Home Politics Geopolitics Noi e il Sahel: gli interessi italiani in Niger e nella regione dei sette golpe

Noi e il Sahel: gli interessi italiani in Niger e nella regione dei sette golpe

Esercito comune europeo

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Dietro il golpe in Niger ci sono i difficili rapporti tra occidente e Sahel. Anche l’Italia è attiva nella regione dei sette golpe in tre anni.

Dopo il colpo di stato in Niger può essere utile provare a riepilogare i rapporti tra il Sahel e l’Europa. In particolare gli interessi dell’Italia nella regione alle prese con turbolenze politiche e sociali. Prima della rivolta il Niger era al centro di iniziative europee all’insegna della collaborazione con il governo del presidente Mohamed Bazoum. Lo stato africano ha sempre svolto la cruciale funzione di “paese di transito” per i flussi migratori dell’Africa subsahariana. Nell’agosto del 2022 la Farnesina ha avviato con il Fondo Migrazioni un pacchetto di interventi di 37.2 milioni di euro allo scopo di stabilizzare i flussi migratori, ostacolare traffico di esseri umani e migliorare la gestione delle frontiere in Sahel, Africa Occidentale e Nord Africa. Tre progetti in Libia, uno nel Sahel, due in Niger, oltre che in Nigeria e Costa d’Avorio.

L’Italia in Sahel con le missioni in Niger

Inoltre, l’Italia aveva rafforzato il contingente della missione in Niger MISIN (già presente dal 2018), con la Task Group Air Sahel, (forza di pronto intervento aereo). L’esercito italiano si era anche cimentato nella costruzione del CEMEDAN (Centro di competenza di medicina aeronautica del Niger), per dare sostegno sanitario al personale pilota e tecnico delle forze aeree nigerine. La volontà di garantire la presenza italiana nella zona è testimoniata dal fatto che il Colonello dell’Esercito Antonio D’Agostino era stato recentemente messo a capo della nuova missione dell’Unione Europea in Niger (EUMPM-Niger).

La EUMPM, è stata attivata il 20 febbraio 2023 con durata fino al 2026. Questa missione, di carattere militare, ha come obiettivo il sostegno alle forze nigerine per contrastare il terrorismo e la difesa dell’integrità territoriale e della sovranità del paese. Si è infatti instaurata una base operativa nella regione di Tillabéry, finanziate tramite lo Strumento Europeo per la Pace.

Gli insuccessi internazionali in Sahel e in Africa

Dopo la recente escalation in Niger, però, né l’ONU né la NATO sembrano mostrarsi aperte ad intervenire in qualche modo nella regione. La ragione è probabilmente dettata dall’insuccesso dell’operazione MINUSMA, (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali), cominciata nel 2013 dal Consiglio di Sicurezza Onu per sostenere il processo politico di transizione in Mali. Al summit Nato di Madrid del 30 giugno 2022 il ministro degli esteri spagnolo José Manuel Albares Bueno si è dimostrato aperto ad un possibile intervento militare in caso escalation. Nonostante la volontà del governo spagnolo, la proposta si è rivelata un flop nel quadro della comunità internazionale. Sembra fresco il ricordo dell’intervento della NATO in Libia, che rimanda al problema dell’espansione del terrorismo nel Sahel e i numerosi flussi migratori che vedono oggi il Mar Mediterraneo diventato un bagno di sangue.

Le missioni in Niger erano caratterizzate da diversi approcci, in base a due diversi paesi organizzatori. La Francia che in modo determinato cerca di rivendicare il proprio controllo, mentre l’Italia sembra agire sottotraccia. Al momento, le nostre truppe sono al sicuro in un fortino realizzato all’esterno dell’aeroporto della capitale (a Sud della città) insieme ai francesi e statunitensi. Per il momento sembrano essere al riparo da ogni ostilità. Quel che è mancato è un po’ di iniziativa da parte dei contingenti europei, in quanto già con il putsch filo-russo in Mali, che ha chiuso l’operazione Takuba, i soldati del Vecchio Continente si sono dovuti ritirare nel luglio 2022. Successivamente il colpo di Stato in Burkina Faso, che non ha permesso di portare avanti sviluppi per l’Europa.

