Home Politics Il limbo del lavoro sessuale. Parlano l’onorevole Maiorino e alcune sex worker

Il limbo del lavoro sessuale. Parlano l’onorevole Maiorino e alcune sex worker

Il limbo del lavoro sessuale. Parlano l’onorevole Maiorino e alcune sex worker

Attualmente la prostituzione è regolamentata dalla legge n. 75 del 1958, la cosiddetta legge Merlin. Il disegno di legge 2537 intende però modificare la normativa sul lavoro sessuale; facendo riferimento al modello nordico, che mira a proibire l’acquisto ed è fortemente contestato da chi svolge tale lavoro. Ne abbiamo parlato con la prima firmataria del DDL, la senatrice Alessandra Maiorino, e con sex worker e attiviste.

Cosa accadrà ora, con la crisi di governo, al DDL Maiorino?

“Quello che accadrà a tutti i DDL depositati” risponde la senatrice. “Rimarranno in attesa che qualcuno li adotti e combatta per loro nella prossima legislatura. Succede a tutti i DDL e PDL depositati ad ogni cambio della legislatura. Poi si ricomincia”.

Il lavoro sessuale può essere una scelta?

La risposta è sì secondo Claudia Ska, autrice di Sul porno che tratta di sessualità e pornografia. “Il grosso limite del DDL Maiorino è raccontare il lavoro sessuale e in particolare la prostituzione non come una libera scelta ma come un lavoro svolto da persone obbligate, sfruttate e vessate. C’è un solo paragrafo dedicato alla libera scelta però è breve e anche in esso si sostiene che la prostituzione è sempre un atto che svilisce l’individuo e rende il corpo una merce.

Nel testo del DDL la prostituzione non viene mai intesa come atto di autodeterminazione. Al massimo come scelta per svolgere liberamente un’attività economica, però facendo sempre riferimento al corpo. Inoltre si vuole equiparare i clienti – individuati principalmente come uomini – a criminali che, oltre a rischiare sanzioni pecuniarie e la detenzione, vengono equiparati ad abusatori e spinti a fare un percorso di reintegrazione nella società.

Quando si introduce il modello abolizionista, si sostiene che esso ha “un approccio neutrale verso l’attività prostitutiva in sé e non punisce chi la pratica ma tende a punire tutte le attività di contorno quali sfruttamento, reclutamento e favoreggiamento”. Eppure per com’è formulato il DDL non è neutrale. È molto stigmatizzante e concepisce il lavoro sessuale sempre come degradante perché legato a sessualità e corporeità.

Inoltre va a ostacolare un dialogo tra i generi. È vero che sono più gli uomini a consumare sesso, ma raccontare il lavoro sessuale solo in questo modo esalta la narrazione per cui l’uomo è sempre predatore e la donna preda. Come ci si pone in relazione agli altri generi?”.

Gea di Bella, educatrice sessuale in formazione e autrice della piattaforma La camera di Valentina, aggiunge che il DDL Maiorino “è il risultato di un Paese incapace di mettersi in discussione e radicalmente escludente quando vengono al pettine i nodi che intrecciano il sesso, il denaro e i diritti civili e umani. Se dovessi però prendere un difetto in particolare, sceglierei il pietismo: unico veicolo narrativo e vero movente delle scelte dettate nel disegno di legge; si parla di tratta come se fosse l’unico fenomeno inerente al lavoro sessuale e affonda le mani nel vittimismo per poter fare leva sulle sue argomentazioni (fallaci)”.

Su questo si esprime anche la senatrice: “La sentenza della Corte Costituzionale n. 141 del 2019 mostra quanto sia difficile stabilire quanto una scelta sia libera. Tutte le nostre scelte sono condizionate dal contesto e dal vissuto. È difficile credere che una donna con una possibile carriera di fronte, uno stipendio con cui sussistere, una famiglia alle spalle, etc. scelga di prostituirsi. Se la vita ci mette davanti a una sola scelta (prostituirsi), ci raccontiamo di averla scelta. Ma quando l’opzione è una sola, non si ha scelto. Quando parlo di prostituzione, parlo di quella in cui si hanno contatti fisici continui e costanti con uomini. A questa faccio riferimento qui e nel DDL. Il resto risponde a logiche e fenomeni diversi”.

Il modello nordico

“Il modello è chiamato anche equality model” sostiene la senatrice Maiorino. “Si fonda sul principio e mira all’obiettivo della parità di genere. L’acquirente è un maschio e chi si prostituisce è una femmina o facente funzione, quindi è una questione di genere. È impossibile raggiungere una parità di genere se gli uomini continueranno a credere che, attraverso una somma di denaro, possono accedere al corpo delle donne. Chi sostiene il principio di autodeterminazione non si rende conto che difende il diritto di chi compra, non di chi vende. Il modello nordico o egualitario – fatto per far emergere lo sfruttamento – tutela chi vende”.

Se si puniscono i clienti, non si pone chi vende in una posizione di rischio e svantaggio? “Quando c’è un cambiamento, ci sono dei periodi di assestamento” risponde a questa obiezione la senatrice. “Certo, il rischio c’è ma le donne che fanno questo lavoro avrebbero anche una possibilità in più: uscire dalla prostituzione. In ogni caso già oggi c’è la possibilità di spostarsi indoor e su internet. La riduzione dei clienti e del potere contrattuale che si teme non aprirà strade assenti. E anche lì si trova lo sfruttamento”.

