Home Politics Dexit, Germania fuori dall’UE? Cosa vuole davvero l’ultradestra tedesca

Dexit, Germania fuori dall’UE? Cosa vuole davvero l’ultradestra tedesca

ALICE WEIDEL GERMANIA UE AFD

Alice Weidel è la meno nota dei leader della destra sovranista e conservatrice europea, e per far circolare il suo nome nei giorni scorsi ha sganciato un’autentica bomba. La presidente di Alternative fur Deutschland (Afd) in un’intervista al Financial Times ha ventilato apertamente l’ipotesi della “Dexit”, l’uscita della Germania dall’Unione Europea, qualora in futuro l’Ue non risolvesse quello che definisce un “deficit democratico”. Condensato soprattutto sul ruolo della Commissione Europea, guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen, definito “un esecutivo non eletto”.

Afd all’attacco contro l’Ue

Paradosso dei paradossi, Weidel rinfaccia all’Unione Europea le stesse tare che le rinfacciano le frange sovraniste, di destra e di sinistra, dei partiti dei Paesi dell’Europa del Sud. Ma se nei nostri lidi in passato l’accusa all’Ue è stata quella di essere un costrutto germanocentrico, per Weidel l’Europa è l’esatto opposto. Ovvero una “palude” dannosa per la stessa Germania. Il partito alleato della Lega di Matteo Salvini in Europa contesta l’Unione per motivi diametralmente opposti a quello del Carroccio: per Weidel e i suoi l’Europa è l’impositrice delle regole “green” che colpiscono gli agricoltori tedeschi, del lassismo sui conti pubblici che sottrae risorse alla Germania, delle presunte, dannose regole sull’immigrazione.

La visione di Weidel è un’esaltazione dell’idea di sovranità come presupposto della riacquisizione della capacità decisionale. In Afd convivono sovranismo e elogio dell’austerità, esaltazione del libero mercato e rifiuto della globalizzazione, libertarismo e lotta al rafforzamento del welfare, dei diritti sociali, dell’immigrazione. Il partito pesca voti nel Paese profondo ma nasce da una ristretta élite di professori, accademici e professionisti. Alice Weidel, 44 anni, già professionista della finanza, ne è un volto dalla sua fondazione. E spariglia nel campo della destra europea.

Weidel, una sovranista atipica

Un dottorato all’Università di Bayereuth, esperienze in Goldman Sachs e Allianz, consulente di aziende come Foodora quando erano start-up, Weidel è dichiaratamente omosessuale e convive con una straniera, una donna dello Sri Lanka, dal 2017. L’euroscetticismo che incarna è quello del vertice Afd, un rifiuto elitario di un resto d’Europa ritenuto inferiore rispetto alla Germania e non capace di stare al suo passo. Afd ha con le sue critiche nazionaliste aperto il vaso di Pandora e fatto da collettore per una serie di movimenti ultraconservatori, come quello della Turingia guidato da Bjorn Hocke, che si sono inseriti in scia. L’euroscetticismo che mira a risvegliare è quello che nella destra tedesca è stato, a lungo, connaturato in più campi. A partire dalla stessa Cdu-Csu di Angela Merkel.

L’euroscetticismo di Afd e le sue radici

Gli euroscettici mediterranei hanno criticato Angela Merkel e il suo “mastino” delle Finanze, Wolfgang Schaubleper la durezza mostrata sui conti pubblici comunitari. Weidel e Afd incarnano un sentimento pubblico che invece ritiene tale approccio troppo lassista. La spaccatura si è aperta nel 2015: quando la Merkel diede il via libera a Mario Draghi e al quantitative easing in Germania la protesta fu notevole. L’euroscetticismo a cui Weidel punta per consolidare i consensi di Afd è quello dei lettori della Bild, degli imprenditori colpiti dalle tasse, degli abitanti dell’Est della Germania a cui viene proposta un’alternativa retorica netta: vuoi tu, laborioso tedesco, sussidiare coi tuoi sacrifici fanatismi green, deindustrializzazione e sussidi alle cicale del Sud? Tale retorica, in un Paese spaccato e con la leadership di Olaf Scholz sempre più debole, ha una presa formidabile.

