Home Economy Come la guerra in Israele rovina i piani dell’Italia. E un possibile Piano B

Come la guerra in Israele rovina i piani dell’Italia. E un possibile Piano B

Affari di guerra, chi ci guadagna col conflitto Israele-Palestina

Perché leggere questo articolo? Dal Piano Mattei al Corridoio India-Medioriente-Europa, Il ritorno della guerra tra Israele e Palestina sono un rischio per la sicurezza nazionale dell’Italia e una bomba sui nostri piani strategici. 

La più grave crisi tra Israele e Palestina del nuovo millennio lascerà dei lunghi strascichi in Medioriente. Strascichi che con buona probabilità lederanno anche l’interesse italiano. Il ritorno della guerra non incidere solamente sullo sicurezza del Medio oriente. Il conflitto tra Israele e Hamas potrebbe impattare indirettamente anche sulla nostra sicurezza nazionale.

I rischi per l’Italia dal conflitto in Israele

Se il congelamento dell’espansione degli Accordi di Abramo innescato dalla guerra tra Israele e Hamas è un problema (quasi) esclusivo degli Stati Uniti, il ritorno del Medio oriente a un passato conflittuale, come nei momenti più accessi della Guerra fredda e dopo l’11 settembre, rappresenta una sfida per tutti i paesi occidentali, che in quella zona hanno interessi e investimenti. Come l’Italia.

L’Italia, pur non figurando tra le parti direttamente interessate e coinvolte nella questione palestinese, ha un portafogli ricco ed eterogeneo in Medio oriente, che la riaccensione dell’instabilità in Terra Santa e i riverberi della competizione tra grandi potenze nei dintorni mediorientali e nordafricani hanno il potenziale di aggredire e danneggiare: il dispositivo di mantenimento della pace in Libano, le infrastrutture energetiche nella “Libialgeria”, la quiete nella vicina Tunisia, i rapporti privilegiati con le grandi potenze della penisola arabica.

Dalla tranquillità del Medio oriente e del Mediterraneo allargato dipende la sicurezza nazionale dell’Italia, intesa in termini economici, energetici e financo fisici – dagli esodi migratori al terrorismo. Dalla pace nell’Israele-Palestina dipende l’exit strategy sulla quale ha puntato il governo Meloni per mitigare l’impatto dell’uscita dalla Belt and Road Initiative, ovvero la concretizzazione del Corridoio economico India-Medioriente-Europa.

Serve un piano c per salvare il piano B

Il governo Meloni ha lasciato la Cina per l’India per questioni politiche e aspettative. Le prime coincidenti con le pressioni degli alleati maggiori, in particolare gli Stati Uniti, in un delicato momento di allineamenti e riallineamenti. Le seconde corrispondenti alla fiducia nelle (rosee) previsioni che vorrebbero e vedrebbero il gigante dell’Indo nelle vesti di futura fabbrica di beni a basso costo per i consumatori occidentali, nonché di nuovo cuore della globalizzazione, nei decenni a venire.

Il piano b del governo Meloni è una scommessa sulle capacità manifatturiere e sulle potenzialità politiche dell’India, che nel 2023 ha sottratto alla Cina lo scettro di paese più popoloso del pianeta e che nel 2022 è subentrata al Regno Unito nella quinta posizione delle maggiori economie mondiali. Ma la scommessa, suggellata dalla firma di un partenariato strategico, potrebbe essere compromessa dall’arrivo della competizione tra grandi potenze nell’Israele-Palestina.

Il Corridoio economico India-Medioriente-Europa, pensato e progettato da Nuova Delhi (e Washington) per ridurre l’impatto geoeconomico delle Vie della seta in fase di edificazione da parte di Pechino, dovrebbe fare tappa in Israele, più precisamente nel porto di Haifa, prima di raggiungere i mercati europei. Ma una stagione di instabilità rassomigliante all’epoca post-11/9, e più concentrata che in passato in Terra santa, avrebbe delle inevitabili implicazioni per l’ambizioso progetto di connessione transcontinentale. Incluso il suo possibile accantonamento.

Da Israele la parola fine Piano Mattei?

In una situazione non meno complicata del corridoio indo-arabo si trova il Piano Mattei, altra espressione delle velleità di grandezza dell’attuale esecutivo, che poggia su un fragile equilibrio: il ricorso a paesi a medio-alto rischio politico e ad alleati della Russia per sopperire al fabbisogno energetico nostrano. Condizione che espone l’Italia a turbolenze, volatilità e ricatti. E che impone di sviluppare un piano c in caso di deflagrazione del piano B basato sul binomio India-Mattei.