanno bisogno di cura, rendono difficile la conciliazione tra la carriera e il lavoro. Sembra che persista una generale visione culturale di una società che non gratifica chi osa fare più figli, in quanto ancora relegata al principio “se li volete sono fatti vostri”, senza però rendersi conto che in realtà è una questione che riguarda tutti.

In Giappone, finora, non sono serviti a nulla gli sforzi del governo contro la denatalità. Cosa ne pensa invece delle attuali politiche adottate in Italia per affrontare tale problema? Secondo lei sono efficaci?

Rispetto ad alcuni decenni fa, quando il problema iniziava ad esserci ma nessuno se ne occupava, oggi si fa di più. Da parte della politica c’è una maggiore attenzione, anche perché la situazione si è aggravata. Non a caso abbiamo anche un Ministero che inserisce la parola “natalità” nella sua etichetta. È stato anche attivato l’assegno unico universale, e questo termine “universale” è importante perché indica che finalmente si è riconosciuto che il problema riguarda l’intero Paese. C’è bisogno di una politica seria sulla natalità, che agisca non solo sui poveri ma che incida di più sulla numerosa componente del ceto medio. Oggi si fa di più rispetto al passato, ma non basta.

Cosa si dovrebbe fare per migliorare?

Potrebbero esserci maggiori interventi di natura economica a sostegno delle famiglie. Oltre ad una maggiore collaborazione col Terzo settore, considerando che anche le imprese possono attivare welfare aziendale in questa direzione. C’è ancora molto da fare dunque, ma è confortante l’idea che ci siamo abbastanza incamminati nella direzione giusta.

Il cambiamento del mercato giapponese dei pannolini è solo uno dei tanti riflessi di una crisi demografica globale in corso. Che influenza, piega e modifica il settore industriale. Come deve reagire quello italiano alla diminuzione delle nascite e all’aumento della popolazione anziana?

Il settore industriale e l’economia in generale si troveranno di fronte ad una minore presenza di forza lavoro. Una mancanza che si potrebbe compensare in vari modi, ad esempio ricorrendo all’immigrazione. Che, tuttavia, non può essere la soluzione perché richiederebbe numeri difficilmente gestibili dal punto di vista dell’integrazione. Altro discorso è quello relativo al miglioramento della produttività, che però richiede di compensare la quantità con la qualità. Quest’ultima significa capacità di fare una formazione funzionale ad una maggiore produzione. Un obiettivo raggiungibile anche grazie alle nuove tecnologie. L’informatizzazione e l’intelligenza artificiale sono tutti processi in atto dai quali deriverà un risparmio di forza lavoro e anche un suo più efficace utilizzo. Il sistema produttivo industriale dovrà quindi attivarsi con capacità imprenditoriale per valorizzare questi cambiamenti tecnologici. E far sì che da essi non ne derivi un impatto negativo sulla demografia e sulla capacità di mantenere alti i livelli di prodotto e conseguentemente quelli della qualità della vita.