Home Economy Crollo dei Big Tech, Cirdan Capital: “La bolla è esplosa, è finita la favola”

Crollo dei Big Tech, Cirdan Capital: “La bolla è esplosa, è finita la favola”

Crollo dei Big Tech, Cirdan Capital: “La bolla è esplosa, è finita la favola”

Tutto è iniziato a febbraio con lo “storico” crollo in borsa di Meta, che ha provocato una violenta caduta delle quotazioni delle altre Big Tech. Microsoft, Google, Apple e Amazon e in questi ultimi giorni Snap, i titoli tecnologi americani sono in picchiata. Eppure parliamo di aziende strutturate che presentato risultati sopra le aspettative e continuano a macinare utili miliardari. Cosa sta accadendo ai titoli Big Tech? Antonio De Negri, Founder e CEO di Cirdan Capital, analizza questo scivolone tecnologico in borsa.

Dottor De Negri, perché le borse sono in picchiata?
Questa settimana sembra essersi interrotta una trafila negativa che durava da sette settimane. Ha rischiato di rappresentare un record: nella storia era successo solo tre volte. In questi giorni viviamo un rimbalzo che sembra dare respiro, ma la tendenza è evidente da novembre dello scorso anno. Questo crollo era un fenomeno atteso, direi quasi annunciato. E’ principalmente frutto del rialzo dei tassi, ma non è solo questo. Le azioni più value tendono a fare bene anche in regime di tassi elevati. Il fenomeno dell’inflazione, per come si è sviluppato dopo la pandemia, ha determinato una risposta determinata e aggressiva delle Banche centrali, in particolare della Fed americana.

Quanto ha inciso l’imminente rialzo deciso dalla Bce di Lagarde?
La reazione drastica di tutte le banche centrali del pianeta hanno certamente creato un po’ di panico sui mercati. Gli istituti hanno giocato di risposta più che di anticipo, evidentemente il mercato ha prestato una certa flessione di vendita repentina sugli stock globali. I livelli inflattivi europei sono estremamente elevati, anche se non raggiungono quelli americani. Le aspettative del mercato, ma anche la comunicazione della Bce, sono radicalmente cambiate: da una posizione attendista a una molto propositiva. Il mercato si attende di uscire dai tassi negativi che abbiamo ormai dal 2014. L’incremento dovrebbe registrarsi nel terzo quarto dell’anno. A luglio dovrebbe venire annunciato per settembre un incremento di 50 punti base. Questo riporterebbe l’ago della bilancia sui titoli allo zero. Una vera svolta, visto che il decennale tedesco ha ormai raggiunto l’1%, quello francese l’1,6 e il nostro superare il 3%. Anche la Bce si presta dunque al primo ciclo di rialzi dopo più di una decade di tagli.

Non c’è pace per i titoli tecnologici Usa che continuano a rivedere al ribasso le stime per il 2022. Si riprenderanno?
Se intendiamo che torneranno a livelli accettabili, la risposta è sì. Ci sono delle sacche di valore, ed è stata fatta piazza pulita. C’è stata un po’ troppa esagerazione su un mercato che in generale quando punisce lo fa in maniera indiscriminata. Occorre fare una selezione. C’è stato “uno sciacquone” importante per titoli spazzatura, come Peloton. Gli scossoni importanti hanno coinvolto anche società con fondamentali molto più robusti, come possono essere Amazon e Netflix. Questi titoli sono stati over-puniti, ma rimangono asset sul lungo periodo da tenere nel portfolio. Avremo una conviction ancora molto forte su questi titoli, che verranno aiutati da questo “sciacquone”. 

La bolla delle Big Tech è definitivamente esplosa?
Pensare di fare a meno di Microsoft, Amazon o Apple è errato. Sono un po’ più scettico su Meta. Questo è un anno di selezione, in cui le skills del gestore del portfolio manager sono il cuore dell’attività. Erano anni che non c’era l’opportunità di generare valore con una selezione attiva e di qualità dei titoli. Perché la dispersione dei rendimenti è stata concentrata all’interno dei benchmark di mercato, proprio per l’attività forzosa delle Banche centrali. Ora sta venendo meno questa dispersione tra titoli con margini alti e duraturi e titoli con marginalità bassa che stanno soffrendo i rialzi dei tassi. Oltre il singolo titolo, il processo di selezione premia alla gestione rispetto agli ultimi dieci anni, in cui l’indice al 99% dei casi avrebbero raggiunto la massima performance. C’è una differenziazione tra Dow Jones che ha perso il 10% col Nasdaq che ha perso la settimana scorsa il 30%.

E’ finita la favola dei titoli tecnologici?
Assolutamente sì. Nel 2020-21 i titoli tech erano stati una magia. Anche modelli passati, con format quasi anni ’80, rendevano 100 volte il fatturato. Era una bolla, ed è giusto che sia ritornata al livello in cui dovrebbe stare. Ma non bisogna buttare il bambino con l’acqua sporca: società come Amazon non hanno le stesse caratteristiche di una Peloton.

Che ripercussioni ci saranno sul mercato italiano?
L’indice italiano è fortemente value, ha una componente tecnologica sottostimata rispetto agli indici americani. Ci sono grandi società bancarie, questo determina titoli finanziari molto elevati. Cosa che negli ultimi 14 anni non era stata positiva, ma che ha premiato nell’ultimo anno e mezzo. Le ripercussioni in Italia sono più macroeconomiche che dell’indice. Soffriamo di un debito importante, e quindi è esposta alla crisi ucraina e alle forniture russe. C’è un tema legato all’inflazione, buona parte del Pil italiano è costituito da settori molto esposti all’importazione, suscettibili a rischi maggiori rispetto ad altri paesi europei. Ma il mercato italiano si sta comportando più che bene da inizio anno.