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Il Patto di Stabilità rischia di farci tornare ad una disastrosa austerità

Superbonus, Meloni

Perché leggere questo articolo: Il Patto di Stabilità può tornare. E assieme ad esso le leggi del rigore. Vediamo perché per l’Italia può essere un disastro

Il Patto di Stabilità bussa alla nostra porta e dopo tante grida di “al lupo, al lupo!”, il lupo dell’Europa matrigna sembra essere pronto a arrivare davvero Dimenticate la manovra 2024, i dibattiti su salario minimo e cuneo fiscale, la partita su spese dell’Italia come gli aiuti all’Ucraina e tutto il resto. La madre di tutte le battaglie per Roma è una e sta venendo persa non perché “mancò la fortuna, non il valore”, stile El Alamein, ma per indifferenza europea: si sta arrivando alla fine dell’anno e senza riforma il Patto di Stabilità, ovvero la summa delle “regole europee” su deficit e debito tornerà nella sua versione applicata fino al 2019.

Il canovaccio è noto: controlli serrati sui bilanci, tetti al deficit, controlli delle spese. E l’Italia si troverebbe in mezzo a due fuochi. Da un lato, un debito-monstre destinato a restare a lungo sopra il 140% del Pil e creato anche grazie all’ondata di bonus, edilizi e non, alimentati da un allentamento delle regole iniziato con la pandemia. Dall’altro, il ritorno di regole antistoriche che invitano un feroce ridimensionamento del debito. E dunque l’ipoteca su qualsiasi politica economica. Ma per capire la minaccia che incombe sull’Italia, facciamo un passo indietro e capiamo cos’è il Patto di Stabilità

Il Patto di Stabilità e le sue dinamiche

Le tanto discusse “regole” sono la messa nero su bianco dei requisiti che la nascitura Unione Europea nel 1993 richiese ai Paesi firmatari di Maastricht per poter avviare il percorso che avrebbe portato alla nascita dell’euro. Tramite la stipulazione del Patto di Stabilità e Crescita (Sgp) nel 1997 i paesi membri dell’Unione europea resero quei parametri la regola aurea per la gestione delle politiche macroeconomiche.

Soprattutto, affidarono alla Commissione Europea di Bruxelles la supervisione sulle politiche di bilancio pubbliche che dovevano essere basati su tre capisaldi:

  • mantenere un deficit pubblico inferiore al 3% del Pil in ogni esercizio finanziario nazionale
  • Non sfondare la soglia del 60% nel rapporto debito/Pil.
  • Impegnarsi a tagliare di un ventesimo del totale del debito la soglia eccedente il 60% del rapporto debito/Pil ogni anno fino al raggiungimento della condizione di parità.

Significativo come spesso negli anni dell’egemonia del rigore la “Stabilità” abbia assorbito la “Crescita” come cuore del Patto. Lo scoppio  della crisi dei debiti sovrani e la sostanziale subordinazione della politica fiscale degli Stati alle regole europee ha di fatto reso l’austerità “guardiana” del rispetto del Patto l’ideologia economica europea, sulla scia del trionfo una narrazione organica all’ideologia rigorista tedesca.

Con il Covid-19 è parso necessario sospendere le regole del Patto. Mettendo finalmente la crescita economica sopra la stabilità fiscale. Sospeso per permettere all’Europa di affrontare lo tsunami pandemico nel marzo 2020, il Patto è stato mantenuto in stand-by anche nel 2022 e nel 2023 per permettere agli Stati di rispondere alla bomba dei costi energetici con sussidi pubblici e lotta al caro-bollette.

Il Patto e la guerra d’Europa

Cosa succede ora? Che la Commissione di Ursula von der Leyen prevede il ritorno del Patto di Stabilità in vigore nel 2024. Ma ne ha proposto una sostanziale modifica. Mossa dalle buone intenzioni del Commissario degli Affari Economici Paolo Gentiloni di accontentare sia rigoristi che fautori di minor austerità, la riforma ha corso il rischio di scontentare tutti.

Nella proposta della Commissione viene concesso ai Paesi dell’Ue viene concesso da un lato più tempo ai Paesi ad alto indebitamento più tempo per ridurre la loro esposizione, facendo venire meno gli automatismi sulle procedure d’infrazione che potevano cassare eventuali manovre economiche. Ma al contempo è imposto di tagliare dello 0,5% del Pil annuo il livello delle passività pubbliche. Con parallelo obbligo agli Stati di presentare un sentiero comune verso la riduzione del debito al 60% del Pil. Tutto questo con un recepimento della lezione pandemica tramite l’aumento degli spazi di manovra riguardanti gli investimenti strategici contro calamità e crisi improvvise, come guerre, pandemie, shock energetici.

Come l’asino di Buridano, questa proposta è in quella posizione intermedia che crea difficoltà. I falchi la censurano: vogliono il ritorno del rigore e meno spazi agli investimenti. I Paesi come Italia, Francia e Spagna sono tentati di coglierne il lato positivo, ma temono un’ulteriore prescrizione: il fatto che sarà il Consiglio, e non la Commissione, ad approvare eventuali piani di risanamento del bilancio di un Paese in crisi. Dunque gli altri Stati dell’Ue: pensate cosa può succedere se a decidere dei deficit di Roma e Madrid fosse una nazione come l’Olanda o la stessa Germania.

Le ambiguità che fanno male

In quest’ottica, dunque, gli scenari sono complessi. L’Europa deve ritornare ad applicare regole cogliendo le lezioni del passato. Le “colombe” si trovano in una situazione fragile. Si sono indebitate più di tutti, anche perché colpiti duramente dalla pandemia, dagli shock energetici o (caso italiano) da entrambi. I Paesi frugali hanno più spazio per gestire i propri margini di bilancio e invece avrebbero un vantaggio competitivo da un ritorno del rigore.

Tra Paesi del Sud che spingono per regole meno ferree ma temono di gettarsi nell’acqua gelida di una nuova censura di bilancio e Paesi del Nord che fanno melina, puntando nella migliore delle condizioni a spuntare il ritorno del vecchio Patto di Stabilità, dal 2024 per Paesi come l’Italia possono essere dolori. Pensate cosa potrebbe succedere in termini di blocco sugli investimenti, spread e politiche di risanamento se ogni manovra economica dovesse passare al vaglio dei censori di Bruxelles come succedeva prima della pandemia. Il braccio di ferro tra il governo M5S-Lega e la Commissione Juncker nel 2018 sarebbe, al confronto, una passeggiata di piacere. Giorgia Meloni e il suo governo devono lanciarsi in uno sforzo collettivo per evitare il disastro. Giocando di sponda con Gentiloni e la presidenza spagnola dell’Ue. Dunque con la poco amata sinistra. Ma non esistono bandiere: creare un fronte anti-austerità e incassare una riforma positiva è vitale per la nostra sopravvivenza economica. Può evitare che torni, una volta per tutte, il lupo del rigore.