Home Politics Com’è andata l’ultima volta che il centrodestra ha governato l’Italia

Com’è andata l’ultima volta che il centrodestra ha governato l’Italia

Gianni Letta e Silvio Berlusconi

I sondaggi sono concordi nel ritenere che il 25 settembre, alle elezioni politiche, ci sarà una schiacciante vittoria del centrodestra.

A guidare l’esecutivo sarà uno dei leader della coalizione, quello che avrà preso anche solo un voto in più degli altri, stando agli accordi tra Silvio Berlusconi (Forza Italia), Matteo Salvini (Lega) e Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia). Molto verosimilmente toccherà a quest’ultima formare il nuovo governo, visto che il suo partito al momento ha toccato quasi il 25% nelle intenzioni di voto degli italiani.

Il boom del centrodestra alle politiche del 2008

L’ultima volta che il centrodestra ha governato l’Italia è stato con il quarto governo Berlusconi: nato nel 2008, nel 2011 gli subentrò l’esecutivo tecnico guidato da Mario Monti, al quale il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affidò l’incarico dopo averlo nominato senatore a vita.

Sono passati undici anni, quindi, da quando a Palazzo Chigi non siede un primo ministro espresso dal centrodestra.

Ma che esperienza fu quella del Berlusconi IV e perché naufragò prima della scadenza naturale? Proviamo a riavvolgere il nastro e vediamo quel che accadde allora. Molti protagonisti di quella fase politica sono ancora attivi oggi, anche se alcuni di loro hanno cambiato casacca, sia nell’ambito dello stesso centrodestra, sia passando con altre formazioni politiche nate nel frattempo. Altri, che sembravano dover prendere il testimone dal Cavaliere della guida di Forza Italia e del centrodestra, oggi sono scomparsi dai radar della politica, ma occupano posizioni di vertice in alcune istituzioni, sia pubbliche sia private.

Alle elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008 si registrò una schiacciante vittoria della coalizione di centrodestra, composta da Popolo della Libertà (Forza Italia + Alleanza nazionale), Lega Nord e Movimento per le Autonomie (Mpa).

A guidare il centrodestra era Silvio Berlusconi

Le elezioni erano state convocate dopo lo scioglimento anticipato delle Camere a seguito della caduta del governo Prodi e a vuoto era andato il tentativo affidato da Napolitano a Franco Marini, presidente del Senato, di formare un governo di scopo. L’ex segretario della Cisl rimise il mandato solo dopo quatto giorni nelle mani del Capo dello Stato.

Rispetto al 2006, nel 2008 ci fu un calo dell’affluenza (-3,1%) che si attestò all’80,5% degli aventi diritto. Parteciparono al voto, per la seconda volta, anche gli italiani residenti all’estero. Il centrodestra ottenne il 46,81% alla Camera ed il 47,31% al Senato.

Si votò con il cosiddetto Porcellum, la legge elettorale formulata dall’allora ministro per le Riforme istituzionali, il leghista Roberto Calderoli, ed entrata in vigore nel 2005 (fu lui stesso più tardi, durante una intervista a Matrix di Enrico Mentana, a definirla “una porcata”; il copyright di “Porcellum” è invece del politologo Giovanni Sartori).

Il Porcellum prevedeva un sistema di voto fortemente proporzionale ma con premi di maggioranza finalizzati a garantire governabilità ma che potevano anche portare ad un Parlamento molto lontano dalla fotografia del voto stesso. Alla Camera la coalizione vincente acquisiva infatti almeno 340 seggi su 630, indipendentemente dal totale dei consensi raccolti. Al Senato, invece, il premio di maggioranza era su base regionale: ogni regione assegnava un certo numero di senatori, ma il 55% andava in automatico alla coalizione che raccoglieva più voti.

