Home Politics La resa dei conti fra magistrati e prefetti nelle carte del “processo Lucano”

La resa dei conti fra magistrati e prefetti nelle carte del “processo Lucano”

La resa dei conti fra magistrati e prefetti nelle carte del “processo Lucano”

C’è un contesto e un contorno dentro il quale ha preso forma la durissima sentenza contro Mimmo Lucano, di cui abbiamo scritto il 20 dicembre, con condanna di primo grado a 13 anni e due mesi di detenzione e 700mila euro di risarcimenti. Un contesto che, per usare le parole delle 900 pagine di motivazioni contro l’ex sindaco di Riace, sono “per nulla rassicuranti e a tinte fosche”. Solo che le “tinte fosche” poco rassicuranti non riguardano, in questo caso, Lucano, i “suoi” e le associazioni che si occupavano di accoglienza ai migranti a Riace e che proveranno a difendersi in Appello dalle decine di prove e documenti che li vedono coinvolti in sottrazioni di denaro pubblico.

Riguardano interi apparati dello Stato: magistratura, prefetti e Ministero dell’Interno. La storia è lunga ma bastino due esempi. Ci sono funzionari della Prefettura di Reggio Calabria che chiamano l’ex sindaco di Riace “Santo Lucano” prima delle inchieste, quando c’era da inviare migranti a caso trovando spazio (perché così funziona il sistema all’italiana avendo sempre fatto finta che l’immigrazione non sia un fenomeno strutturale ma solo figlio di continue e periodiche emergenze). E poi ci sono spiattellate, senza alcuna ragione processuale, le amicizie (o presunte tali) di Lucano con giudici di Magistratura democratica o comunque “sensibilità” progressiste.

La sentenza, un modo italiano per saldare antichi conti

La sentenza e l’intero processo sono diventati infatti uno dei tanti modi, molto “italiani” e ancor più “calabresi”, per saldare antichi conti fra funzionari dello Stato. Il caso più eclatante e anche più recente è quello che riguarda il “nemico” per eccellenza di Mimmo Lucano: il Prefetto di Reggio Calabria, all’epoca, Michele Di Bari che metterà Riace nel mirino. E che nemmeno due settimane fa – il 10 dicembre 2021 – si è dimesso dal suo ultimo prestigioso incarico (ottenuto in epoca “salviniana”) come Capo Dipartimento Libertà civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno perché la moglie è finita coinvolta in Puglia in un’inchiesta per caporalato e sfruttamento in agricoltura di manodopera migrante. Ironie del destino, per quanto ancora da appurare.

Le quattro relazioni sul sistema di accoglienza di Riace

Ma andiamo con ordine: ci sono 4 diverse relazioni che si accavallano negli anni sul sistema di accoglienza di Riace. Tre sono figlie di “ispezioni” del Servizio Centrale Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) del Viminale condotte congiuntamente con funzionari della Prefettura di Reggio Calabria, in particolare il dirigente Salvatore Del Giglio. Una condotta esclusivamente da funzionari della Prefettura. È piena di encomi ma per mesi verrà nascosta a Lucano che la otterrà solo presentando una nota in Procura a Locri. Nessuna di queste aveva comunque il compito di individuare reati o irregolarità ma di “mappare” eventuali criticità per poi affiancare gli enti attuatori dei progetti di accoglienza, quindi il Comune di Riace e le 5 associazioni coinvolte da Mimmo Lucano, al fine di apporre correttivi e migliorare la gestione dei fondi pubblici.

Le criticità contenute nelle relazioni su Riace

Nelle prime tre relazioni critiche, seppur non apocalittiche, si sottolineano nodi rispetto alle condizioni abitative degli immobili destinati all’accoglienza, suscitando lo stupore e l’incredulità del sindaco che risponderà inviando un video al Ministero nel 2018 girato durante la visita di una delegazione della Rete dei Comuni Solidali (Recosol) a cui però il Dicastero retto in quel momento da Matteo Salvini non darà alcun credito.

Altre criticità vengono evidenziate rispetto all’assenza, quantitativa e qualitativa, di servizi per i migranti come l’assistenza legale e i corsi di lingua che riguardano solo un numero minimo di stranieri: 9-10 migranti, dice un’insegnante agli ispettori del Servizio Centrale che monitorano i progetti in capo ai Comuni, contro i circa 165 stranieri accolti in quel momento nel piccolo paesino calabrese.

