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L’Italia prova la rimonta nei Balcani dopo anni di assenza

L’Italia prova la rimonta nei Balcani dopo anni di assenza

Perché dovrebbe interessarti l’articolo? Si sta tornando a parlare dei Balcani e soprattutto della presenza italiana in un’area da sempre ritenuta strategica per Roma. Il nostro Paese però sconta anni di immobilismo nella regione e ora è costretto a una vera e propria rimonta per tornare in gioco. Da dove l’Italia potrà ripartire?

L’area balcanica torna a essere monitorata dall’Italia. Il nostro Paese da sempre qui gioca un ruolo fondamentale, ancora oggi ci sono nostri contingenti in Kosovo nell’ambito della missione Kfor. E la loro presenza è importante per stemperare gli animi, mai del tutto acquietati, tra Pristina e Belgrado.

Al tempo stesso però, Roma deve scontare non pochi errori commessi nella gestione del dossier balcanico. La politica negli ultimi due decenni si è come dimenticata degli storici legami con la regione. Martedì a Trieste è andata in scena la conferenza nazionale sui Balcani, un modo per riportare l’attenzione sulla regione e rilanciare le ambizioni italiane. Presente, tra gli altri, anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Torna a esserci consapevolezza delle potenzialità di un dialogo tra le due sponde dell’Adriatico, ma l’impressione è che il nostro Paese deve avviare una vera e propria rincorsa per tornare protagonista.

L’Italia costretta alla “rimonta”

Sembrano lontani i tempi in cui Roma è stata quasi assoluta protagonista nei Balcani occidentali. Nel 1997, con l’operazione Alba, l’Italia ha contribuito in modo decisivo a riportare la calma in un’Albania in preda a una vera e propria guerra tra bande. Un intervento, quello italiano, contornato da successo a livello diplomatico e grossomodo non percepito dalla popolazione come un’azione neo coloniale. Due anni più tardi, con Massimo D’Alema a Palazzo Chigi, l’Italia non solo ha dato il via libera ai raid della Nato sulla Serbia, ma ha anche attivamente partecipato dando disponibilità delle proprie basi agli aerei dell’Alleanza Atlantica.

Al netto delle considerazioni di merito sulle due operazioni, di certo le scelte operate da Roma hanno segnato un importante attivismo nella regione. Il tutto poi è stato contornato dalla partecipazione alla missione Kfor in Kosovo. Poi però, l’Italia si è auto defilata. I governi che si sono alternati nelle ultime due decadi poco o nulla hanno fatto per curare il confronto tra le due sponde dell’Adriatico.

La domanda sorge quindi spontanea: perché Roma si è tirata indietro? Il danno prodotto dal ventennale immobilismo potrebbe essere indelebile. Altri attori hanno preso il posto. Sia in ambito europeo, come in primis Francia e Germania, sia extra europeo, come la Turchia. “Questa domanda – ha dichiarato a TrueNews il ricercatore Francesco Trupia – me la sono posta anche io già tanti anni fa”.

I nostri interessi nei Balcani

Trupia oggi lavora in Polonia, ma per anni ha studiato le vicende balcaniche e ha vissuto nella regione. Conosce perfettamente le dinamiche politiche ed economiche che hanno interessato negli ultimi anni l’intera penisola balcanica. Ed è consapevole soprattutto di come all’Italia sia mancata una chiara visione della sua politica estera, anche in regioni limitrofe al suo territorio nazionale.

“Un’Italia che non si accorge per così tanto tempo dei Balcani – ha rimarcato il ricercatore – costituisce un vero e proprio scandalo. Ma volendo dare una spiegazione razionale a quanto accaduto, credo che il nostro Paese si è molto affidato ai meccanismi europei di integrazione, ha guardato unicamente ai processi di democratizzazione in atto e non ha fatto la voce forte”.

Non solo, ma potrebbe esserci una spiegazione di natura economica. “La nostra economia, rispetto a quella tedesca o francese – ha proseguito Trupia – è diventata molto più debole. Le esportazioni nei Balcani sono state appannaggio di Parigi e Berlino, ancora oggi ad esempio in tutta l’area si vendono quasi esclusivamente auto anche di seconda mano tedesche”.

In che modo Roma è ancora presente nei Balcani

Scelte errate quindi e contingenze poco favorevoli. Sta di fatto però che l’Italia negli anni 2000 non ha fatto nemmeno il minimo indispensabile per continuare ad avere una voce forte. “I francesi – ha infatti sottolineato Trupia – hanno investito molto sulla cultura. In tutti i Balcani ci sono istituti culturali francesi e corsi universitari in francese. Significa che c’è una classe dirigente che potenzialmente fra diversi anni parlerà anche in francese. Noi questo, nonostante la vicinanza storica e geografica, non l’abbiamo fatto”.

Tutto il terreno perso è adesso possibile recuperarlo? Anche questa è un’altra di quelle domande che sorge in modo quasi spontaneo. Ci sono dei punti che potrebbero andare a favore della nuova strategia di Roma. “Di sicuro siamo ancora presi in forte considerazione dalle popolazioni balcaniche – ha dichiarato Francesco Trupia – il soft power italiano fa ancora presa”. E per soft power si intende il made in Italy, molto ricercato, così come tutto ciò che riguarda il mondo dell’intrattenimento. Le squadre di Serie A ad esempio sono molto seguite, al pari di altri marchi sportivi o musicali del nostro Paese.

In generale, il “brand” Italia è rimasto molto forte in tutta la regione. Con le varie popolazioni potenzialmente ben disposte ad accogliere nuovi investimenti italiani, sia economici che culturali. “Ma occorre fare in fretta – ha ribadito il ricercatore – e avere una chiara linea da portare avanti”. Magari con una certa continuità, a differenza di quanto avvenuto negli ultimi decenni. Una strategia per i Balcani implica necessariamente un investimento rivolto al medio e lungo periodo, da seguire costantemente.

Gli interessi italiani nella regione

In ballo ci sono diversi interessi nazionali: la presenza dell’Italia nel cosiddetto Mediterraneo allargato, la crescita di nuove rotte commerciali per i nostri mercati, così come la sicurezza. Non bisogna infatti dimenticare che sempre più migranti percorrono la penisola balcanica per entrare nel nostro territorio.

Più in generale, tornare nei Balcani non vuol dire rinnovare un derby campanilistico con Francia o Germania oppure ripercorrere le tappe storiche che hanno portato alla nostra presenza nell’area. Significa, prima di tutto, curare al meglio il rapporto con le aree a noi vicine e perseguire i nostri interessi nazionali.