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Morti senza dimora, la strage invisibile 365 giorni all’anno

Morti senza dimora, la strage invisibile 365 giorno all’anno

Perché leggere questo articolo? Nei mesi invernali si riaccendono i riflettori sul tema delle morti in strada e gli sforzi delle amministrazioni si intensificano. Ma non è solo l’emergenza freddo la causa della morte delle persone che vivono situazioni di marginalità. Le persone senza dimora muoiono tutto l’anno. Da nord a sud, un fenomeno che interessa sia le grandi città che i piccoli centri. Bisogna partire dall’ accesso alla casa, alle cure e a percorsi di reinserimento sociale.

Nell’immaginario collettivo quando si parla di persona senza dimora è automatico pensare al barbone, al vagabondo e al clochard, termini usati spesso con un’accezione negativa. Ma analizzando nel dettaglio il fenomeno delle persone senza dimora ci si rende conto di come questa etichetta comprenda situazioni vaste e diversificate.

La parola “homeless”

Bisogna fare delle distinzioni. Lo “spiega bene “Parlare Civile – Comunicare senza discriminare”, il dizionario creato da Redattore Sociale, il network multimediale italiano di servizi informativi, di documentazione e di formazione online sui temi del welfare, del disagio sociale, dell’impegno nel volontariato e nel terzo settore.

Alla voce “homeless”, nella sezione “Povertà ed emarginazione” si legge: «Senza tetto è una persona senza un domicilio fisso, che vive in strada o in sistemazioni di fortuna e che a volte ricorre a dormitori o strutture di accoglienza notturna. Si distingue il roofless dall’homeless (senza dimora) e dall’houseless (senza casa)». Le varie locuzioni, che possono sembrare sinonimi, in realtà indicano tre condizioni diverse. «Il senza casa non dorme in strada perché pur non avendo una casa propria è ospite in strutture come dormitori, centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, per donne, o per homeless in generale. Senza dimora è la “persona che si trova ad affrontare sia una problematica abitativa sia, soprattutto, una grave situazione di emarginazione ed esclusione sociale».

I dati dell’osservatorio fio.PSD

Ogni anno, all’arrivo delle prime giornate di freddo invernale, le notizie di cronaca sulle morti in strada della persone senza dimora diventano una rubrica fissa. Ma come denuncia fio.PSD – Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora, le persone senza dimora muoiono in strada 365 giorni l’anno e non solo durante la cosiddetta “emergenza freddo”.

I casi di cronaca, accompagnati da un lavoro certosino, fatto dalla rete di soci della fio.PSD ha mostrato come «la concentrazione non è nel periodo invernale. Come si vede dal nostro report, nel 2022 si muore più d’estate», spiega Caterina Cortese referente per l’osservatorio fio.PSD. «Si muore tutto l’anno, si muore per incidenti , per malori improvvisi, a causa della compromissione della condizione psicofisica. Anche una semplice tachicardia o un po’ di diabete o qualche altra patologia che normalmente si cura con dei farmaci diventa letale».

I dati del report (che riportano i decessi 2022) mostrano che le morti avvenute in estate (109), ma anche quelle avvenute in primavera (97) e autunno (101), superano i decessi registrati nei mesi invernali (86). Per il 2023 la conta è arrivata a 405 persone, mantenendosi costante rispetto agli anni precedenti. Ad oggi, a pochi giorni dall’inizio del nuovo anno, l’osservatorio ha già registrato 6 morti tra le persone senza dimora (i dati sono in continuo aggiornamento sul sito fio.PSD).

Le città più difficili per i senza dimora

Dall’analisi e dalle interpretazioni di fio.PSD emerge che «nel periodo estivo le condizioni di vita delle persone senza dimora appaiono particolarmente critiche»; ciò è determinato dal peggioramento delle condizioni igienico sanitarie, dal difficile accesso alle risorse idriche e dall’intensificarsi delle ondate di calore. Dall’ altra parte però, si può affermare che «i Piani emergenziali adottati dalle amministrazioni locali tra i mesi di dicembre-marzo, con l’ampliamento dei posti letto nelle strutture di accoglienza notturna e il rafforzamento dell’attività delle unità di strada, abbiano contribuito a contenere, almeno in parte, i decessi».

In testa Roma e Milano, seguite da Napoli, Firenze, Genova e Bologna: le morti delle persone senza dimora interessano tutto il territorio nazionale, da nord a sud, e coinvolgono sia le grandi città che piccoli comuni di provincia (sempre secondo il report del 2022).

«L’homelessness si concentra maggiormente nelle grandi città e quindi non sempre si riesce a dare un posto letto a tutti o se anche c’è il posto letto per molti non è la risposta, quindi molte persone rimangono in strada perché non trovano una risposta ai loro desideri e bisogni», afferma Cortese. La ricercatrice spiega che oggi in Italia la risposta principale al fenomeno delle persone senza dimora sono i servizi di primo livello, ossia quei servizi volti a soddisfare i bisogni primari: mangiare, dormire, lavarsi e vestirsi.

Le vere cause dei decessi

Delle persone decedute nel 2022, il  91% erano uomini, per due terzi stranieri e con un’età media di 47 anni.

La causa principale non è il freddo, l’ipotermia infatti si trova all’ottavo posto tra le cause di decesso. La principale causa di morte è riconducibile a eventi esterni e traumatici: incidenti di trasporto, aggressioni o omicidi, ma anche suicidi, annegamento, incendi, cadute e altri eventi accidentali. «Le cause delle delle morti sono per lo più legate ai fenomeni accidentali, legati alla marginalità: si muore di invisibilità, di esclusione da tutta una serie di servizi essenziali a partire da quelli della salute e da un luogo sicuro e stabile dove stare che non è il dormitorio», dice Cortese precisando che non per tutti il dormitorio è la soluzione adatta e spesso per accedervi vi sono dei criteri stringenti che costituiscono delle barriere.

