Home Politics In Italia non c’è alcuna “emergenza baby gang”. I dati dal 2002 a oggi

In Italia non c’è alcuna “emergenza baby gang”. I dati dal 2002 a oggi

In Italia non c’è alcuna “emergenza baby gang”. I dati dal 2002 a oggi

Nessuna “emergenza baby gang”, reati e persone indagate in calo o stabili da anni. Almeno a guardare i numeri ufficiali di Istat, Procure dei Minorenni e Dipartimento per la Giustizia minorile. La nuova “emergenza” 2022, almeno a Milano, non sembra avere grandi dati a supporto: le baby gang, i reati dei minorenni, lo sballo notturno con risse, aggressioni, violenze sessuali.

Milano: l’ultimo episodio: l’aggressione ad un agente di Polizia locale

L’ultima? Sabato 16 gennaio, una e mezza di notte in zona Papiniano, quando un vigile della Polizia locale di 61 anni in servizio anti vandalismo ha subito un’aggressione. Ha sparato in aria volontariamente una prima volta a pochi centimetri da un gruppo di ragazzi (skater di Bolzano hanno fatto sapere i giornali), a terra una seconda volta durante la colluttazione mentre questi cercavano di togliergli l’arma, buttarla sotto un’auto e darsi alla fuga. Nessun ferito, sarebbe potuta finire molto male. La vicenda ha ancora molti punti oscuri ma segue la notte di Capodanno in piazza Duomo con le violenze sessuali e le molestie contro diverse ragazze e numerosi episodi di cronaca degli ultimi mesi: dalle risse sui Navigli e in Garibaldi, passando per la battaglia di Piazza Selinunte nel cuore delle case popolari di San Siro, fino alla presunta resistenza ai controlli messa in atto da un gruppo di ragazzi di seconda generazione fuori dal McDonald’s di Piazza 24 Maggio.

Sul banco degli imputati: dalla Dad ai social network, fino ai rapper

Perché? Si fanno tante ipotesi, tutte troppo semplicistiche: c’è chi parla degli effetti nefasti di Dad e restrizioni legate alla pandemia, che avrebbero fatto “saltare il tappo” delle generazioni più giovani. Chi di nuove dipendenze da sostanze o comunque abusi delle stesse sin dalla tenera età. Qualcuno parla dei social network, altri della musica prendendosela con i nuovi “idoli” che gli adolescenti ascoltano, a cominciare dal rapper di Lecco che si è scelto proprio il nickname di “Baby Gang” ma è solo l’ultimo degli artisti di eccellenza di questa strana crociata contro la musica che in momenti diversi dell’ultimo quindicennio ha messo sul banco degli imputati un po’ tutti: dalla Dark Polo Gang, a Sfera Ebbasta, fino addirittura a Salmo, i Club Dogo, in passato persino Fedez.

La politica alla finestra, tra sparate e silenzi

Altri ancora sottolineano la difficile integrazione in alcuni quartieri, i contesti socio-economici che favoriscono la rabbia. “Quei manovali di periferia a caccia di una notte da padroni” ha titolato Repubblica per parlare della notte del 31 dicembre (prima di cambiare il titolo in “quei giovani”) facendo arrabbiare parecchi per il classismo intrinseco della parole. La politica? Per ora sta alla finestra fra sparate e silenzi. L’unica risposta è affidata alle forze dell’ordine sul cui operato tanto ci sarebbe da dire in diversi dei casi citati. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, per ora ha proposto di assumere 500 vigili in più augurandosi che “anche la polizia di stato faccia lo stesso”. La sua maggioranza di centrosinistra pare d’accordo. L’opposizione di centrodestra attacca a testa bassa insieme ai sindacati di Polizia sulle condizioni di lavoro. Il Questore di Milano, Giuseppe Petronzi, ha rilasciato invece in settimana un’intervista al Corriere della Sera dove, pur stemperando alcune esagerazioni, parla di nuove modalità per la gestione di piazze e ordine pubblico.

Ma i numeri cosa dicono? Calano i minorenni segnalati all’autorità giudiziaria

Fin qui cronaca e reazioni. Poi ci sono i numeri, ufficiali per quanto non sempre aggiornatissimi, che raccontano una storia un po’ diversa. Interrogando i database dell’Istat rispetto ai dati compiuti o denunciati a carico di minorenni emerge come non ci sia alcun boom. Il totale dei minori noti al sistema della giustizia nel 2011 è stato di 37.288 di cui quasi la metà (17.437) archiviato a stragrande maggioranza per irrilevanza o tenuità dei fatti. Ultimo dato registrato nel 2017 identico: 36mila giovani entrati nei circuiti della giustizia minorile, 17mila archiviati.

