Il termometro delle relazioni tra Italia e Russia crolla ai suoi minimi storici, secondo quanto dichiarato ieri dalla portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Una dichiarazione pesante, che riassume lo stato di una crisi profonda e dagli effetti trasversali. “Le relazioni fra Italia e Russia stanno attraversando la crisi peggiore dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ci ricordiamo certamente il ruolo dell’Italia in quella guerra, ma ricordiamo anche il valore e il periodo positivo delle nostre relazioni che hanno attraversato 80 anni, un tempo molto lungo durante il quale abbiamo mantenuto una cooperazione altamente costruttiva con l’Italia”, ha rimarcato Zakharova durante un intervento seguito con attenzione dagli osservatori internazionali.
Pressioni estene e cambiamento di rotta
Zakharova non ha esitato ad attribuire il deterioramento dei rapporti ad agenti esterni: “L’Italia è oggetto di pressioni da parte della Nato, dal mondo anglosassone, e da questa dittatura ultraliberale”, ha sentenziato la portavoce. Secondo Mosca, la deriva negativa non sarebbe quindi frutto di un’iniziativa propriamente italiana, ma piuttosto l’effetto di una “spirale difficile da spezzare” innescata dai vincoli euro-atlantici, cui Roma (oggi come non mai) sembrerebbe allineata più per necessità che per convinzione. “Al momento le nostre relazioni sono in pausa. Non mi riferisco solo ai contatti ufficiali ma anche alle relazioni economiche e finanziarie. Vorrei credere che non siano finite ma solo sospese. Questa situazione non rientra nel nostro modo di fare, non nel modo di fare della Russia, ma emerge dalle pressioni a cui l’Italia è sottoposta”, il monito finale di Zakharova.
Sanzioni Ue, Italia allineata dopo le esitazioni
Ma torniamo al business, o meglio alla guerra di sanzioni che ha fatto deragliare decenni di cooperazione economica. Proprio in queste ore, dopo giorni di riserva, il governo Meloni ha rotto gli indugi dichiarandosi pronto a votare a favore del regolamento che mantiene “gli attivi sovrani russi immobilizzati a tempo indeterminato”, primo passo per poterli utilizzare nel cosiddetto “prestito di riparazione” all’Ucraina. Roma si è convinta, dopo rassicurazioni di Bruxelles, che il provvedimento non anticipa l’utilizzo degli asset, ma si limita a tenerli bloccati, assicurando così che la decisione finale venga presa ad un Consiglio europeo ad hoc.
Una manovra complicata, in cui l’Italia aveva inizialmente esitato, assieme al Belgio, paese pesantemente esposto per via dei 185 miliardi detenuti da Euroclear. “Saranno i capi di Stato e di governo nel Consiglio europeo del 18 e 19 dicembre a fare questa scelta”, precisa una fonte diplomatica, segno che la partita è tutt’altro che chiusa e che Roma cerca di non farsi travolgere tra veti magiari e pressioni tedesche. Ma intanto la direzione è segnata: la linea dura verso Mosca, sotto regia europea, sembra prevalere.
Le minacce russe e la tentazione della ritorsione
Come una slavina che travolge tutto, la guerra degli asset rischia di produrre una vera e propria “resa dei conti”: se l’Ue non trova i 90 miliardi necessari per tenere a galla l’Ucraina, una fetta di quei fondi potrebbe arrivare direttamente dai beni congelati alle istituzioni russe. Ma Mosca non resta certo a guardare. Ieri la Russia ha alzato il tiro: “Abbiamo 300 miliardi di dollari di investimenti esteri, potremmo sequestrarli”, la minaccia senza veli circolata a Mosca. E ancora: “Una dura reazione”, che potrebbe coinvolgere anche cittadini privati (pure non coinvolti nel conflitto) e asset europei sul suolo russo.
Il premier belga Bart De Wever non nasconde i rischi: “Sarebbe come irrompere in un’ambasciata, portar via tutti i mobili e venderli”, avverte, assicurando che Bruxelles è pronta a ricorsi e opposizioni in tribunale se la questione non verrà gestita con “garanzie di ferro”. Insomma, se la macchina delle ritorsioni parte, non è affatto detto che l’Ue torni indenne dalla contesa.
L’isolamento italiano nel dilemma europeo
Alla vigilia del summit europeo, l’Italia si trova davanti a un bivio stretto: confermare la sua lealtà europea, anche a costo di bruciare gli ultimi ponti con Mosca, oppure cavalcare una difficile autonomia strategica in una fase in cui il rischio di “deragliare” esce dai confini della metafora e lambisce la realtà. Le accuse di Zakharova dipingono Roma come “oggetto di pressioni” anziché soggetto autonomo: è solo una narrazione di comodo, o una boba che rischiia di esplodere tra le mani del governo Meloni? Come detto prima, il pericolo è che la spirale si alimenti a oltranza, lasciando poco margine di manovra a chi vorrebbe, almeno in parte, preservare la relazione con Mosca – anche per evitare ritorsioni sul sistema economico e imprenditoriale tricolore.
