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Svolta estiva sulle armi: Palazzo Chigi riprende in mano l’export

Svolta estiva sulle armi: Palazzo Chigi riprende in mano l’export

Perché leggere questo articolo? Meloni avoca a Palazzo Chigi il potere di controllo sull’export di armi. Segno del peso “diplomatico” crescente degli affari militari. Svuotata ulteriormente la Farnesina

Sorpresa d’agosto sulle armi italiane e sulle procedure per l’export di sistemi all’estero. In passato oggetto di grandi contenziosi tra forze politiche e apparati. Il 3 agosto scorso, nella seduta del quarantaseiesimo Consiglio dei Ministri del governo Meloni, l’esecutivo ha modificato le linee d’indirizzo che creano i presupposti per l’esportazione militare in Paesi alleati e amici. Riportando di fatto in capo al Presidente del Consiglio le attività in questione.

Armi, come funziona l’export oggi

La norma che vigila sull’export di armi in Italia è la Legge 185/1990, la quale decreta che i procedimenti “devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia” e che le operazioni di export sono “regolamentate dallo Stato secondo i princìpi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. 

L’apparato chiamato a gestire operativamente questi processi era sino ad oggi individuato in un dipartimento della Farnesina, l’Uama (Unita’ per le autorizzazioni dei materiali d’armamento). Ad essa era delegata ogni ultima parola sugli accordi presi dal governo con Paesi terzi e anche sui memorandum firmati con Paesi terzi. Tutto ciò, sulla carta, al fine di prevenire abusi e forniture di armi e dispositivi militari a regimi che li avrebbero utilizzati contro la propria popolazione o in guerre d’aggressione. Un precetto nobile, spesso interpretato in forma assai sfumata.

Le nuove regole sulle armi

Ora il potere di decisione sulle armi passerà al Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa, un’organizzazione già operativa dal 1990 al 1993. Esso avrà al comando il Presidente del Consiglio dei Ministri e riunirà i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dell’interno, della difesa, dell’economia e delle finanze e delle imprese e del made in Italy. Sarà una versione in forma più ridotta del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr) e avrà in dotazione poteri di indirizzo sulla 185/1990. Inclusa, e questa è la novità, la definizione di criteri oggettivi per i divieti, capaci di superare la corsa caso per caso della Uama.

Meloni ha l’obiettivo di conferire a Alfredo Mantovano, sottosegretario-chiave di Palazzo Chigi, anche la delega alla gestione del Casd dopo quella all’intelligence e ai servizi di sicurezza. La mossa può portare l’Italia allineata ai grandi Paesi dell’Occidente ove la gestione dell’export di armamenti è in responsabilità diretta al capo dell’esecutivo. In questa fase la politica militare è sempre più chiave e strategica per la sicurezza pubblica e la presa in capo delle sue dinamiche da parte di Palazzo Chigi sottende la volontà dell’esecutivo di centralizzare sul premier dinamiche tanto fondamentali.

Meloni “svuota” la Farnesina

Del resto, è Meloni che partecipa alle discussioni ai vertici con i partner di Nato e G7 per il rafforzamento della sicurezza collettiva; sempre la presidente del Consiglio ha dimostrato un’attenzione chiave al tema del sostegno all’Ucraina e dell’aumento delle spese militari verso il 2% del Pil chiesto dalla Nato. E in un contesto che vede la diplomazia globale militarizzarsi e la Difesa diventare fattore di costruzione di rapporti di politica estera, a Palazzo Chigi non hanno voluto mancare di mantenere in capo un asset chiave.

Chi viene depotenziata ulteriormente è, in quest’ottica, la Farnesina. Il Ministero degli Esteri aveva perso negli anni centralità nonostante la rete efficiente di ambasciatori e diplomatici. Ma in un contesto che vede la sfera della diplomazia e quella della politica estera sempre più separate, la retrocessione dell’Uama a organo consultivo e non esecutivo priva la Farnesina di uno strumento d’azione politica tutto fuorché secondario. E consolida l’accentramento delle competenze di un sistema che, sulla politica estera, è per forza di cose già molto “presidenzialista”.