Più nel dettaglio: secondo l’ultimo report del Dipartimento per la Giustizia minorile (dati 2019) pubblicato a luglio 2020 nell’anno pre Covid i minorenni e giovani adulti segnalati dall’Autorità giudiziaria agli Uffici di servizio sociale per i minori (Ussm) sono in calo del 12% rispetto al 2018. L’anno 2017 invece rappresenta un punto di minimo nella serie storica in esame che è iniziata nel 2002, momento in cui in Italia si è cominciato a discutere fortemente di baby gang sui media. Tanto che il Dipartimento ha commissionato all’epoca una delle prime ricerche organiche sul tema di cui parleremo più avanti. In tutto questo periodo considerato si osservano due picchi in salita, nel 2004 e nel 2009. Nell’ultimo anno si assiste a una riduzione delle componente straniera (-21,3%), ma anche di quella italiana (-8,4%). Per dare un’idea in dati assoluti: nel 2002 erano 21.851 in minorenni inviati dai giudici all’Ussm considerano maschi, femmine, italiani e stranieri. Nel 2019 poco più della metà: 13.487.

E’ presto per parlare di un vero e proprio “boom”

Per essere più precisi e contestualizzare i dati va anche considerato che il numero dei procedimenti penali iscritti alle Procure per i minorenni a carico di un autore noto è più alto, circa il doppio. Tuttavia ben il 50% di questi si chiudono, come detto in precedenza, con un’archiviazione del procedimento. Tanto che il rapporto fra minori inviati all’Ussm e procedimenti aperti dalle Procure per i minorenni era di 473 ogni 1000 nel 2012 (prima rilevazione) e di 476 nel 2018 (ultima) avendo toccato il minimo nel 2017 (398). I tassi ogni 100mila residenti in età compresa fra i 14-17 anni invece sono costantemente in calo: dai 769 della primo dato agli attuali 588. Se ci sia stata invece un’inversione di tendenza in pandemia con un vero e proprio “boom” è troppo presto per dirlo, almeno a guardare i numeri ufficiali. Di certo si tratterebbe di dati non in linea con i trend degli ultimi 20 anni che hanno coinciso anche con importanti riforme del sistema che rendono quanto meno più accurate le indagini conoscitive anche se non necessariamente più efficaci le politiche.

La classifica dei reati: prevalgono i delitti contro il patrimonio

Anche sulla tipologia dei reati – commessi o denunciati – andrebbero aperte una parentesi: a livello mediatico colpiscono sempre le violenze sessuali e le molestie di gruppo ma in realtà non sembrano queste fattispecie rappresentare l’eventuale “emergenza giovani” post Covid. I flussi sulle tipologie di reato di soggetti in carico agli Ussm (considerando che si resta in carico anche per più tempo quindi c’è un effetto “cumulazione”) sembrano confermare la forte prevalenza dei delitti contro il patrimonio (quasi il 45%), tra i quali si distinguono i furti (22,1%) e le rapine (9,2%); a seguire, sono da evidenziare i danni (5,2%) e le ricettazioni (4,8%). Frequenti sono anche le violazioni delle disposizioni in materia di stupefacenti (11%). Nell’ambito dei delitti contro la persona, si distinguono le lesioni personali volontarie (10,9%) e le minacce (4%), seguite, a distanza, dalle violenze private, dalle violenze sessuali, dalle percosse e dagli atti persecutori. Tra i delitti contro lo Stato, le altre istituzioni e l’ordine pubblico, si distinguono la violenza e la resistenza ad un pubblico ufficiale (5,2%). Molto frequenti sono anche le violazioni delle disposizioni in materia di armi (4,7%, considerando delitti e contravvenzioni) e quelle del codice della strada (quasi il 2%, in questo caso si tratta in gran parte di sanzioni amministrative ).

Per dare un’idea dei numeri assoluti e tenendo conto che su un singolo soggetto potrebbero esserci – e di solito ci sono – più reati a carico, quelli contro il patrimonio sono 26.826 contro i 15.365 contro la persona. “Vincono” di gran lunga i furti (13.480) mentre le violenze sessuali sono 1.101 (che non significa che in Italia ci sono mille stupri l’anno commessi da minori visto che la fattispecie è più ampia e articolata su più tempo).

