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Milano, mani legate davanti alla tutela delle persone LGBTQ+

"La storia ci insegna da dove veniamo": LGBT+ History Month arriva a Milano gay pride Marino

Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? Il Governo ha comunicato ai comuni di tutto il Paese il divieto di trascrivere i certificati con cui si registrano le famiglie omogenitoriali. Milano, tra le poche città a farlo con frequenza, si trova con le mani legate. Parallelamente si cerca di tutelare la comunità LGBTQ+ milanese con il nuovo Rainbow Centre. Ne abbiamo parlato con CIG Arcigay Milano.

Un duro colpo per la comunità LGBTQ+ italiana, soprattutto perché riguarda la città di Milano, tra le poche a riconoscere le famiglie arcobaleno. Cos’è successo allora? La decisione viene dall’alto. In seguito a una richiesta del ministero dell’Interno tramite il prefetto Renato Saccone. Non vengono naturalmente modificati i certificati già redatti.

Stop alla registrazione delle famiglie arcobaleno

Le coppie di persone dello stesso genere per diventare genitori si devono spostare all’estero. In Italia, infatti, due donne non possono accedere alla fecondazione eterologa (permessa solo per le coppie donna + uomo). Due uomini non hanno la possibilità di ricorrere alla gestazione per altri. Di conseguenza sono moltissime le coppie omogenitoriali che hanno figli e figlie all’estero. E poi fanno trascrivere i certificati in Italia.

Tale trascrizione, però, non è regolamentata. Finora è stata gestita in modo autonomo dalle amministrazioni locali. Milano era appunto tra le poche città a redigere con frequenza questi certificati.

Dopo che la Corte di Cassazione – a dicembre – aveva emesso una sentenza secondo cui la trascrivibilità di tali atti non era automatica, il ministero ha comunicato a tutti i sindaci e le sindache il divieto di registrare il genitore non biologico. L’unico caso al momento escluso da tale manovra riguarda la prole di due donne che hanno partorito all’estero per via di un vuoto normativo.

“Ci siamo chiesti: che paura fa la piena uguaglianza? Cosa toglie? Nulla” scrive CIG Arcigay nel suo comunicato stampa. “A togliere è il Governo, se la sua priorità è quella di impedire che migliaia di bambini abbiano maggiori tutele. I registri erano una possibilità delle amministrazioni comunali di porre un rimedio a un problema più grande. È urgente una riforma seria e concreta delle adozioni per tuttə.

Lo Stato dovrebbe sempre pensare di estendere i diritti, non restringerli. Quanto sta succedendo è imbarazzante e doloroso. I bambini delle famiglie arcobaleno hanno diritto a uno sviluppo sereno nel tessuto sociale dell’Italia come avviene per i loro coetanei in tantissimi altri Paesi d’Europa e del mondo. Basta deciderlo. Bastano una penna e volontà civica e politica.

Le numerose adesioni e manifestazioni di sostegno che abbiamo ricevuto in questi giorni da Milano e dal resto d’Italia – da Sindaci, associazioni, partiti, teatri, gruppi di comunità, attivistə – raccontano un Paese diverso da quello che ha in mente il Governo Meloni”.

Per tutelare la comunità LGBTQ+: il Rainbow Centre

CIG Arcigay Milano, insieme all’amministrazione comunale della città, ha gettato le basi per la formazione del Rainbow Centre, un centro LGBTQ+ a sostegno dell’intera comunità milanese. Riuscirà a rendere Milano una città più inclusiva? In che modo opererà a livello politico? L’abbiamo chiesto a CIG Arcigay Milano.

Come si svilupperà a Milano il centro a sostegno della comunità LGBTQ+? Quali sono i suoi obiettivi?

Vogliamo creare un grande centro che valorizzi il volontariato LGBTQIA+. Ci immaginiamo uno spazio accogliente e accessibile, visibile e riconoscibile, come ce ne sono in altre grandi città del mondo. Sarà, prima di tutto, un centro di servizi. Che dovranno essere di comprovata qualità e affidabili, portati avanti anche in collaborazione con associazioni partner. Ne ricordiamo alcuni fra quelli da noi curati gratuitamente da tempo, e che vogliamo trovino una casa adeguata nel Rainbow Center: l’helpline Pronto, i corsi di formazione contro il bullismo, gli sportelli legale e psicologico, i test del gruppo salute, i servizi di accoglienza per rifugiati e i percorsi di mutuo aiuto.

Il centro sarà, poi, un luogo di elaborazione culturale, dove auspichiamo troveranno spazio il nostro archivio sulla storia del movimento, una sala studio con biblioteca e diversi spazi per attivisti LGBTQIA+, per svolgere riunioni, incontri o laboratori. Ci ispiriamo all’esempio del The Center di New York. L’idea, che abbiamo lanciato pubblicamente a fine 2021, piace e stiamo ricevendo spunti, idee e proposte da diversi attori della città. È un bel segnale.

