Home Politics Renatino, il vero problema sono i pubblicitari che “leccano” il capo

Renatino, il vero problema sono i pubblicitari che “leccano” il capo

Renatino, lo spot di Parmigiano Reggiano

“Qualcuno di voi lavora nel marketing?” domandava Bill Hicks alla sua platea di ascoltatori. E si rispondeva: “Se qualcuno lavora nel marketing, vi devo chiedere un favore: kill yourself”

Povero Renatino. Non solo non ha fatto un solo giorno di vacanza in vita sua e non ha mai visto il mare, adesso rischia di diventare il simbolo di quanti hanno svenduto la propria vita e la propria dignità, tradendo la lotta di classe. Almeno dal profluvio di commenti sui social di quanti si sono accodati indignati alla battaglia lanciata dallo scrittore e giornalista Christian Raimo contro la pubblicità del Parmigiano Reggiano (di cui ieri ha chiesto al Consorzio il ritiro).

 

Renatino, lo stakanovista del formaggio

Il contenuto della pubblicità dovreste già conoscerlo; per i pochi che si sono persi la querelle, eccolo riassunto in breve: un gruppetto di persone, in visita guidata a uno stabilimento di produzione del Parmigiano Reggiano (la guida è interpretata dall’attore Stefano Fresi) si ferma a parlare con un operaio, il suddetto Renatino, del quale vengono esaltate le doti di dedizione al lavoro: è lì, a cagliare il latte, praticamente da quando ha raggiunto la maggiore età e ha sempre lavorato, 365 giorni all’anno. Nelle sequenze successive gli viene chiesto se ha mai visto il mare o se ha mai fatto una vacanza. Lo stacanovista del formaggio ovviamente risponde di no (come avrebbe potuto, lavorando 365 giorni all’anno?).

Tutto quello che Renatino si è perso

Immaginiamo quindi che il povero Renatino, che dovrebbe avere superato i quaranta e viaggiare verso i cinquanta, si sia perso un sacco di cose, un po’ alla stregua del soldato giapponese ritrovato nella giungla anni dopo la fine della seconda guerra mondiale che nessuno si era premunito di avvisare che il conflitto era terminato. A naso, Renatino potrebbe essersi accorto del terremoto in Emilia del 2012 solo nel caso fosse passato in quesi giorni dove si conservano le forme (che rotolarono numerose a terra, tanto che poi una grande quantità del prezioso formaggio andò donato), non sa che l’Italia di calcio ha vinto gli ultimi Europei e che gli azzurri hanno fatto incetta di medaglie alle Olimpiadi di Tokyo. Ma soprattutto, chissà se qualche suo superiore si sia preoccupato di avvisarlo che è in corso una pandemia.

La difesa del Consorzio: “Il linguaggio cinematografico ammette forzature”

Il Consorzio del Parmigiano reggiano ha difeso lo spot, diretto dal regista Paolo Genovese: “Lo spot in questione ha un linguaggio cinematografico che ammette licenze per rafforzare messaggi e comunicazioni, in questo caso l’intento è quello di sottolineare la grande passione e impegno di chi, ogni giorno, produce il Parmigiano Reggiano. Ci dispiace se la volontà di sottolineare la passione dei nostri casari è stata letta con un messaggio differente”.

Un “epic fail” comunicativo

Adesso, sperando che Renatino, che avrà come minimo accumulato ferie per due anni, possa vedere presto il mare (qualcuno gli indichi la strada per la riviera romagnola, che non è molto distante), noi vorremmo spezzare una lancia a difesa dello spot. No, non giustificandone i contenuti, ma ricordando che il Parmigiano Reggiano non è il primo – e supponiamo non sarà l’ultimo – caso di pubblicità “epic fail”, come si dice in gergo. Noi che siamo umili servi nella vigna della lingua italiana, preferiamo usare il termine pubblicità sbagliate, che diventano epiche perché passano alla storia.

Barilla e la pasta solo per eterosessuali

Non bisogna spostarsi di molti chilometri dalla zona di produzione del Parmigiano Reggiano per trovare un altro esempio di “tafazzata” comunicativa.

