Home Politics Lazio, i rimorsi del Pd locale: “Dovevamo andare con il M5s, non con il Terzo Polo”

Lazio, i rimorsi del Pd locale: “Dovevamo andare con il M5s, non con il Terzo Polo”

Lazio, i rimorsi del Pd locale: “Dovevamo andare con il M5s, non con il Terzo Polo”

Perché questo articolo potrebbe interessarti? La campagna elettorale per le regionali in Lazio e Lombardia sta entrando nelle battute finali. In Lazio, secondo i sondaggi, dovrebbe vincere il candidato del centrodestra Francesco Rocca con un ampio margine. E nel Pd romano è già cominciata l’analisi della sconfitta, con le critiche alla strategia sulle alleanze. 

Campagna elettorale stonata. E a poco servono le dichiarazioni entusiaste del candidato del centrosinistra a governatore del Lazio, Alessio D’Amato. “Siamo in rimonta, andremo a vincere”, ha detto quattro giorni fa D’Amato durante un’iniziativa a suo sostegno. La realtà, invece, è molto più amara. Il distacco con il candidato del centrodestra Francesco Rocca sembra siderale, almeno stando ai sondaggi. Infatti a sinistra già si cercano i colpevoli della probabile disfatta. Così c’è chi mette nel mirino la dirigenza nazionale e del Lazio per la strategia sulle alleanze. L’ex assessore alla Sanità della Giunta di Nicola Zingaretti è appoggiato dal Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda, ma non dai Cinque Stelle di Giuseppe Conte. I pentastellati, a differenza della Lombardia, corrono da soli con la candidata presidente Donatella Bianchi, ex volto televisivo di Rai1.

Lazio, le dichiarazioni di un deputato romano del PD

Ed è proprio il caso lombardo, dove i dem vanno con il M5s ma non con Azione e Italia Viva, a far dire agli scettici del Pd romano che no, non era possibile tenere insieme i terzopolisti e i grillini. Dunque, bisognava scegliere. Va da sé che per i critici in Lazio è stata fatta la decisione sbagliata, più penalizzante a livello elettorale. Sentite cosa dice a True-News.it un deputato romano del Pd, che però chiede di restare anonimo per non prendersi responsabilità in una fase delicata per i dem, con il congresso nazionale alle porte. “Tutti sapevano che non ci si poteva alleare contemporaneamente con Conte, Renzi e Calenda – spiega la nostra fonte – noi abbiamo scelto chi prenderà meno voti e consegneremo il Lazio alla destra”. Poi arriva la conclusione, lapidaria: “Dovevamo accordarci con il M5s anziché con il Terzo Polo”. Perplessità condivise – secondo i beninformati – da parte dell’ala sinistra del partito. In Lazio, insomma, i più pessimisti tra i dem locali prevedono un Movimento che sfiora il 20%, trascinato da proposte come quella del reddito di cittadinanza regionale e dai toni forti di una campagna in solitaria. Con un risultato del genere, o di poco inferiore, Rocca stravincerebbe e la sinistra perderebbe una Regione che governava.

Una débâcle laziale inquinerebbe il clima congressuale

Ma non solo. Una débâcle nel Lazio inquinerebbe il clima congressuale, con le primarie a poco meno di due settimane dal voto per le regionali. Ed ecco che il dibattito sulle alleanze locali entra nella partita nazionale. Chi critica l’asse con il Terzo Polo contesta anche la strategia del favorito aspirante leader Stefano Bonaccini, che continua a parlare di un dialogo del Pd con entrambe le altre forze all’opposizione del governo Meloni. Elly Schlein e i suoi, dal canto loro, riallaccerebbero prioritariamente un rapporto con il “progressista” Conte, all’insegna del ritorno di una coalizione giallorossa con trazione a sinistra. Non è un caso, dunque, che critica l’accordo con Renzi e Calenda in Lazio sia un sostenitore della mozione Schlein. Anche perché, ragionano non pochi tra i dem romani, un buon risultato di Conte con Bianchi offrirebbe al leader del M5s un’altra occasione per rosicchiare percentuali nei sondaggi ai democratici. Lasciare Conte da solo, secondo questa tesi, non sarebbe altro che un assist all’ex premier, desideroso di stabilizzarsi sopra il Pd e dettare le carte all’interno dell’opposizione. Ma se Conte non voleva D’Amato? “Dovevamo scegliere un civico, sul modello di Manfredi a Napoli”, la soluzione prospettata negli ambienti dei dem laziali che non volevano un accordo con Renzi e Calenda.