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Milano Pride: tra pluralità e contraddizioni, uno specchio della società

Milano Pride

Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? Sabato 29 giugno si è tenuto il Milano Pride che, a dispetto delle critiche sugli sponsor e la presenza di brand, continua a essere un evento molto partecipato e di rilievo per i diritti LGBTQ+ in Italia. La manifestazione ha dimostrato ancora una volta la sua importanza come simbolo di lotta e celebrazione per la comunità.

Cinquantacinque anni dopo Stonewall

Il Milano Pride 2024 si è tenuto sabato 29 giugno, a ridosso del 55esimo anniversario dei moti di Stonewall. Avvenuti nel 1969 a New York, rappresentano un punto di svolta cruciale nella lotta per i diritti LGBTQ+. In risposta a una violenta irruzione della polizia al bar gay Stonewall Inn, infatti, la comunità queer guidata dalle sue componenti nere, latine e impegnate nel sex work insorse, dando vita a una serie di manifestazioni che segnarono l’inizio del movimento moderno per i diritti LGBTQ+. Gli eventi di quei giorni ispirarono una resistenza diffusa e portarono alla nascita di forme di attivismo che lottano da decenni per l’uguaglianza e la dignità.

Quest’anno la parata del Milano Pride ha attirato la partecipazione di 350.000 persone che hanno sfilato per le strade della città. Il corteo è partito dalla stazione centrale fino a raggiungere l’Arco della Pace. Questo percorso, ormai consolidato negli ultimi anni, esclude il quartiere LGBTQ+ di Porta Venezia. Tale decisione, spesso criticata, è dettata da ragioni di viabilità e dalla necessità di garantire spazi sufficientemente ampi per accogliere la moltitudine di partecipanti. Gli eventi distribuiti durante tutto il mese di giugno, invece, coinvolgono anche Porta Venezia.

La presenza delle aziende

Una delle critiche ricorrenti al Milano Pride riguarda la sua forte brandizzazione. La presenza di grandi sponsor commerciali come Google, Unicredit, Absolut e Penny ha suscitato discussioni sul rischio che l’evento venga sfruttato per scopi di profitto economico. Eppure l’edizione 2024 ha visto anche un fiorire di carri più piccoli, rappresentanti locali queer milanesi e associazioni provenienti da fuori Milano. Questo dimostra che, nonostante la presenza di grandi brand, il Milano Pride rimane un evento in cui si fanno sentire molteplici voci e istanze.

Il comitato promotore del Milano Pride ha prestato molta attenzione quest’anno alle accuse di rainbowashing. Attraverso i canali social, il comitato ha fornito delle spiegazioni sulle logiche organizzative, cercando di aumentare la trasparenza e placare le critiche dell’opinione pubblica. Se è vero che l’ingerenza dei brand durante i Pride è un problema, è altrettanto vero che organizzare una manifestazione di tale portata richiede risorse considerevoli, spesso ottenibili solo attraverso sponsorizzazioni. Per le città più piccole, che ospitano Pride meno visibili, il supporto finanziario è spesso inferiore.

La presenza politica al Pride

Il Milano Pride 2024 ha goduto del sostegno di diverse amministrazioni pubbliche, dal Comune di Milano ai comuni limitrofi, fino alla Commissione Europea. Tuttavia, la Regione Lombardia ha nuovamente negato il patrocinio per motivi ideologici, ribadendo una posizione di distanza rispetto alle istanze della comunità LGBTQ+. Alla parata hanno partecipato alcune autorità pubbliche. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, assente per motivi di salute, ha inviato un videomessaggio incoraggiando la cittadinanza a partecipare e sottolineando l’importanza di coinvolgere tutte le generazioni.

La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, è salita sul carro di Cig Arcigay Milano e ha tenuto un discorso incentrato sulla precarietà dei diritti e sull’importanza della loro tutela. La partecipazione di politici nazionali come Schlein sottolinea una vicinanza partitica con le istanze del movimento LGBTQ+, ma solleva anche degli interrogativi: perché figure di spicco come lei non partecipano anche ai Pride minori, meno visibili e con meno risorse?

La lotta intersezionale

Quest’anno il Milano Pride ha scelto di non avere madrine, ponendo al centro dell’evento le associazioni e le persone manifestanti. Questa decisione è stata spiegata con l’intento di valorizzare l’importanza delle voci collettive e delle esperienze individuali, piuttosto che concentrarsi su figure simboliche. Inoltre l’ente organizzatore ha promosso una riflessione sui diritti di stampo intersezionale, evidenziando come, in questo periodo storico, non si possa prescindere dal considerare la situazione palestinese.

A differenza di altri Pride, come quello di Bergamo, la manifestazione milanese non ha vietato le bandiere e i riferimenti a Israele, per evitare di creare un contesto ostile alle persone ebree (queer o meno) che partecipano alla manifestazione e il cui credo religioso non si sovrappone necessariamente al sostegno politico verso Netanyahu. Tuttavia l’associazione LGBTQ+ Keshnet Italia ha deciso di non partecipare per evitare il rischio di aggressioni.

Il rapporto con la Chiesa

Numerosi sono stati anche i riferimenti critici al rapporto con la Chiesa, in particolare con riferimento alle dichiarazioni di Papa Francesco sulla “fr*ciaggine” in seminario. Queste dichiarazioni hanno suscitato forti reazioni all’interno della comunità LGBTQ+, portate avanti anche dai gruppi queer cattolici presenti alla manifestazione. Tra essi Il Guado, storica realtà milanese.

In una manifestazione così ampia come il Milano Pride, emergono inevitabilmente contraddizioni accanto a una vibrante pluralità, riflesso di un’umanità complessa e variegata. Le tensioni tra interessi commerciali e autenticità, tra visibilità e inclusività, rendono questo evento un importante specchio della nostra società.