Home Politics Il vaticanista: “Zuppi di strada ma anche di governo. Non è un progressista”

Il vaticanista: “Zuppi di strada ma anche di governo. Non è un progressista”

Chi è Matteo Zuppi

Lo scorso 24 maggio Papa Francesco ha nominato il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. La nomina del successore di Gualtiero Bassetti alla guida della Cei è stata salutato con simpatia dalla stampa italiana, soprattutto quella progressista. Un entusiasmo amplificato dall’annuncio della pubblicazione entro il prossimo novembre di un rapporto sugli abusi sui minori nella Chiesa dal 2000. Ma chi è veramente il cardinale Zuppi? Marco Grieco, vaticanista che ha collaborato per vari giornali, tra cui Domani e L’Espresso, prova a fare un ritratto del presidente della Cei.

Chi è monsignor Zuppi, un prelato di lotta o di governo?
È un prelato che sta su tutti e due i fronti. Definirlo un prete di strada forse è troppo, ma comunque è uno che nell’arcidiocesi di Bologna, dove è tuttora insediato, ha dimostrato di essere disposto all’ascolto. Ha visitato diversi centri sociali e ha fatto diversi pranzi per i poveri. Questa è sicuramente l’eredità dell’Impronta di servizio di Sant’Egidio, in cui ha militato da quando aveva 15 anni. Al contempo, va sottolineato come dall’altra parte Zuppi sia pronipote del cardinale Confalonieri, che è stato Segretario particolare di Pio XII. È quindi un uomo che conosce le dinamiche della politica vaticana

Quanto è importante l’esperienza nella Comunità di Sant’Egidio?
Qui è cresciuto. Andrea Riccardi, il fondatore di Sant’Egidio, lo aveva invitato al servizio in Trastevere nel 1968, quando è stata fondata Sant’Egidio. Lì è nata la sua vocazione di sacerdote. Quindi è uno che sicuramente si è speso molto. In una recente intervista, monsignor Paglia, il presidente della Pontificia Accademia per la vita ed altro vescovo di Sant’Egidio, parlava di lui come “Il Don Matteo che si fermava a parlare con i senzatetto, con i comunisti, con gli ubriachi”. Ha ancora la cittadinanza onoraria del Mozambico, da quando negli anni Novanta venne scelto da Riccardi per tentare una mediazione, poi riuscita, alla ventennale guerra civile.

Era il candidato dei vescovi progressisti italiani?
La vera rottura sarebbe stata il cardinal Lojudice, anche lui romano, ma di Tor Bella Monaca, mentre Zuppi ha maggiormente bazzicato le logge vaticane. Era la terza proposta della rosa che i vescovi hanno fornito al Papa. Bergoglio è il Primate d’Italia e quindi elegge il presidente della Cei sulla base di una terna che gli viene fornita dai vescovi. Il Papa tiene conto di chi ha avuto appunto la maggioranza, come nel caso di Zuppi. Il secondo votato è stato il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti. In un certo senso, un messaggio di rottura verso il Papa, che in un’intervista al Corriere lo scorso 3 maggio aveva detto di preferire un cardinale. Legando di fatto le mani agli elettori. Il fatto che la Cei come seconda scelta abbia optato per un vescovo è certamente un segnale. È interessante che i vescovi abbiano comunque votato Castellucci, questo mostra come ci siano dei malesseri tra l’episcopato italiano e il Papa.

Quali malumori in particolare?
Diversi analisti in passato hanno scritto in passato della diffidenza di Bergoglio verso gli italiani. Per vari motivi, tra cui il clericalismo e il carrierismo dei vescovi nostrani. Secondo me, tra il vero nodo della questione è che il Santo Padre ha ha visto nella Chiesa italiana delle personalità poco propositive e poco dinamiche. Tant’è vero che al convegno di Firenze nel 2015 chiese ai vescovi di organizzare un Sinodo episcopale. Questa è stata lettera morta. Un Sinodo equivale a fare un punto della situazione. E poi c’è la definizione eclatante del Papa al Forum Mediterraneo organizzato dalla Cei a Firenze. Ufficialmente per il ginocchio, ma il fatto che fosse stato invitato l’ex ministro Minniti ha inciso. Il forum non è nemmeno stato menzionato dal Papa nell’Angelus.

Quanto interverrà sulla politica italiana la Cei, dopo gli anni abbastanza silenziosi della presidenza di Bassetti?
Sotto Bassetti, uomo spirituale, la Cei era stata meno politica. Penso che con Zuppi, la Conferenza tornerà ad avere rappresentanti forti, in conformità con la sua storia, pensiamo a Ruini. Zuppi era un grande amico di Sassoli, conosce bene Prodi ed è amico di Riccardi. Conosce bene una certa politica progressista. Ma è sempre stato equidistante. Davanti a questioni cogenti – quali il ddl del Senato, l’aborto – ci si aspetta che cercherà in qualche modo di farsi sentire. Rispetto a Bassetti, uomo poco avvezzo alla leadership politica, avrebbe probabilmente gestito diversamente la pandemia. I vescovi avevano contestato le chiusure, per poi ritrattare e il Papa era intervenuto per spegnere le polemiche, salvo di fatto smentire la linea della Cei.

La nomina di Zuppi è stata salutata con simpatia da tutti gli osservatori, soprattutto sulla stampa progressista. Cosa può rendere nel concreto l’agenda Zuppi davvero progressista?