Il Parlamento saldamente nelle mani del centrodestra

Il Parlamento che uscì dalle elezioni del 2008 risultò saldamente nelle mani del centrodestra. In termini di seggi infatti PdL (276), Lega (60) e MpA (8) controllavano 344 seggi alla Camera, mentre a PD e IdV ne furono assegnati 247; 36 all’Unione di Centro; 2 SVP; 1 Movimento italiani all’estero. Al Senato il controllo del centrodestra era ancora più saldo: 174 seggi al centrodestra, 133 al centrosinistra, 3 all’UDC, 3 al SVP, 1 Vallée d’Aoste e uno al Movimento degli Italiani all’estero.

Le consultazioni al Quirinale furono tra le più rapide della storia della Repubblica: dopo aver riempito a tempo di record le caselle delle presidenze delle due Camere con Renato Schifani al Senato e Gianfranco Fini alla Camera, Silvio Berlusconi salì al Colle il 7 maggio e accettò l’incarico senza riserve, presentando già a Napolitano la lista dei ministri, che votarono fedeltà alla Costituzione già il giorno dopo.

Il quarto governo Berlusconi si componeva da ventidue ministri, 5 viceministri e 37 sottosegretari. A maggio 2009 fu creato il ministero del Turismo.

Giorgia Meloni ministro alla Gioventù

Tra i ministri spiccava il nome  di Giorgia Meloni: per lei un ministero senza portafoglio, quello alla Gioventù. L’attuale leader di Fratelli d’Italia con i suoi 31 anni diventò il ministro più giovane della storia d’Italia, scippando il primato a Enrico Letta, che era stato nominato ministro all’età di 32 anni.

Tra i sottosegretari alla presidenza del Consiglio c’era ovviamente il fido Gianni Letta, dal 2010 si aggiunsero anche Daniela Santanché, eletta deputata con La Destra-Fiamma Tricolore dopo essere entrata in rotta di collisione con Alleanza Nazionale (oggi è senatrice di Fratelli d’Italia) e Laura Ravetto, allora in Forza Italia, oggi deputata leghista.

Dal 22 febbraio 2010 entrò come sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delega alla Semplificazione normativa Francesco Belsito della Lega Nord, partito dal quale verrà espulso due anni dopo a seguito dello scandalo dei rimborsi elettorali.

Tre ministri di allora hanno lasciato il centrodestra

Nella compagine ministeriale c’erano tre ministri – Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Renato Brunetta – che torneranno alla guida di un dicastero con il governo Draghi e lasceranno Forza Italia dopo che il partito, insieme alla Lega, affosserà il governo dell’ex banchiere centrale. Le due ministre hanno aderito ad Azione di Carlo Calenda, nelle cui liste saranno candidate alle elezioni del 25 settembre.

Dodici furono i ministri posti a capo di dicasteri, come previsto dalla finanziaria del 2008: gli Esteri andarono a Franco Frattini, l’Interno a Roberto Maroni e la Difesa a Ignazio La Russa. L’economia fu affidata a Giulio Tremonti, mentre la Giustizia, strategica per l’attuazione del programma berlusconiano, fu affidata ad Angelino Alfano. Quest’ultimo, abbandonata la politica, oggi è presidente del Gruppo San Donato, uno dei più importanti gruppi della sanità privata in Italia. Tremonti è candidato con la Lega, Frattini presiede il Consiglio di Stato, Larussa è uno dei colonnelli di Fratelli d’Italia.

Nei tre anni e mezzo circa di governo, la maggioranza di centrodestra approvò diversi importanti provvedimenti nel campo dell’economia e della giustizia. La gran parte degli interventi si concentrò nel primo anno di governo: tra luglio e dicembre 2008 viene abolita l’ICI sulla prima casa, viene approvato il decreto per il salvataggio di Alitalia e il  Salvabanche; nel 2009 arrivano i decreti sul federalismo fiscale e sullo scudo fiscale.