Secondo il progetto in cantiere, come verrà gestito il Centro? Chi si occuperà delle sue iniziative?

Puntiamo a realizzare un centro sostenibile dal punto di vista organizzativo, economico e finanziario. Dunque con una governance chiara: il CIG Arcigay Milano come promotore, responsabile legale ed economico; con noi, associazioni partner di servizi con cui già lavoriamo da tempo come, per esempio, Acet, che sviluppa servizi specifici per la comunità transgender; e una platea di associazioni, gruppi e cittadini che potranno usufruire degli spazi una volta che il Rainbow Center sarà aperto, proponendo anche iniziative pubbliche. L’idea del centro nasce dal constatare la cronica mancanza di spazi per garantire servizi su base volontaria che soddisfino la crescente domanda della nostra comunità. In modalità sussidiaria.

Vogliamo uscire dagli scantinati e da sedi, ormai, insufficienti e superate. La nostra storica casa di via Bezzecca 3, per esempio, non basta più. Ci siamo, naturalmente, molto affezionati ma per svolgere le attività dobbiamo oggi spesso affittare sale teatrali o auditorium, con spese poco sostenibili; e il nostro archivio storico di 6000 pezzi, uno dei più importanti d’Europa sui temi LGBTQIA+, è ormai inagibile per l’accumulo di materiali e rischia di danneggiarsi.

Per non dire del potenziale ancora inespresso per mancanza di luoghi adeguati: pensiamo ai servizi per le persone senior LGBTQIA+, che crediamo debbano entrare sempre di più nel nostro raggio di azione, quelli per le persone con disabilità o, appunto, alla ricerche e ai prodotti editoriali che una biblioteca accessibile e con risorse adeguate permetterebbe di realizzare ed esprimere. Il numero di persone volontarie nella nostra comunità sta crescendo e crediamo di poter contribuire sempre di più e sempre meglio alla cura e alla crescita di tutta Milano.

Le aggressioni di stampo omolesbobitransfobico a Milano e anche nel quartiere queer della città, Porta Venezia, sono sempre più numerose. Credete che il Rainbow Centre possa contribuire a rendere più sicura la città?

Il Rainbow Center potrà certamente contribuire a combattere l’omolesbobitransfobia. A generare cultura e inclusione, e ad assistere le vittime di discriminazione e bullismo. I nostri sportelli psicologico e legale e i servizi di accoglienza e ascolto già oggi affrontano casi di violenza e discriminazione e un centro ampio e strutturato non farà che garantire maggiore efficacia, sia nell’azione preventiva che in quella di assistenza alle vittime, tutte, di ogni genere e orientamento.

Crediamo anche che un presidio di socialità, servizi e attivismo, vivo e presente, possa rafforzare le reti di qualsiasi quartiere lo ospiterà, creando maggiori tutele, senso di cura e appartenenza, benessere e dialogo. Ne approfittiamo per ricordare a chiunque dovesse subire episodi di violenza o discriminazione e avesse bisogno di ascolto e assistenza di contattare la nostra helpline Pronto, sul sito arcigaymilano.org o su Instagram @ProntoCig.

In che modo l’attuale amministrazione sostiene la comunità LGBTQ+ milanese?

L’impegno del Sindaco Beppe Sala e dell’assessore Lamberto Bertolè (Welfare e Salute) nel portare avanti un tavolo di confronto sul Rainbow Center che abbiamo proposto ci fanno guardare al futuro con fiducia. Le loro parole all’ultimo Milano Pride rispetto all’idea di questo centro sono state chiare e a inizio 2023 è proprio nato a Palazzo Marino un gruppo di lavoro dedicato che coinvolge anche diversi consiglieri comunali LGBTQIA+.

Avere un Rainbow Center di livello internazionale sarebbe una risposta concreta e fattiva a molti dei bisogni della comunità e dell’associazionismo arcobaleno milanese, nonché un ponte con chi visita la nostra città dal resto d’Italia e dall’estero. Da diversi anni la necessità di spazi adeguati è una delle nostre priorità: la collaborazione con l’amministrazione su questo è importante e vorremmo raggiungere un risultato concreto entro il 2027.

Non è l’unico passo nella giusta direzione: il sostegno avviene e deve avvenire sempre di più anche nelle scelte più piccole e quotidiane, penso per esempio alla recente sensibilizzazione promossa dall’assessora Gaia Romani (Servizi Civici) rivolta a scrutatori e presidenti di seggio sulla gestione del voto a tutela delle persone transgender; e si estende poi a tutta la rete istituzionale: lo scorso giugno abbiamo collaborato ad esempio con Atm durante il mese del Pride per una bellissima campagna educativa sui nostri temi.