Home Politics Il Fight Club del Pd: Elly Schlein e le regole capovolte per le donne dem

Il Fight Club del Pd: Elly Schlein e le regole capovolte per le donne dem

Elly Schlein segretaria

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Elly Schlein, deputata dem, si è candidata alla segreteria del partito democratico. Molti sono entusiasti della ventata di novità che potrebbe portare, ma tutte le incendiarie del Pd hanno spento i loro ardori entrando a pieno titolo nella nomenclatura che criticavano.

La prima regola del Fight club è che non si parla del Fight Club. Seconda regola del Fight Club: non dovete parlare mai del Fight Club. Ecco, violate queste regole dell’immaginario club di combattimento del romanzo di Chuck Palahniuk, portato sul grande schermo da David Fincher, e sarà più semplice immergersi nel clima che regna nel Partito democratico. Qui bisogna parlare del Pd, possibilmente parlarne male, parlarne sempre, soprattutto se ti candidi alla segreteria come nel caso di Elly Schlein, che pur non avendo la tessera, ma essendo stata eletta deputata nelle fila dem, si è sentita in diritto di correre per prendere la guida del partito.

Schlein candidata al Pantheon delle promesse Pd

L’ex vicepresidente dell’Emilia Romagna, apparsa sulla scena nel 2013 con #Occupypd, il movimento di indignati nato dopo l’affossamento della candidatura di Romano Prodi alla presidenza della Repubblica ad opera dei 101 franchi tiratori, è l’ennesima enfant prodige (enfant inteso non in senso anagrafico visto che ha 37 anni, ma come volto nuovo) destinata ad entrare nel Pantheon femminile del partito. E a rimanerci nei decenni a venire.

Perché la Schlein può starne certa; magari non conquisterà la segreteria del Pd, sicuramente ha già conquistato un posto accanto ad altre tre esponenti dem che, partite come grandi promesse di cambiamento e portatrici di aria nuova nel partito, hanno inciso più sulle proprie sorti personali che su quelle del Pd.

Madia prima di Schlein

La storia comincia nel 2008 quando l’allora segretario Walter Veltroni sceglie una “candidata di rottura” come capolista del partito a Roma per le elezioni alla Camera. Lei si chiama Marianna Madia, da Montecitorio da allora non è più andata via e diventerà anche ministra della pubblica amministrazione nei governi Renzi e Gentiloni.

Al momento della sua prima elezione, Madia dichiarò orgogliosamente di portare in dote la sua inesperienza, ma i giornali preferirono puntare solo sul suo viso da madonna preraffaellita (Vanity Fair) o da “vergine botticelliana” (più o meno tutti gli altri). Solo Il Fatto si interessò alla sua tesi di dottorato, che risultava uguale in molti passaggi ad altri documenti. Lei denunciò ma perse la causa.

Il vento del cambiamento

Cosa aveva fatto la Madia per entrare così prepotentemente nel cuore di Veltroni? Le malelingue parlarono di lei come una raccomandata, dato che era stata la fidanzata del figlio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nelle cui mani avrebbe giurato come ministro; la giovane promessa si difese dicendo che all’epoca della sua relazione con l’importante erede, Napolitano era solo un importante esponente del Pci.

Nel 2013, alla sua seconda legislatura, ecco entrare la Madia a pieno titolo nel Fight Club Pd: “Nel Pd a livello nazionale ho visto piccole e mediocri filiere di potere. A livello locale, e parlo di Roma, facendo le primarie dei parlamentari ho visto, non ho paura a dirlo, delle vere e proprie piccole associazioni a delinquere sul territorio”. Veltroniana di ferro, Madia diventerà dalemiana, lettiana, bersaniana e infine renziana.

Picierno, una Schlein demitiana

Il 2008 vide nascere un’altra stella in casa Pd: Pina Picierno. Di un comune della provincia di Caserta, Teano, alle elezioni di quell’anno entra a far parte della Camera dei deputati. Il 9 dicembre 2013 diventa membro della segreteria nazionale del Partito Democratico, Nell’aprile del 2014 viene candidata al Parlamento europeo come capolista del Partito Democratico ed è eletta. Si ricandida alle Elezioni europee del 2019 con il PD nella circoscrizione dell’Italia Meridionale e oggi è vicepresidente del Parlamento europeo.

Picierno, che si è laureata con una tesi di laurea sul linguaggio di Ciriaco De Mita, arriva dalla Margherita ma parla da veltroniana. «C’è una nuova generazione di italiani chiede un paese più aperto e più dinamico; chiede mobilità e non chiusura in corporativismi; chiede legalità e non furbizia; chiede, ancora, più investimento nella conoscenza come volano per lo sviluppo della nostra Terra».

Walter Veltroni, nel 2007, nomina Pina Picierno responsabile nazionale dei Giovani. Ex demitiana, dunque, poi ex veltroniana, si avvicina ad Areadem e a Dario Franceschini. Le piace andare ospite in tv e proprio a Ballarò su Raitre dice che con ottanta euro «una famiglia ci fa la spesa due settimane» in difesa di un provvedimento del governo Renzi, di cui è diventata fedelissima, tanto che lo stesso l’ha cooptata in segreteria e poi candidata alle europee.

Le presenze in tv di Pina Picierno si diradano dopo che, ospite di Agorà, aveva accusato la Cgil di pagare i manifestanti e la Camusso di essere stata eletta segretaria del sindacato con tessere false. 

Criticare il Pd porta bene

«Voglio un Pd che non sia una bocciofila. Un partito che sia forte sul territorio; un partito di idee, dove i circoli devono comunicare tra loro, magari via computer. Così i giovani aiutano i più anziani». Era il 2009 e un’altra enfant prodige che sognava di cambiare il Partito Democratico si affacciava sulla ribalta nazionale. Era Debora Serracchiani, una giovane dirigente fino ad allora sconosciuta.

In tredici minuti di intervento durante un’assemblea dei circoli di partito Serracchiani fu molto critica con la dirigenza del Pd. A guidare i dem era Dario Franceschini, oggi è vicepresidente del partito e capogruppo alla Camera dal 2021.

Nel Fight Club all’incontrario del Pd, parlare male del Pd porta bene.