Home Politics Squid Game e oltre: con il soft power la Corea del Sud conquista il mondo

Squid Game e oltre: con il soft power la Corea del Sud conquista il mondo

Squid Game e oltre: con il soft power la Corea del Sud conquista il mondo

I giochi all’ultimo sangue di Squid Game, gli angeli della morte di Hellbound, i mostri di Sweet Home. E ancora: le peripezie adolescenziali di Itaewon Class, l’amore di Crash Landing on You e gli zombie di Kingdom. È impossibile stilare la lista completa delle serie tv prodotte in Corea del Sud e rilanciate in tutto il mondo da Netflix.

K-culture, un mercato mondiale in costante ascesa

Il mercato dei cosiddetti K-drama, Korean Drama, è formato da centinaia e centinaia di titoli, in un primo momento pensati soltanto per soddisfare i gusti dei telespettatori sudcoreani, poi adattati per piacere a qualunque latitudine. Se in queste vacanze natalizie deciderete di iniziare una di queste serie tv, sappiate che non sono state create soltanto per riempire il vostro tempo libero.

Alla base della massiccia offensiva dei prodotti di intrattenimento made in Korea – dalle sitcom ai film, passando per il K-pop – c’è una strategia politica ed economica ben precisa. Innanzitutto la K-culture, nella sua accezione più generale di cultura pop sudcoreana, può essere considerata come una leva schiacciata per attivare il soft power. Questo termine, coniato negli anni’80 dal professore statunitense Joseph Nye, indica la capacità di uno Stato di esercitare una certa influenza grazie all’uso di strumenti immateriali, tra cui l’intrattenimento, lo sport e la cultura.

Ma il soft power non è una capacità innata, e neppure un traguardo che, una volta raggiunto, non richiede ulteriori sforzi di alcun tipo; già, perché per poter contare su un eccellente “potere morbido” è fondamentale investire diversi denari per il rafforzamento dell’intero sistema culturale. Il soft power può essere sfruttato a mò di biglietto da visita da un governo per farsi (o rifarsi) una bella immagine all’estero, ma anche come volano di crescita per molteplici settori economici.

La K-culture come volano per tutta l’economia del Paese

Nel caso della K-culture, la popolarità della cultura coreana nel mondo – e quindi, tra gli altri, la diffusione di serie tv e film – ha spinto un ingente numero di persone a interessarsi, ad esempio, allo studio della lingua coreana, all’alimentazione, al turismo e addirittura all’esportazione di cosmetici realizzati al di sotto del 38esimo parallelo. Giusto per avere un’idea dei numeri, nel corso del 2020, stando ai dati diffusi dal Ministero della sicurezza alimentare e dei farmaci di Seul, le esportazioni di prodotti cosmetici dalla Corea del Sud sono aumentate del 16,1% rispetto all’anno precedente, mentre il surplus commerciale di cosmetici ha toccato quota 6,4 miliardi di dollari, in crescita rispetto ai 5,4 miliardi del 2019.

Il matrimonio tra Netflix e Corea del Sud

Insomma, per la Corea del Sud ha capito fin da subito che coltivare ed esportare la cultura nazionale equivaleva a intraprendere una nuova iniziativa economica per garantire il progresso del Paese. Netflix, leader della distribuzione via internet di film, serie televisive e altri contenuti di intrattenimento a pagamento, ha a sua volta individuato nella Corea del Sud un partner interessante. Così si spiegano gli ingenti investimenti piazzati proprio dalla società statunitense a Seul e dintorni. Pochi mesi fa, l’azienda ha aperto due stabilimenti di produzione proprio nel territorio sudcoreano, in modo tale da preparare i prodotti direttamente in loco. Si tratta delle strutture di Paju-si e Yeoncheon-gun, appena fuori Seul, nella provincia di Gyeonggi. L’obiettivo di Netflix, che tra il 2015 e il 2020 ha investito in contenuti coreani 700 milioni di dollari, con oltre 80 programmi realizzati in Corea, appare evidente: incrementare i contenuti coreani per distribuirli nei cinque continenti sulla spinta della crescente richieste di film e serie made in Korea.

Corea del Sud, storia di un soft power di successo

La Corea del Sud non è certo l’unico Paese ad affidarsi a un soft power aggressivo, e non è neppure l’unico che investe sul potere della cultura. La differenza fondamentale tra i sudcoreani e gli altri, e che a Seul sono riusciti ad avere successo. Per individuare le radici di questo trionfo, bisogna tornare all’inizio degli anni ’90, quando il governo decise di creare la divisione Cultura popolare e di incastonarla nel cuore del Ministero della Cultura. È qui, all’indomani della grave crisi finanziaria asiatica, che inizia a prender forma Hallyu, l’onda coreana della cultura. Un’onda che ha acquisito sempre più velocità, non solo a causa dell’appeal globale incarnato dagli stessi prodotti, ma anche per via delle enormi quantità di denaro investite dalla Corea del Sud per mantenere standard qualitativi elevati.

La Corea del Sud ha iniziato a investire circa 500 milioni di dollari all’anno per finanziare la cultura in tutte le sue forme, dalla musica ai fumetti, passando per film, moda e serie tv. Nell’arco di un decennio prende forma un mercato nuovo di zecca per l’entertainment sudcoreano. Stregato il pubblico nazionale, inizia la conquista su scala internazionale. In breve, il brand Corea del Sud diventa egemone in Asia – dove spiazza la cultura giapponese, capostipite di Hallyu in versione nipponica – e poi nel resto del mondo, Occidente compreso.

Il grande salto con i social e l’impatto dei Bts sull’economia nazionale

Il grande salto arriverà soltanto con la diffusione di social network e piattaforme di streaming, veri e propri megafoni dei prodotti made in Korea. Va da sé che tutto questo, oltre che far apparire agli occhi del pianeta la Corea del Sud un Paese moderno, giovanile e innovativo, consente alle casse statali sudcoreane di incassare fiumi di denaro sonante. Anche in questo caso, un esempio può servire a chiarire il flusso economico di cui stiamo parlando. Pare che nel 2019 i Bts, una delle band musicali sudcoreane più rinomate, valessero lo 0,3% del pil nazionale e fornissero all’economia nazionale la bellezza di 4,65 miliardi di dollari tra la vendita di cd, biglietti dei concerti e merchandising. Basta moltiplicare il peso specifico dei Bts per tutti gli altri gruppi, film e serie tv e sarà possibile immaginare, a grandi linee, la potenza di fuoco della K-culture.