La strada è il luogo in cui gran parte delle persone senza dimora hanno perso la vita nel 2022 (circa il 30%), ma i decessi sono avvenuti anche in stazione (10%), lungo corsi d’acqua (8%), in edifici e aree dismesse (7%), in ospedale (6%), in carcere (4%) e in rifugi di fortuna (3%). Secondo Cortese «La salute delle persone senza dimora è uno degli aspetti più importanti su cui da anni i servizi provano a lavorare. Eppure l’accesso ai servizi di cura o l’avvio di percorsi di prevenzione sono difficilissimi da realizzare».

Parlare di emergenza rispetto al tema della grave marginalità adulta è fuorviante: si è di fronte a una situazione dettata in larga parte da meccanismi sociali ed economici di tipo strutturale. Porsi in un’ottica riparativa non è la soluzione, è necessario intervenire in modo strutturato e sul lungo periodo. Per determinare dei cambiamenti è necessario lavorare sulle cause profonde che generano il fenomeno dell’homelessness.

Tra diritto all’abitare e diritto alla salute

L’accesso alla casa costituisce un diritto essenziale che favorisce le relazioni e l’integrazione nella società per questo diventa fondamentale sviluppare percorsi che mettano al centro i differenti bisogni abitativi delle persone. Come precisa Cortese bisogna incrementare «i servizi che cerchino di favorire l’ascolto, la presa in carico della persona attraverso  percorsi di inclusione sociale».
L’emarginazione non è solo abitativa, la salute è un tema cruciale nel determinare le condizioni di vita di chi vive in strada. Si fa fatica a garantire l’accesso ai servizi di cura e assistenza sanitaria alle persone senza dimora.

I servizi bassa soglia sono fondamentali, ma sono una risposta temporanea, non hanno una funzione rieducativa o di inclusione. Negli ultimi anni sono state stanziate ingenti risorse destinate al contrasto della grave marginalità adulta. Questi finanziamenti hanno «l’obiettivo di rinnovare e potenziare i servizi in un’ottica più di lungo periodo, quindi “presa in carico sociale”, per accompagnare le persone che hanno problemi di saluto verso un percorso di cura che favorisca anche il ricongiungimento familiare e l’emersione dall’invisibilità a causa della mancanza di documenti» dice Cortese facendo riferimento anche allhousing first, un altro progetto portato avanti da fio.PSF che dà – alle persone senza dimora – l’opportunità di entrare in un appartamento autonomo.

Ripensare i servizi sulle esigenze delle persone: il caso dei giovani

La ricercatrice dell’osservatorio fio.PSD spiega che le risposte all’emarginazione delle persone senza dimora ci sono, ma vanno potenziate per cercare di far uscire la persona dalla condizione di marginalità. Cortese parla di attività di accompagnamento svolte in sinergia con le amministrazioni, si fanno percorsi «di accompagnamento e animazione territoriale attraverso un’azione di informazione, formazione. Cerchiamo di favorire l’uso delle risorse che oggi sono a disposizione per le gravi marginalità per rendere possibile la trasformazione degli attuali servizi in servizi più inclusivi, più innovativi».

Per ripensare i servizi è bene fare attenzione alle ricerche che mostrano le nuove tendenze sull’evoluzione dell’homelessness: «Rispetto al passato più giovani chiedono aiuto presso i servizi di accoglienza notturna, mense o distribuzione indumenti. Tra questi giovani ci sono sia ex minori stranieri non accompagnati che escono dalle comunità o da percorsi di accoglienza e non hanno un progetto di vita autonomo, né un circuito familiare a cui rivolgersi. Ma ci sono anche giovani che escono dalle famiglie di origine o dalle famiglie adottive, giovani che si allontanano dal loro nucleo familiare, amicale o parentale perché subiscono discriminazioni di genere», sottolinea Cortese parlando dei dati che vengono raccolti.

Un censimento difficile

I dati pubblicati dall’ISTAT presentano una fotografia parziale dell’estensione e dalla caratterizzazione del fenomeno della grave marginalità nel nostro Paese. L’ultima indagine sulle persone senza dimora è stata pubblicata nel 2015.

«Serve una volontà politica e tecnica per affrontare un tipo di censimento che è impegnativo. Contare la popolazione che vive in casa avviene col censimento permanente ed è un’operazione ormai consueta, invece, contare le persone che vivono in strada non è semplice perché è una popolazione difficile da raggiungere», fa notare Cortese.

Il 15 Dicembre 2022 l’ISTAT ha pubblicato i dati del Censimento permanente della Popolazione al 31 dicembre 2021. Per la prima volta la rilevazione ha reso disponibili dati su alcuni gruppi specifici di popolazione, tra cui le persone che vivono nelle convivenze anagrafiche, quelle che risiedono in campi autorizzati o insediamenti tollerati e spontanei, e le persone “senza tetto” e “senza fissa dimora”. Secondo fio.PSD questa specifica indagine costituisce un traguardo importante perché viene data visibilità e riconoscimento a fasce della popolazione precedentemente ignorate, ma allo stesso tempo non basta perché è un quadro parziale fatto con metodologia differente da quella usate in altri paesi europei.

Allargando lo sguardo al contesto europeo, Cortese parla di un progetto in partenza che «conterà le persone senza dimora in circa 12 città europee e noi collaboreremo in questa indagine e in Italia la conta avverrà su Catania e Milano».