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La cena per farli votare Conte

La cena per farli votare Conte

“Stavolta lo faccio davvero”. Simone – nome di fantasia, che però si avvicina a un nome di battaglia vero – ha superato i 30 da un pezzo e da qualche anno ha abbandonato la “militanza dura e pura”. Campa creando associazioni per spremere i bandi del Comune, e dell’assegno mensile che gli girano i suoi genitori. Due sessantottini: proletario lui, di buonissima famiglia – rinnegata nel cuore, non nel portafoglio – lei. A cui ha deciso di stravolgere la consueta cena di rientro dalle vacanze.

“Com’era la Sardegna, caro?”, chiede la signora Paola, un passato nelle varie associazioni della sinistra extraparlamentare, ora riposto per lasciare spazio al volontariato e allo yoga.
“Meglio la Corsica, . È più wild”.
“In Liguria ci sei passato?”, interviene Armando, alle cronache più noto come “Giuliano”, il nome di battaglia degli anni di piombo. Divenne tristemente famoso per un corteo in cui rimase ucciso un vigile urbano. Una breve latitanza, la dottrina Mitterand e i buoni uffici della Curia lo portarono a una pronta grazia concessa. La sua redenzione oggi si chiama sudoku.
“Sì, . Di strada per andare a Cannes”.

Capitolo vacanze chiuso, ora si passa alle imminenti elezioni. È qui che il figliol prodigo ha pronta la “bomba” per gli anziani genitori fuoriusciti da Potere operaio.
L’assist involontario lo fornisce India, la sorella maggiore attiva nel sociale. Le estati sulle Ong del Mediterraneo sono un lontano ricordo: ora ci sono Fidel e Dolores – due Jack Russell – una brutta causa di divorzio e gli eventi della Fondazione Feltrinelli da portare avanti.
“La fascista è sempre più in testa nei sondaggi. Mi fa una paura…”

“Lei almeno è coerente”. Silenzio tombale, forchette che rimangono sospese per ripiombare rumorose sul servizio di porcellana.
“Cosa intendi, caro? Non penserai mica di votare quella fascista impenitente?”
“Certo che no, . Dico solo che almeno lei è fedele col suo percorso. Non ha cambiato duecento volte idea, come Fratoianni. Mi fa schifo, ma un po’ la rispetto: ha dei valori, mica come quella frattaglia del Pd”.

“Comunque tranquilli – lo sguardo di Simone si illumina, di quella luce che i compagni gli hanno visto sul visto durante gli scontri in Val di Susa e nella breve latitanza centramericana che è seguita – io ho scelto chi votare”.
“Ma non hai mai votato!” prova a intromettersi Armando, sdraiato sullo sconforto di un pouf – scomodo ma costosissimo regalo delle amiche del book club di Paola.
“Stavolta sì. Mi sono anche fatto la tessera elettorale”.

“Per votare chi? Aboubakar Soumahoro?”, ci prova India. “No, lui è un compagno vero. Ma a sto giro fa la stampella del Pd”.
“Potere al popolo?”, è il turno di Paola. “Basta voti inutili! Voglio un voto di protesta che arrivi in parlamento”.
“Non voterai mica Paragone…?”, Armando si ridesta preoccupato dal pouf.
“Tranquilli, voterò chi ha fatto la misura più di sinistra della politica italiana degli ultimi trent’anni”.
“Voto 5 stelle!”.

L’imbarazzo si trasforma in stupore, mentre Peck si raffredda.
“Il partito di Casaleggio e associati?”, tuona India. “Però hanno tagliato i parlamentari”.
“Quelli di Di Maio che abolisce la povertà!”, ci riprova Paola. “Dimmi una legge più solidale del Reddito di cittadinanza?”.
“Ma come fai a votare gente come Di Battista”, Armando oramai un tutt’uno col pouf. “Conte è il premier meno peggio che abbiamo mai avuto”.

“Capisco il vostro stupore. I cinque stelle sono giustizialisti, incapaci e voltagabbana. Ma sono l’unica soluzione radicale, se vogliamo ribaltare questo paese. Ho deciso, voto 5 stelle. Stavolta lo faccio davvero!”.