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Terzo Polo: il divorzio è solo una questione di soldi

Terzo Polo: il divorzio è solo una questione di soldi

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Quello interno al Terzo Polo è il divorzio politico dell’anno. Dietro la rottura ci sono le personalità di Renzi e Calenda, oltre che questioni politiche. Ma anche e soprattutto soldi. 

La politica c’entra, certo, così come l’ego dei due leader, ben noto a chi segue le cronache di Palazzo. Ma alla fine la rottura, e l’eventuale pace in extremis, nel Terzo Polo è avvenuta per un altro motivo: quello economico. Il follow the money resta infatti una traccia sempre valida, anche quando si parla di alleanze politiche. Carlo Calenda e Matteo Renzi non hanno trovato l’accordo su come finanziare il partito unitario, così preferiscono tenere in piedi le loro strutture.

Terzo Polo, tante risorse

Anche perché, come già riportato da True-news, sia Azione che Italia Viva gestiscono un bilancio importante per quanto riguarda gli introiti, tra due per mille, donazioni e tesseramenti. C’è chi ha sfondato il tetto dei due milioni di euro, come nel caso del soggetto calendiano, e chi si è avvicinato a quella soglia, come per il partito renziano. Fatto sta che nessuno a cuor leggere vuole mettere a disposizione i propri soldi.

Di sicuro non Renzi, che avrebbe voluto tenere in piedi la propria struttura partitica per tutto il 2024 prima di metterla in liquidazione. Calenda spingeva per velocizzare l’operazione pure per cercare di scoprire l’eventuale bluff dell’alleato.

Inizialmente si era parlato della modalità di sostegno al contenitore unico, che prevedeva un 50-50, con 200mila euro ciascuno. Ma poi i patrimoni vanno messi inevitabilmente insieme e a gestirli, ovviamente, è il leader. Siccome è plausibile che sia Calenda, allora ecco che qualche remora è scattata. L’ex presidente del Consiglio ha voluto quindi allungare i tempi, evitare la fusione secca. «Il prossimo anno ci sono le Europee, metti che vanno male?», ha confidato una fonte di Iv. Insomma, se la situazione dovesse precipitare dal punto di vista elettorale, è sempre meglio avere un tetto proprio per cercare una soluzione alternativa.

Donazioni in ribasso

Peraltro le reciproche diffidenze hanno fatto emergere un ulteriore annotazione: le donazioni ai due partiti hanno subito un rallentamento negli ultimi mesi addirittura tra deputati e senatori che, solitamente, girano nelle casse dei partiti una somma predefinita al momento dell’elezione. Probabilmente prima di dare dei soldi, si punta a capire dove andranno a finire. Non tutti magari sono disposti a metterli in comune, in particolare tra gli eletti.

Peraltro, anche il mondo dell’imprenditoria in queste settimane sembra essersi raffreddato nei confronti del progetto terzopolista. Durante la campagna elettorale capitani di industria hanno sostenuto economicamente, spesso con due diverse donazioni ai rispettivi soggetti politici. L’obiettivo era quello di dare la spinta decisiva all’iniziativa annunciata da Calenda e Renzi.

Gruppi parlamentari necessari

E che la questione economica sia rilevante, emerge dalla volontà di Azione e Italia viva di conservare i gruppi parlamentari, senza arrivare allo sfascio totale. “Spero che il progetto del partito unico non sia finito. Con i gruppi parlamentari rimasti insieme, si potrà probabilmente rimettere in piedi ciò che è stato interrotto”, ha affermato il deputato di Iv, Davide Faraone. La ragione di tanta attenzione ai gruppi non è solo politico. Basta fare due conti.

Alla Camera il gruppo Az-Iv conta su 21 iscritti, ognuno dei quali porta in dote circa 70mila euro all’anno di risorse garantite da Montecitorio. Si tratta di qualcosa come un milione e mezzo di euro da non mettere a repentaglio. Altri 700mila euro e rotti rischia di saltare in aria per l’eventuale scioglimento del gruppo al Senato, dove per ogni senatore iscritto la somma è anche più alta. Un bottino troppo ricco. E nemmeno due personaggi imprevedibili come Calenda e Renzi ci rinuncerebbero.