Weidel ha parlando col Financial Times ventilato l’ipotesi di un referendum sul modello Brexit qualora in caso di ascesa di Afd al governo non si riuscisse a riformare l’Europa. “L’idea”, nota il Ft, “rompe un grande tabù in Germania, dove i partiti tradizionali sono devotamente filo-europei. Inoltre, la costituzione tedesca impone rigide restrizioni ai plebisciti nazionali e, anche se si dovesse tenere uno, i sondaggi suggeriscono che un’ampia maggioranza di tedeschi voterebbe per rimanere nell’UE. Tuttavia, tra gli elettori dell’AfD il sostegno all’UE è più debole”. Ed è chiaro che in un contesto come quello attuale immaginare un’Ue senza Germania è semplicemente inconcepibile.

L’Europa tedesca alla prova delle crisi

La Germania, come perno del mercato unico, dei commerci e dell’iniziativa politica in Europa, nel bene e nel male, tiene insieme l’intero costrutto. Helmuth Kohl, riunificando il Paese nel 1990, ha avviato il processo che ha dato ragione, a conti fatti, sia alle speranze di François Mitterrand (una Germania europea) che ai timori di Margaret Thatcher (un’Europa tedesca). L’Europa si fa nelle crisi, diceva Jacques Delors, e si è consolidata secondo i desiderata della Germania. L’accelerazione sul rigore? Si è avuta su impulso di Berlino. L’ammorbidimento contabile? Emerse nel 2020 per l’inversione a U di Merkel sulla scia del Covid. La posizione cauta dell’Europa sulle guerre mediorientali di inizio secolo? Derivò dalla cautela di Gerhard Schroeder, allora cancelliere. E si potrebbe continuare.

Oggigiorno, semplicemente, l’Europa senza Germania non è tale, piaccia o meno. Ma nei settori dello Stato profondo e del governo tedesco più moderati le parole di Weidel avranno fatto da pungolo. E riacceso quello che già nell’era Merkel si era immaginato: come pensare a gestire un’eventuale situazione di crisi sistemica dell’Europa.

Quando la Germania ipotizzava come lasciare l’euro

Weidel fa parte di quella stessa élite nazionale che, anni fa, si poneva attentamente il problema di come pensare a una “Dexit” ordinata qualora, sull’onda delle crisi, il clima a Bruxelles fosse diventato irrespirabile. La Germania, in quanto artefice primario del sistema comunitario, ha affrontato ripetutamente la questione di come gestire un potenziale collasso di tale struttura e, in caso di necessità, come massimizzare i propri interessi. La preoccupazione iniziale si manifestò nel 2011, quando lo Stato Maggiore considerò il rischio concreto di un’uscita generalizzata dei Paesi in crisi debitoria. Successivamente, il governo Merkel ha avanzato l’idea di un’euro “a due velocità” e di un nucleo guida per l’Europa (Kerneuropa) centrata sui Paesi nordici che promuovono politiche di rigore.

Nel 2018, sulla scia di un dibattito pubblico, il “piano B” tedesco si è ulteriormente sviluppato, includendo riflessioni strutturate di natura economica sulle modalità con cui Berlino potrebbe decidere di abbandonare un’unione monetaria diventata insostenibile, massimizzando nel contempo i benefici a suo favore. Il punto di partenza di questo “piano B” tedesco sarebbe rappresentato dal reclamare a Berlino i saldi Target2, una sorta di bomba a orologeria nell’Eurozona nel caso di un’uscita unilaterale di un Paese.

La Dexit targata Afd può spaccare l’Europa

Dalla sua posizione dominante, la Germania ha la capacità di dettare le regole con cui orchestrare la riforma dei trattati e il futuro dell’Europa. E quel che si dice a Berlino è automaticamente di interesse continentale. Alice Weidel lo sa. Chiaramente, l’ipotesi di accademia e di scenario del governo è un conto. L’idea di una “Dexit” unilaterale un’altra. Ma Weidel sa che parlando in termini cupi dell’Europa può pescare in un elettorato che, magari moderato su molti temi, mostra insoddisfazione per quell’Ue in cui la Germania è centrale. Ovviamente, una Dexit avrebbe conseguenze, se così attuata, inimmaginabili in termini negativi per l’economia e la stabilità del Vecchio Continente. Ma nella corsa al consenso, a pochi mesi dalle Europee e col cancelliere Olaf Scholz all’angoloper l’arrembante e spregiudicata leader di Afd vale tutto.