È chiaro che il tema centrale è il dossier sulle molestie all’interno della Chiesa. C’è stata una prima apertura, ma è difficile capire quale dove andrà la Cei. Quasi sicuramente i vescovi italiani dovranno tener conto delle aperture in giro per il mondo. Quello che è certo però è che la linea di Bassetti non può essere tollerata da #ItalyChurchToo. È un collettivo di associazioni che rappresentano le vittime di abusi, che ha mandato una lettera ai vescovi proprio il lunedì scorso, in occasione dell’apertura della 76ª assemblea della Cei. Quello che ha affermato Bassetti al Corriere della Sera gennaio, “bisogna evitare di fare il giustizialismo dei dati”, è stato ampiamente criticato.  che noi ci occupiamo di questo, però i dati bisogna evitare di fare luce sul giustizialismo. Su questo punto di vista, Zuppi è sempre stato in sintonia con Bassetti e gli altri vescovi.

Zuppi rappresenta un orientamento minoritario dentro la Cei?
Quello che ha sempre contraddistinto Zuppi è la propensione all’ascolto. Ha autorizzato la pastorale verso le comunità LGBT cristiani. A giungo nella diocesi di Bologna partirà una cinque giorni di ritiro per i cristiani LGBT, autorizzata dall’arcivescovo. Anche se rimangono delle perplessità in merito.

Quali?
La questione dei cattolici di cristiani LGBT e il ddl Zan, su cui è stato chiaro. Quando la legge è stata affossata lo scorso anno, Zuppi si è dichiarato in linea con la posizione di Bassetti. Ha affermato che sarebbe stata necessaria una legge diversa, rispettosa di tutte le sfumature. Pur avendo confermato che quella contro l’omo-bi-transfobia è una lotta legittima. Zuppi è così: da un lato ha firmato la prefazione al libro “Un ponte da costruire” di James Martin, gesuita simbolo dell’apertura della chiesa al mondo LGBT; e dall’altro mantiene la stessa equidistanza che ha il quotidiano Avvenire.

Sulla guerra in Ucraina ha rilasciato dichiarazioni?
Sì, anche qui interessanti. Ha parlato appunto della pace, ma in un’intervista di Domenico Agasso sulla Stampa gli avevano chiesto di Kirill, lui lo aveva quasi coperto, dichiarando: “Non c’è alcuna giustificazione di Dio alle violenze, e Kirill in un primo comunicato aveva chiesto di non toccare i civili”. Lo stile è quello diplomatico di chi, su temi caldi che possono mettere a rischio la Cei, difficilmente farà quelle aperture che i progressisti si aspettano. Come Monica Cirinnà che gli dedico un tweet, quando nel 2018 aveva firmato la prefazione del libro di Martin.

Quant’è vicino a Papa Francesco?
È molto vicino. Papa Francesco lo ha scelto quando lo ha creato cardinale. È molto in sintonia con la Chiesa di Bergoglio. Entrambi sono eredi della stagione del Concilio. Quando si è insediato a Bologna nel 2015, Zuppi ha salutato i fedeli “con simpatia”, lo stesso termine di Paolo VI al termine del Concilio Vaticano II. L’idea della Chiesa in dialogo con tutti, accogliente verso tutti, che integra. Ma legata alla tradizione, alla dottrina e al magistero.

La sua promozione alla presidenza della Cei può essere vista come un allontanamento da una possibile successione a Bergoglio?
Dipende. Il mandato di Zuppi durerà cinque anni, ci auguriamo che nel 2027 ci sia ancora Papa Francesco. È sicuramente considerato uno dei papabili per la succesione, ma non credo che dietro alla sua nomina ci sia stata una qualche strategia. Certamente Zuppi rappresenta una personalità vicina a Bergoglio, ma non è un bergogliano. Altrimenti non avrebbe ottenuto voti così ampi all’interno della Cei. Non è della cerchia ristretta del Papa e piace per la sua equidistanza.

Qual è il candidato che i conservatori più di tutti vorrebbero “bruciare”?
Allora è difficile dire chiaramente che tra gli italiani possa salire al Soglio un candidato di fresca nomina. Ecco uno che invece è dentro il Vaticano da tantissimo tempo, anche se fresco di nomina, è proprio Zuppi. Che però rappresenta proprio quella Chiesa mite ed equidistante. Chi vedo tra i candidabili italiani è Parolin, l’attuale segretario di Stato. Papa Francesco ha già annunciato una prossima infornata di cardinali elettori, con predilezione di quel Sud globale che rispecchia la sua idea di chiesa. Ci sarà un conclave molto bergogliano, poco italiano e poco europeo. Recentemente, in un’intervista Zuppi ha affermato che “non si vede come Papa”. Cosa che storicamente avviene coi presidenti della Cei.

Ci può fare un bilancio sul mandato di Papa Francesco?
Papa Francesco e guida la Chiesa che in agonia. Le chiese sono vuote, non ci sono più fedele, eccetto che in Asia e in Africa. Come dice Massimo Franco, “un picco della popolarità Bergoglio la deve al Covid”. Il suo è un pontificato molto personalistico, iconico se vuoi. Era dai tempi di Giovanni Paolo II che la Chiesa non era così coincidente con il Pontefice.  È il Papa che ha fatto più riforme in assoluto. Ha aperto tante porte, ma c’è il rischio che si chiudano. Ha avviato un processo di sinodalità, che però spesso non è stato raccolto. Zuppi può essere visto, come in un certo senso, una risposta a uno scollamento che invece era rappresentato molto da Bassetti. La Chiesa italiana è una locomotiva che procede a una velocità ridotta rispetto ad altre, su tutte quella tedesca. I vescovi cattolici tedeschi hanno messo sul tavolo l’apertura alle donne, proposte LGBT e i preti sposati. Papa Francesco non è più la figura di riferimento per i laici, lo conferma “La Chiesa brucia” di Andrea Riccardi. La pandemia ha dato il colpo di grazia alla Chiesa, lo conferma il ruolo non così determinante del Papa nella diplomazia della guerra in Ucraina.