Home Politics Geopolitics “Non c’è più un ordine globale”. La geopolitica tra crisi e guerre infinite

“Non c’è più un ordine globale”. La geopolitica tra crisi e guerre infinite

forze Nato Russia Ucraina "Non c'è più un ordine globale": la geopolitica tra crisi e "guerre infinite"

Perché leggere questo articolo? L’ordine globale va in frantumi mentre le guerre a Gaza e in Ucraina plasmano una geopolitica competitiva diventando “permanenti”. Intervista ad Alberto Pagani, docente di terrorismo internazionale all’Università di Bologna ed ex capogruppo Pd in Commissione Difesa.

L’ordine globale va in frantumi mentre le guerre a Gaza e in Ucraina plasmano una geopolitica competitiva trascinandosi nella direzione di molti altri confitti diventati permanenti e difficili da risolvere. Il 2024 che si avvia ad arrivare, con le elezioni americane in programma a novembre e diversi scenari conflittuali a ogni latitudine potenzialmente esplosivi, si preannuncia il terzo di fila contraddistinto da rivalità strategiche a tutto campo. Sui loro sviluppi discutiamo con il professor Alberto Pagani. Pagani, che ha la titolarità di un corso sul terrorismo internazionale all’Università di Bologna è stato parlamentare e capogruppo del Pd nella Commissione Difesa alla Camera nella XVIII Legislatura, ed è studioso attento del settore della sicurezza.

Professore, le due guerre che hanno segnato l’ultimo biennio sono ancora in corso. Ormai possiamo dire che una nuova fase di conflittualità aperta è iniziata?

L’Ucraina e Gaza non sono due guerre totalmente indipendenti l’una dall’altra, come potrebbe sembrare. Nel disordine del mondo globalizzato si stanno riconfigurando alleanze di fatto tra Paesi che non si amano, ma che hanno in comune l’ostilità verso le democrazie liberali dell’Occidente. Mi pare evidente che i Russi, gli Iraniani, i Cinesi, e persino quegli squinternati della Corea del Nord, accomunati dall’antiamericanismo, si sostengano l’un l’altro. Questa alleanza di fatto mi sembra solida quanto certi matrimoni di interesse, che resistono a lungo anche senza alcun amore.

In che modo si sostengono a vicenda?

Gli Iraniani, sostenitori finanziari e militari di Hamas e probabili registi occulti della guerra del 7 ottobre, forniscono anche droni armati alla Russia per la guerra in Ucraina, e l’aiutano ad aggirare le sanzioni occidentali con il contrabbando degli idrocarburi, di cui sono diventati grandi esperti. In cambio le campagne di influenza e propaganda russe, che distorcono la realtà per favorire Hamas, aiutano il disegno egemonico degli Ayatollah nel Medio Oriente. I Cinesi partecipano alla guerra sul piano economico e diplomatico, salvando entrambi dall’isolamento, che li avrebbe già costretti a fermarsi per asfissia. Il disegno Cinese di integrazione delle economie del sud del Mondo persegue l’idea della de-dollarizzazione dell’economia globale, sfruttando le turbolenze nelle catene di approvvigionamento, conseguenti alla crisi Ucraina e porta all’inflazione ed al rischio di recessione globale.

L’Ucraina va verso lo stallo d’inverno. Che scenari si aprono per il conflitto?

Rimango convinto di ciò che dico sin dal primo giorno di questa guerra, l’obiettivo più ottimistico è la cessazione delle ostilità su di una posizione che permetta all’Ucraina di salvare la sua libertà politica e la sua sovranità territoriale, nei confini che sarà possibile. Perché si passi da uno stallo ad un cessate il fuoco e da questo, con il tempo, ad una condizione di pace, bisognerà costruire un nuovo e più stabile equilibrio internazionale, garantito da accordi con la Federazione Russa che coinvolgono ed impegnano anche gli Stati Uniti, la Gran Bretagna ed i Paesi della UE. A mio parere sarebbe meglio raggiungere queste condizioni prima che la campagna elettorale per le presidenziali americane entri nel vivo.