Il golpe in Niger è l’ennesimo colpo di stato in Sahel

Sbalorditiva è stata la velocità con la quale i militari nigerini hanno sostenuto la rivolta della Guardia Presidenziale. Tutto sotto gli occhi dei membri della missione italiana, che da cinque anni si occupavano ad addestrare le forze locali. Più di 10mila uomini dell’esercito, della guarda nazionale e della gendarmeria. Ultimatamente il nostro esercito si è specializzato nella formazione di paracadutisti e truppe scelte. Nei campi di addestramento erano presenti soldati della Task Force Victor (con incursori del Rao e carabinieri del Gis), che però non sembrano essere mai stati impegnati in combattimento. L’obiettivo era conquistarne la fiducia, mostrandosi come validi alleati e partner.

I generali nigerini chiesero un sostegno militare con l’invio di armamenti, ma per questioni burocratiche si dovettero accontentare di due elicotteri AB-412, dismessi dalla Guardia di Finanza.  Oltre alla donazioni di mezzi militari, ci sono state diverse iniziative umanitarie (soccorso medico e aiuto nel settore scolastico). Riguardo alla collaborazione tra i due paesi il generale Francesco Paolo Figliuolo, che ha diretto anche queste operazioni aveva sostenuto: «i soldati nigerini e italiani, insieme, rappresentano un baluardo saldo della sicurezza regionale ed europea». In realtà sembra che anche questa missione – concepita nel 2017 dal governo Gentiloni, con lo scopo di ristabilire l’influenza italiana in Africa e pattuire un controllo sulle rotte dei trafficanti di uomini – sia fallita.

Una regione che non conosce pace…

E’ ormai nota la forte instabilità nella regione del Sahel. Nella fascia di territorio dell’Africa subsahariana il colpo di stato in Niger che ha deposto Bazoum rischia di far crollare l’ultimo baluardo dell’occidente nel Sahel. Dal 2020 nella regione ci sono stati diversi colpi di stato riusciti: Guinea, Ciad, per non parlare di Burkina Faso e Mali addirittura due volte. A cui si aggiungono i colpi di stato falliti in Gambia, Sao Tomé e Principe, Guinea Bissau, Sudan e ancora in Niger. I motivi di questi piccoli sommovimenti sono la debolezza delle istituzioni democratiche e la diffusa corruzione, che accentuano l’insicurezza e l’instabilità della regione dovuta già alla presenza di attività criminali di gruppi jihadisti.

Deludente è la posizione della comunità internazionale, soprattutto dell’Europa, che negli ultimi anni non ha preso misure decisive per contrastare queste giunte militari e proteggere i propri affari e interessi. Un fattore interessante è che sembra esserci una forte partecipazione della popolazione in favore di questi cambi di regime, seppur caratterizzati da violenza e principi autoritari, poiché la pandemia e la contrazione di risorse hanno lacerato l’economia locale. Ovviamente è forte la presenza del già tanto chiacchierato gruppo Wagner, di Evgenij Prigožin. Il gruppo Wagner è particolarmente attivo in Guinea, il cui presidente è Mamady Doumbouya, ex legionario francese, e in Mali guidato dal militare e politico Assimi Goita. I russi, infatti hanno rimpiazzato prontamente i francesi dopo il ritiro dal paese nel 2021, dopo il fallimento in Mali della missione “Barkhane”, le cui 5000 unità sono rientrate nella Grande Nation.

…ed è piena di risorse

L’area, sebbene instabile e con economie locali povere, è notoriamente riconosciuta per le cospicue risorse naturali. Minerali, terre rare, diamanti e petrolio hanno stuzzicato gli interessi occidentali. Su tutti, quello del Cremlino nel territorio. Nel summit a San Pietroburgo del 27-28 luglio Putin a dichiarato: “Non ci sono motivi per accusarci di essere colpevoli della difficile situazione dei paesi più poveri dell’Africa. Siamo pronti a iniziare a fornire grano a questi Paesi, gratuitamente, per motivi umanitari. Inizieremo a consegnare 50.000 tonnellate entro 3-4 mesi”. Tutto alla presenza di circa cinquanta paesi africani. E’ però ben noto che l‘invio di grano definito gratuito, in realtà gratis non è, vista la presenza nella zona del gruppo Wagner. La Russia in Sahel manda avanti la sua politica di potenza: grano in cambio di risorse naturali.