Guido Barilla, presidente dell’omonimo gruppo alimentare di Parma, durante una intervista radiofonica del 2013 dichiarò: “Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale, la nostra è una famiglia classica dove la donna ha un ruolo fondamentale. Se a loro piace la nostra pasta e la nostra comunicazione, la mangiano, altrimenti mangeranno un’altra pasta. Uno non può piacere sempre a tutti”. Le parole provocarono aspre polemiche, un tentativo di boicottaggio dei prodotti Barilla e solo nel 2018, cinque anni dopo, l’azienda arrivò persino, a mettere sul mercato una confezione speciale di spaghetti con protagonista una coppia lesbica.

Dolce e Gabbana, coppia regina delle gaffe pubblicitarie

La coppia regina delle gaffe pubblicitarie resta però quella composta dagli stilisti Dolce e Gabbana. Il brand di moda sponsorizzò una sfilata che si sarebbe dovuta tenere a Shangai nel novembre 2018. Protagonista dello spot una ragazza cinese alle prese con piatti tipici italiani come pizza, spaghetti e un cannolo, usando però le bacchette. Arredamenti e musica di sottofondo erano quelli che un occidentale si aspetta dai cinesi (si chiama stereotipo) e nella scena della modella con il cannolo c’erano allusioni sessuali non troppo velate: “E’ ancora troppo grande per te?”. Il video ritenuto razzista fu censurato e i capi Dolce e Gabbana furono rimossi dai principali siti e-commerce cinesi.

Come non bastasse, Stefano Gabbana ci mise il carico pubblicando alcuni messaggi offensivi sul suo account Instagram. Lo stilista attribuì poi italianamente (lanci la pietra e nascondi la mano) a un fantomatico hacker quel post. I due imprenditori del fashion cercarono allora di mettere una toppa alla toppa, registrando un video di scuse alquanto imbarazzante, dove chi non li conosceva avrebbe potuto benissimo scambiarli per due dissidenti cinesi che prima di essere avviati a un campo di rieducazione attraverso il lavoro, ammettono a favore di telecamera di aver abbandonato la via del socialismo e chiedono scusa al popolo.

Pandora e i luoghi comuni sulle donne

Altra pubblicità che si è ritorta contro l’azienda è stata quella della marca di gioielli Pandora (nel 2017 tappezzò la metropolitana di Milano con manifesti 6 x 6 in cui si chiedeva agli uomini: «Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale Pandora: secondo te cosa la farebbe felice?»). Dopo le polemiche e il ritiro della campagna, la risposta fu: “L’affissione nella metropolitana di Milano voleva essere divertente ed ironica ma, sfortunatamente, la nostra ironia è stata fraintesa. In qualità di azienda che valorizza l’individualità di ogni donna, non era nostra intenzione offendere le donne, da sempre molto importanti e vicine a noi. Siamo intervenuti tempestivamente per risolvere questa incomprensione, infatti il pannello è stato sostituito”. Mai dimenticare che l’ironia è una cosa seria e va utilizzata da chi sa farne buon uso.

Melegatti e l’amore (purchè non omosessuale)

La Melegatti, azienda dolciaria, anni fa sui suoi profili social pubblicò una pubblicità con due persone a letto che si cibavano di suoi prodotti . Lo parole a corredo scatenarono una bufera: «Ama il prossimo tuo come te stesso… basta che sia figo e dell’altro sesso».

Quando il dirigente vuole fare il pubblicitario

A volte ci si pone la domanda se i pubblicitari facciano di proposito queste figuracce epiche (“purché se ne parli”) o semplicemente vivono in un mondo scollegato dalla realtà. Potrebbe esserci una terza via, che consideriamo più probabile ed è quella che ricalca l’abitudine italica ad essere tutti commissari tecnici della Nazionale (in questi ultimi tempi virologi): siamo tutti pubblicitari, esperti di comunicazione. Soprattutto se a pagare siamo noi (come azienda committente), per cui si fa quello che ordina o piace al padrone, purché saldi la fattura entro il termine concordato.