Il monitoraggio del prefetto Michele Di Bari

La prima di queste relazioni convince il Prefetto Michele Di Bari a mettere in piedi una “propria” struttura operativa per monitorare la situazione nei Cas – i Centri di Accoglienza Straordinaria che fanno capo alle Prefetture e non all’ente locale. In particolare Di Bari vuole sapere se Riace stia conteggiando in maniera “doppia” alcuni migranti, o comunque se vi fossero sovrapposizioni di nominativi, e cioè se alcuni soggetti stranieri fossero registrati contemporaneamente nei Cas e negli Sprar.

I toni entusiastici del report del 2017

Il 26 gennaio 2017 a Riace quattro funzionari dell’ufficio prefettizio di Reggio Calabria – i dottori Francesco Campolo, Pasquale Crupi, Alessandra Barbaro e Maria Carmela Marazzita – depositano un report di assoluta conformità, fatto salvo una singola irregolarità facilmente sanabile su una coppia di stranieri. Ma soprattutto i toni della relazione sono entusiastici su Riace. Al contrario dei tre precedenti, il report non viene reso noto per oltre un anno fino a quando Lucano sarà costretto a presentare un esposto alla Procura di Locri il 12 febbraio 2018 per ottenerne una copia.

La relazione è curiosa, almeno nel linguaggio. Si legge nella sentenza che i dirigenti prefettizi scelgono di utilizzare “uno stile non burocratico e istituzionale” al fine di “fornire uno strumento di comprensione del fenomeno Riace differente da quello acquisito e tentare di spiegare non solo quello che veniva fatto o non fatto, ma soprattutto come veniva fatto direttamente dalle persone di ogni colore e nazionalità”.

Una “narrazione delicata e benevola” di Riace

I giudici parlano di “una prosa morbida e avvolgente a tratti poetica” che si “attardava ad esplorare la profondità di certi sguardi dei bambini all’interno della scuola tra strida eccitate di giubilo infantile in cui si mescolavano ‘dialetti, dademi e treccine’ (citazione testuale NdR) e che si soffermava ad osservare l’errare solitario dei gatti per le strade”. Senza farla troppo lunga una “narrazione delicata e benevola” del “modello Riace inteso e valorizzato come esperimento sociale di elevata integrazione, dove si metteva in luce la dignità delle case destinate ai migranti […] resa calda e colorata da un’umanità variegata e ben integrata in quel territorio dove la scuola e le botteghe artigiane sparse nel vecchio centro realizzavano quella visione di inclusione e fratellanza, che costituiva la bandiera distintiva del Sindaco di Riace la cui casa era ritenuta peggiore rispetto a quella dei migranti”.

Un documento di cui Lucano era a conoscenza in anticipo

Abbiamo detto che Lucano ci mette oltre un anno a ottenere questo report. È tecnicamente vero. Ma dalle intercettazioni ambientali emerge come fosse a conoscenza del suo contenuto già prima. Conversazioni nel corso delle quali “faceva leva sul supporto che aveva ricevuto da numerosi magistrati e giornalisti” e senza nascondere “neppure i suoi rapporti privilegiati di conoscenza con gli stessi redattori di quel resoconto di verifica”. I quali “gli avevano espressamente comunicato l’esito positivo del loro elaborato manifestandogli piena solidarietà e dimostrandosi anche pronti – almeno a suo dire – a fare muro contro il Prefetto Di Bari ove lo stesso volesse far mutare loro quell’atto”.

L’autore del report destinato ad un altro incarico

Accade anche che il principale autore di quel report, Francesco Campolo (che stando a quanto dice Lucano era pronto anche a manifestare in piazza in sua solidarietà insieme a una collega con tanto di t-shirt ad hoc), viene quasi subito destinato ad altro incarico. Lucano interpreta questa mossa come una punizione per aver parlato bene di Riace dentro al più ambizioso “piano” per screditare Riace a livello politico. Sentito a dibattimento Campolo nega. Sostiene invece di aver fatto lui richiesta per un altro posto di lavoro e in merito al “suo” entusiasmante resoconto sul sistema di accoglienza a Riace non lo ricusa ma allo stesso tempo dice anche di non aver mai messo in discussione le criticità evidenziate dalle ispezioni precedenti. Interrogato dice testualmente di aver “voluto guardare all’aspetto sociale” di Riace dopo che gli altri “accertamenti erano stati fatti molto bene da parte dei colleghi”.