La pressione mediatica e la nascita dell’ “allarme baby gang”

Veniamo al contesto storico: la forte pressione mediatica porta il Dipartimento per la Giustizia minorile a commissionare a inizio anni Duemila – il momento zero della serie considerata – una serie di ricerche sulla devianza minorile di gruppo e collettiva in Italia basata su registri, dati, interviste o audizioni ai Procuratori dei minorenni di mezza Italia, utenti e operatori dei servizi sociali e via discorrendo. Sono proprio gli articoli di giornale la materia prima da cui partire, tanto che i ricercatori cominciano da un’analisi della stampa che sta spingendo sul tema delle baby gang, il “branco”, i “teppisti”, la subcultura mafiosa (in alcune aree del Meridione). Merita una lettura la premessa che fanno gli analisti del Dipartimento di Giustizia minorile e dell’Università La Sapienza che nella ricerca “I gruppi di adolescenti devianti” aprono così: “Negli ultimi anni, nonostante non si riscontrino differenze significative nel numero dei minori denunciati alle Procure della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni, è andato crescendo l’allarme”.

“Fenomeno grave non per gli atti in sè ma per il disagio sotteso”

Rispetto agli stereotipi vigenti all’epoca, come oggi, però le indagini conoscitive mostrano anche in questo caso evidenze statistiche opposte. Più colpito il nord Italia del sud, il centro città rispetto alle periferie e le città rispetto alla provincia, seppur spesso proprio perché le metropoli agiscono da centro catalizzatore anche per chi provenga da fuori. Si legge che pare trattarsi di un “fenomeno tipico della società del benessere e dell’urbanizzazione, che si manifesta in aree cittadine del centro e soprattutto del centro nord, ovvero le aree più avanzate del Paese dove il processo di modernizzazione è ormai consolidato” producendo “nuove problematiche e gli adolescenti, i più sensibili alle disfunzioni, in alcuni casi le hanno colte ed esternate con comportamenti delittuosi preoccupanti”. Si trovano dentro le cosidette “baby gang” inattese presenze femminili nell’ordine del 20%.

Si scopre che, sopratutto all’epoca, la componente straniera è largamente minoritaria ma anzi è tipico di “fasce sociali non sottoposte ad alcuna discriminazione” e “di figli della società del benessere”. I ricercatori spiegano come il “fenomeno sia grave “ma non tanto per la gravità degli atti di per sé che non sono drammatici ma per il disagio sotteso a questi comportamenti e per i possibili sviluppi che possono esserci nella cita di questi minori”. Frasi di 20 anni fa ma che sembrano descrivere perfettamente il presente. In effetti basta conoscere e parlare con gli operatori che prestano servizio presso le Comunità per Minori per sapere che spesso gli autori di reato che si trovano in misura alternativa alla detenzione o messa alla prova non sembrano avere alcuna contezza delle conseguenze sulla propria vita personale o lavorativa dell’aver ricevuto eventuali sentenze di condanna.

Il report del Dipartimento per la Giustizia minorile: “Reati finalizzati al possesso di status symbol”

Venendo a Milano. Molto interessanti anche alla luce del presente sono alcune delle testimonianze raccolte all’interno. Da Don Gino Rigoldi all’epoca Cappellano del carcere Beccaria che parla di “reati e aggressioni finalizzate soprattutto al possesso di oggetti status symbol o al procurarsi i soldi per acquistare altri beni di consumo” ma anche di una “certa dose di violenza” che è “fisiologica: spesso gli adolescenti si misurano con i coetanei per verificare la propria capacità di vincere” ma “quando essa si rivolge verso i soggetti più deboli o è di gruppo assume le caratteristiche di un comportamento assolutamente immorale e vile”.

L’allora Procuratore per i minorenni: “Baby gang? Provengono dal ceto medio-borghese”

Come è invece l’allora Procuratore per i minorenni, il giudice Ingrascì il cui ruolo oggi è ricoperto da Ciro Cascone, a puntare il dito contro la “propensione al crimine di minori appartenenti a classi abbienti” senza “alcuna giustificazione socioeconomica” ma “motivata da situazioni di abbandono morale da parte di famiglie incapaci di rappresentare un valido riferimento etico-educativo perché troppo spesso impegnate ad accumulare beni materiali da cui trarre il prevalente se non l’unico significato di vita”. Almeno all’epoca il fenomeno che la pubblica opinione definiva baby gang era caratterizzato dalla presenza del “ceto sociale medio-borghese” spiegava il magistrato.