Le critiche

Eppure il modello nordico che il DDL porta con sé è molto contestato da chi fa lavoro sessuale. Noto anche come neo abolizionista, mira a proibire non la prostituzione ma la fruizione del lavoro sessuale. Non impedisce di vendere, quindi, ma di comprare. Lo spiega SWIPE, associazione italiana di sex worker e persone alleate creata per supportare e sostenere i diritti umani delle persone che lavorano in questo settore.

“In breve, in qualsiasi scambio economico, non esiste penalizzare la domanda senza avere conseguenze devastanti sull’offerta. Le conseguenze più dirette vertono sul minore potere contrattuale, quindi accettare clienti che avresti rifiutato; rates più bassi, che per compensare portano a dover lavorare di più (quindi ad esporsi maggiormente); dover offrire prestazioni più a rischio, come il rapporto scoperto; difficoltà ad accertare l’identità del cliente, che quanto più è anonimo, tanto più diventa pericoloso; aumento della stigmatizzazione con conseguente emarginazione sociale di sex workers e delle persone a loro vicine.

Le conseguenze più indirette coinvolgono gli affittuari di appartamenti, che rischiano moltissimo. Se poi scoprono di cosa ci si occupa, ricorrono allo sfratto immediato, lasciandoci senza un tetto e senza un luogo di lavoro”.

Pia Covre

Pia Covre, ex prostituta e fondatrice del Comitato per i diritti civili delle prostitute (CDCP), aggiunge: “Dal mio punto di vista, noi saremmo molto penalizzati da una legge che impedisce di trovare dei clienti e di avere una contrattazione con loro. Il DDL trasuda di puttanofobia. Ci metterebbe nella condizione di fare delle trattative di nascosto, piene di sotterfugi e in situazioni di rischio. È inoltre una legge pensata solo per le donne, calibrata tutta al femminile, ma il mondo del lavoro sessuale oggi è variegato. Anche a livello di mansioni: non ci sono solo le prostitute di strada, che – anche dopo il Covid – costituiscono solo una minima parte. Oggi ci sono molti altri settori e categorie che fanno questo lavoro e nel DDL non vengono considerati”.

Il riferimento alle donne trans

Nel testo del DDL si legge che ci sono “motivazioni del tutto peculiari di natura psicologica, legate all’identità di genere” che spingono le donne trans alla prostituzione.

“Mi dispiace che questa frase molto criptica abbia generato degli equivoci” sostiene la senatrice. “Ho infatti coinvolto la comunità LGBTQ+ per aprire un tavolo di confronto su questo coinvolgendo in particolare il mondo trans. In quel passo si intendeva evidenziare la condizione particolare delle donne transgender. Le motivazioni di esclusione e difficoltà anche economica in cui possono trovarsi le donne che approdano alla prostituzione per le donne transgender sono ancora più accentuate perché allontanate e discriminate nel mondo del lavoro. Sono quindi spinte con più forza a prostituirsi”.

Naturalmente questo paragrafo non è stato ben accolto dalla comunità LGBTQ+ e in particolare dalla comunità trans italiana, che ha percepito un forte stigma nei suoi confronti.

Di cosa ha bisogno oggi chi fa sex work in Italia?

Risponde SWIPE: “soprattutto di poter sviluppare una comunità umana e politica, perché è l’unico modo per cambiare le cose. Finché aiutarsi farà rima con favoreggiamento costruire una comunità umana e politica sarà difficile. Divise siamo più vulnerabili, perché non possiamo affrontare il discorso pubblico e perché giorno per giorno siamo più isolate, con gravi effetti sulla nostra salute mentale e sulla nostra sicurezza fisica”.

Chi fa lavoro sessuale “ha bisogno di abitare senza sanzioni e rischi degli spazi definiti luoghi lavorativi. Ha bisogno che il proprio lavoro venga riconosciuto come tale e ha bisogno di godere di diritti lavorativi, che sono anche diritti umani. Ha bisogno che venga fatta una ri-educazione sulla sessualità e sul corpo, che venga dal basso. Che parta dalle scuola e che arrivi alle università e ai centri politici”.

Covre spiega anche che “non è cambiato moltissimo l’atteggiamento della società nei confronti del lavoro sessuale. In alcuni momenti c’è stata un’apertura maggiore e negli anni ’80 e ’90 sono state formulate delle proposte di legge per tutelare e regolamentare il sex work. Poi, con l’arrivo di lavoratrici e lavoratori stranieri in questo settore – anche in condizioni di mancata libertà – si è aggravata la situazione.

C’è stato un errore di base: invece di pensare che le persone migranti vadano poste in condizione di svolgere un lavoro nella legalità, ci si accanisce nei loro confronti spingendole nell’illegalità. Il problema non è il lavoro sessuale. Al posto di punire i clienti che richiedono le prestazioni, bisognerebbe porre chi fa lavoro sessuale nella condizione di svolgere il proprio lavoro legalmente. Il tutto si basa poi su un mancato rispetto verso questa professione, che non è vista come un lavoro tra gli altri”.

Ombre rosse, collettivo composto da sex worker, sottolinea l’esigenza di abbattere lo stigma. “Siamo tante, e  diverse, si può smettere di pensare per stereotipi e questo vale anche su chi fa lavoro sessuale. Inoltre dare strumenti alle lavoratrici sessuali per tutelarsi ed essere nelle condizioni più sicure possibile sarebbe un’azione concreta contro la violenza di genere che viene agita contro di noi”.

IL TESTO DEL DDL MAIORINO