Lucano e l’appoggio “di parte della magistratura italiana”

A questo punto, per qualche ragione del tutto ininfluente ai fini processuali, la sentenza del Tribunale di Locri decide di soffermarsi lungamente sulle “amicizie” di Mimmo Lucano nel mondo dei magistrati calabresi. Viene pubblicato lo stralcio di “un’ennesima conversazione ambientale” nella quale Lucano si vanta “dell’appoggio fornitogli da una parte della magistratura italiana”. Appoggio che – a onor del vero – non sembra essergli servito a granché vista la condanna esemplare a 13 anni, dopo che la Procura ne aveva chiesti la metà, l’assenza per lui e suoi coimputati delle attenuanti generiche sebbene incensurati e la negazione della cosiddetta “continuazione del reato”.

I giudici pubblicano e scrivono dei rapporti di vicinanza con il magistrato Emilio Sirianni, già presidente della sezione lavoro della Corte d’appello di Catanzaro e segretario della sezione locale di Magistratura democratica oltre che autore di spicco di contenuti tecnici e divulgativi per QuestioneGiustizia, il magazine online della corrente “di sinistra” fra le toghe.

Poi ci aggiungono quelli con la giudice Olga Tarzia che a dicembre 2017 viene nominata presidente di sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria dopo aver guidato l’ufficio Gip del Tribunale reggino. Della Tarzia è Lucano a dire che la stessa le avrebbe riferito: “Siamo con voi Sindaco […] C’è stata la riunione di tutti i Magistrati democratici […] Ci dovete dire come evolve questa situazione con la Prefettura e prenderemo una posizione”.

Gli altri endorsement “pesanti” in Magistratura democratica

Sempre per bocca dell’ex sindaco di Riace vengono citati “endorsement” pesanti: come quello della toga Roberto Lucisano, anche lui Magistratura democratica, o ancora il Sostituto Procuratore Stefano Musolino (Md, in forza alla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria). E infine l’Aggiunto Gaetano Paci, con una lunga esperienza in indagini sulla mafia siciliana dopo anni in servizio alla Dda di Palermo, del quale Lucano dice, quasi incredulo per i supposti attestati di stima: “Lavorava con Borsellino”.

Stralci che nulla c’entrano con il processo e le accuse a Lucano

È bene essere chiari: tutti questi stralci nulla c’entrano con il processo e le accuse a Lucano e coimputati. Non dimostrano nulla e sono tuttalpiù usati in maniera confusionale dalla Corte di Locri per tracciare una sorta di profilo psicologico di Mimmo Lucano dal quale emergerebbe come l’ex sindaco si sentisse forte rispetto alla difesa del suo “modello” per una serie di ragioni. Che vanno dalla volontà della Rai di realizzare un fiction su Riace con Fiorello (poi non andata in onda) passando per le parole di appoggio di Papa Bergoglio fino all’invito in convegni e kermesse internazionali e l’arrivo a Riace di delegazioni istituzionali dell’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni (Oim).

Eppure le eventuali amicizie di Mimmo Lucano con esponenti della magistratura, o gli atti di stima ricevuti, vengono spiattellati nelle motivazioni di una sentenza di per sé molto solida sui diversi capi di imputazione (anche perché i legali di Lucano hanno quasi scelto di non difendersi nel merito). Perché accade? Chissà. Forse perché quando ci si mette a scavare nel fango, poi è difficile trovare il fondo.

Accurso, presidente del collegio giudicante senza aver ottenuto un solo voto

Deve essere per questa ragione che alla fine, dentro a un po’ di fango, ci è finito anche il giudice estensore della sentenza contro Mimmo Lucano. Fulvio Accurso, Presidente del collegio che ha giudicato Lucano ma anche Presidente del Tribunale di Locri, è stato nominato dal Csm a quell’incarico nel febbraio 2021. Qualcuno fa notare come, in realtà, il Consiglio Superiore della Magistratura non abbia espresso nemmeno un voto per lui. Aveva fatto invece all’unanimità il nome di una donna: la giudice Gabriella Reillo, in servizio presso la Corte di Appello di Catanzaro e una delle referenti nella provincia calabrese per la corrente di Area Democratica per la Giustizia (AreaDG), evoluzione di Magistratura democratica e comunque afferente al campo di “sinistra” della magistratura associata. Dopo nemmeno una settimana dalla nomina per la quale Reillo aveva fatto richiesta, la giudice rinuncia all’incarico appena ottenuto all’unanimità. Senza fornire nessuna motivazione concreta. Così Accurso diventa Presidente e continua a portare avanti il “processo Lucano” come “caso” più distintivo dell’intera giurisdizione della Locride.