C’è il rischio di una endless war?

Molte guerre del nostro tempo si sono eternizzate, producendo un degrado contagioso delle condizioni di stabilità e di sicurezza internazionale. Libano, Afghanistan, Iraq, Libia. Vediamo Paesi che stavano meglio nel passato, perché le guerre che li hanno colpiti non sono mai finite del tutto. Il Libano era la Svizzera del Mediterraneo, non si è più ripreso davvero, tanto che serve ancora la presenza di una missione militare internazionale. Fino alla fine degli anni ‘70 l’Afghanistan era un Paese più moderno e più ricco, oggi è poverissimo. Iraq e Libia stavano meglio persino sotto la dittatura di Saddam e Gheddafi che nel caos totale di oggi. Solo nei Balcani occidentali la situazione è migliorata, quando è finita la guerra, per quanto vi siano ancora delle tensioni e dei rischi. Ora per l’Europa è importante stabilizzare e migliore la condizione dell’Ucraina, quanto lo è stato negli anni ‘90 per i Balcani.

Come potrà influire la corsa elettorale americana?

Temo che possa influire solamente in maniera negativa. Il candidato che si opporrà all’attuale Amministrazione americana avrà tutto l’interesse elettorale a sostenere una posizione contraria all’attuale e al sostegno militare all’Ucraina e proporrà il disimpegno degli Stati Uniti, per conquistare consensi nei settori dell’opinione pubblica più orientati ad una visione isolazionista dell’interesse nazionale americano. Questo dibattito non favorirà di certo il sostegno internazionale alla resistenza ucraina, e rischia di portare l’Occidente su di una strada simili a quella che fu tracciata dal Presidente americano Trump in Afghanistan, che ci fece abbandonare vergognosamente il popolo afgano al suo triste destino.

 Sul fronte di Israele, Netanyahu appare in una fase complicata tra una leadership traballante e la difficoltà di trovare soluzioni militari. Che strascichi lascerà la guerra tra Israele e Hamas?

Mi auguro che dopo il disastro del 7 ottobre la carriera politica di Netanyahu sia finita per sempre. E’ innegabile che la sua politica abbia favorito il rafforzamento di Hamas, con l’illusione di dividere il fronte palestinese e rendere impossibile la prosecuzioni dei negoziati di pace avviati  al Oslo nel ’93, da Rabin e Arafat. La destra israeliana ha favorito l’insediamento illegale dei coloni nei territori occupati ed alimentato le tensioni che generano odio e favoriscono gli estremisti di Hamas, con l’idea di indebolire così l’Autorità Nazionale Palestinese. “Divide et impera” non è una formula magica che funziona sempre, ed Israele non è l’antica Roma.

Come mai?

Hamas è un’organizzazione terrorista di matrice religiosa estremista, sulla quale i nemici di Israele hanno investito per anni una pioggia di milioni allo scopo di impedire ogni processo di pace. Oggettivamente la politica di Netanyahu ha favorito sia nemici di Israele che della Palestina, senza volerlo. Infatti gli attacchi del 7 ottobre non hanno alcun senso dal punto di vista militare e non aiutano in nessun modo la causa palestinese, perché il vero scopo dei mandanti è il fallimento degli accordi di Abramo, tra Israele ed i suoi vicini arabi.

Che “appunti” hanno preso quelle potenze revisioniste, dalla Cina all’Iran, che osservano le tensioni globali e la difficoltà dell’Occidente a coprire ogni spiraglio con il sostegno agli alleati?

