Home Economy Eurostat: Italia ultima in Europa sulle retribuzioni orarie. Ma ci sono altri dati da guardare

Eurostat: Italia ultima in Europa sulle retribuzioni orarie. Ma ci sono altri dati da guardare

Eurostat - Salari

Perché leggere questo articolo? Ennesima indagine Eurostat che posizione l’Italia come fanalino di coda in Europa. Questa volta riguarda le retribuzioni orarie. Italia unica in Europa con dati negativi. Ma in realtà ci sono anche altri dati da guardare che sono un po’ più rassicuranti per l’Italia.

Stipendi sempre più bassi in Italia. Questo è quello che emerge da un’indagine Eurostat pubblicata in data 20 marzo. Da quello che risulta infatti, l’Italia è l’unico Paese europeo in cui le retribuzioni orarie sono in calo. Dati molto più rassicuranti negli altri paesi. Media del 4% in positivo per gli altri paesi, che lascia l’Italia con un secco -0,1%.

Eurostat: I dati sulle retribuzioni orarie in Europa

Nel quarto trimestre del 2023 rispetto allo stesso trimestre del 2022, gli aumenti più elevati dei costi salariali orari per l’intera economia sono stati registrati in Romania (+16,9%), Ungheria (+16,3%), Croazia (+16,0%) , Polonia (+13,1%) e Slovenia (+12,5%). Ci sono altri quattro Stati membri dell’Ue che hanno registrato un aumento superiore al 10%. Bulgaria (+11,9%), Lituania (+11,2%), Lettonia (+11,1%) ed Estonia (+10,9%). Tutti Paesi con dati molto positivi. La maggior parte degli Stati membri, nonostante non arrivino al 10%, si fermano ad un tranquillizzante +4%. Gli unici Stati con valori sotto al 4% sono Finlandia (+3,8%), Francia (2,7%), Malta (2,6%), Irlanda (2,5%), Germania (2,2%) e Danimarca (1,9%).

Come viene svolta l’indagine Eurostat

Ennesima indagine che lascia l’Italia come fanalino di coda, in questo caso addirittura come unica nazione europea con dati in negativo. Ma come è svolta questa indagine Eurostat? E quali sono i valori presi in studio dall’Ufficio statistico dell’Unione Europea?

L’indagine ha preso come riferimento due fattori: i costi salariali (WAG – Wage and salary costs) e i costi del lavoro diversi da salari e stipendi (OTH – Non-wage costs). I WAG comprendono remunerazioni dirette, bonus e indennità pagate da un datore di lavoro in contanti o in altra forma a un dipendente in cambio del lavoro svolto, pagamenti a piani di risparmio dei dipendenti, pagamenti per giorni non lavorati e remunerazioni come cibo, bevande, carburante e auto aziendali. Invece gli OTH comprendono i contributi sociali a carico dei datori di lavoro più le imposte sul lavoro considerate come costi del lavoro meno i sussidi destinati a rimborsare parte o l’intero costo della retribuzione diretta a carico del datore di lavoro.

Non solo dati negativi per l’Italia

Dati sicuramente non positivi per l’Italia. Ma ci sono anche altri fattori che bisogna considerare. Negli ultimi mesi infatti, il numero degli occupati e dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato è aumentato raggiungendo il valore massimo degli ultimi anni. Gli orari di lavoro effettivamente lavorate nel 2023 sono state di molto superiori sia rispetto ai dati del 2007-2008 ma anche rispetto a valori più recenti, quelli risalenti al 2019. Un problema sarebbe quello riguardante i cassaintegrati per un periodo inferiore ai 3 mesi che effettivamente sono considerati occupati, ma il dato è rassicurante anche sotto questo aspetto. I lavoratori in cassa integrazione nel 2023 rispetto al 2022 sono in calo.

La causa della bassa retribuzione in Italia

I salari bassi dell’Italia per quanto riguarda il lavoro dipendente possono essere imputabili a diversi fenomeni. In primis la questione delle poche ore lavorate causate dall’elevato numero di contratti part-time. Da non dimenticare pure la questione delle discontinuità dovuti dai lavori a termine, come quelli stagionali. In ultimo, con riferimento ai lavoratori full-time, la mancanza di posizioni alte con salari che superano i 40 mila euro. Questi sono i problemi che dovrebbero essere affrontati e che portano l’Italia ad essere il fanalino di coda in Europa. Per il resto, con riferimento ai contratti full time, i dati italiani sono in linea con quelli europei.