Per la prima volta nella storia dell’ultimo secolo hanno registrato la possibilità di produrre divisioni  sfruttando gli interessi degli alleati degli americani e dell’Occidente. Paesi importanti come l’India o l’Arabia Saudita non hanno nemmeno condannato l’invasione russa dell’Ucraina, preferendo approfittare delle sanzioni adottate dagli Stati Uniti e dall’Europa per trarne un vantaggio per la loro economia. La Cina e l’Iran hanno capito subito che si apriva lo spazio per un’iniziativa politica e diplomatica e l’hanno sfruttato con intelligenza e cinismo. Un accordo tra sauditi ed iraniani mediato dai cinesi non era nemmeno immaginabile qualche anno fa. La guerra in Ucraina ha prodotto uno scenario nuovo ed il pensiero strategico cinese è molto flessibile, “come l’acqua che evita gli ostacoli e riempie le cavità”, diceva Sun Tzu.

E sul fronte dei nostri decisori?

I nostri leaders politici hanno smarrito la capacità di indagare la mentalità degli altri, per capire cosa faranno. In passato gli statisti cercavano di farlo, forse oggi non abbiamo più statisti. In un suo discorso J.F.Kennedy disse che “scritta in cinese la parola crisi è composta di due caratteri. Una rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità”. Infatti i cinesi hanno ben chiaro che il rallentamento del processo di globalizzazione penalizza la loro economia, ma siccome pensano davvero che ogni crisi contenga delle opportunità, come nel simbolo del tao il bianco contiene un punto di nero e viceversa, hanno cercato queste opportunità e le hanno trovate, ridefinendo di conseguenza la loro strategia.

Dal colpo azero contro il Nagorno-Karabakh alle rivendicazioni venezuelane sulla Guyana, passando per i golpe africani, cosa ci insegna l’ondata di tensioni e conflitti locali nelle aree periferiche dell’ordine globale?

Ci insegna che non esiste più un ordine globale. Dagli anni ‘50 agli anni ‘90 l’equilibrio bipolare della Guerra Fredda ordinava il mondo, quindi rappresentava un Ordine. Il crollo del muro di Berlino e la fine del bipolarismo non ha posto fine alla Guerra Fredda, ma a quell’Ordine Mondiale. Allora l’Occidente si è illuso ingenuamente di poter americanizzare il mondo, globalizzando il modello democratico insieme all’economia capitalistica, ma le cose non sono andate affatto così. Siccome ogni azione produce una reazione contraria ad essa, il processo di omologazione prodotta dalla globalizzazione ha generato nuove pulsioni identitarie e localistiche. Si sono quindi radicalizzate le differenze culturali, etniche e religiose. Nuove linee di faglia si sono aperte lungo i confini di antiche civiltà millenarie, che in passato furono potenze imperiali e che coltivano ancora l’ambizione di ritornare ad essere grandi imperi.

La fine dell’idea di “fine della storia”, insomma…

L’illusione occidentale di pacificare il mondo con il WTO ed Washington consensus, e l’idea che bastasse aprire i mercati per produrre la pace e la stabilità, diffondendo ricchezza economica e benessere, è fallita. La storia non è affatto finita, come profetizzava Francis Fukuyama, e non sono finite le guerre. Le tensioni sono alimentate sia delle diseguaglianze economiche e sociali e dalle ingiustizie che delle aspirazioni nostalgiche del celeste impero cinese, di quello zarista, di quello persiano o di quello ottomano. Infatti la critica più feroce all’imperialismo americano è venuta prima di tutto dagli altri imperialismi, che hanno alimentato il risentimento del Sud del Mondo per cercare nuove alleanze in Asia, in Africa, in America Latina. Tuttavia non sono riusciti a costruire alcuna alternativa seria, reale e credibile.

Queste guerre sono allora la “fine dell’ordine mondiale”?

Il vecchio Ordine Mondiale è finito, ma quello nuovo non riesce a nascere. Lo diceva Henry Kissinger già da qualche anno, evidenziando la pericolosità di questa mancanza di equilibrio ed auspicando che dal disordine potesse nascere quanto prima un nuovo ordine. Se n’è andato al Creatore senza poterlo vedere, ora speriamo di vederlo noi.