Le prime defezioni nel centrodestra

Nel campo della giustizia la misura più nota è senz’altro l’approvazione del Lodo Alfano, che prevedeva la sospensione dei processi penali a carico delle più alte cariche dello Stato: entrato in vigore nell’agosto 2008, fu poi dichiarato incostituzionale il 7 ottobre del 2009. Tra gli altri provvedimenti  l’entrata in vigore del Codice delle Leggi Antimafia; l’introduzione del reato di stalking; l’introduzione della tessera del tifoso, divenuta obbligatoria dalla stagione calcistica 2010-11; la riforma della pubblica amministrazione voluta dal Ministro Brunetta e le riforme Gelmini della scuola primaria e media (2009), delle scuole superiori (2010) e dell’Università (2011).

All’inizio tutto fila liscio per il governo Berlusconi, ma già un anno dopo le elezioni cominciano le defezioni che culminano con l’uscita dal Pdl di Gianfranco Fini. I voti blindati dalla fiducia a Montecitorio diventano sempre più frequenti (alla fine saranno più di 50). Alcune figure chiave del governo vengono coinvolte in scandali (come il ministro allo sviluppo economico Claudio Scajola, dimessosi per la vicenda di una casa vicino al Colosseo: accusato di finanziamento illecito per l’appartamento acquistato «a sua insaputa» dal costruttore Diego Anemone, il 31 ottobre 2014 scatterà per lui la prescrizione).

Lo stesso Berlusconi deve affrontare inchieste, giudiziarie e giornalistiche, spinose come la vicenda Ruby o il caso escort o la sua partecipazione alla festa per i diciotto anni di Noemi Letizia, che lo chiama confidenzialmente “Papi”.

Le emergenze e lo spread alle stelle

Non mancano le emergenze: spazzaturaterremotoalluvioni e sbarchi di immigrati. il presidente del Consiglio, all’inizio accolto come un salvatore sia a Napoli sia a L’Aquila sia a Lampedusa, in una seconda fase riceve fischi e critiche. 

Negli anni del Berlusconi IV la situazione internazionale fa sentire i suoi effetti anche in Italia. I rapporti tra Berlusconi e Tremonti diventano sempre più precari, i tagli indispensabili e le manovre economiche difficili. Il 3 agosto 2011 il Cavaliere interviene alla Camera per un’informativa sulla crisi e cerca di rassicurare tutti sulla solidità del sistema economico, bancario e politico del Paese nonostante il crollo della Borsa. A fine ottobre il governo manda una lettera all’Ue con i propositi per affrontare la crisi.

A novembre, mentre lo spread italiano raggiunge livelli record, Berlusconi predica ancora ottimismo dal G20 di Cannes dichiara: “Mi sembra che in Italia non ci sia una forte crisi. I consumi non sono diminuiti, per gli aerei si riesce a fatica a prenotare un posto, i ristoranti sono pieni”. Pochi giorni dopo, con il compito di verificare l’attuazione delle misure promesse da Roma, nel Paese arrivano i commissari europei.

In prima pagina per le gaffe

Berlusconi finisce spesso in prima pagina sui giornali stranieri per le sue gaffe. A novembre del 2008, durante una conferenza stampa con il presidente russo Medvedev, definisce il neo eletto presidente Obama “bello, giovane e abbronzato”. Qualche giorno dopo fa “cucù” ad Angela Merkel. A febbraio del 2009 dice al presidente francese Sarkozy, sposato con Carla Bruni: “Guarda che la tua donna te l’ho data io”. Ad aprile dello stesso anno fa saltare il cerimoniale di un vertice Nato per una telefonata e qualche giorno prima viene sgridato dalla regina Elisabetta durante il G20 di Londra.

Nel 2011 il governo sopravvive grazie all’ingresso nella maggioranza del gruppo dei Responsabili, ma alle nuove adesioni corrispondono ulteriori fuoriuscite, alcune delle quali clamorose, come quella di Gabriella Carlucci, fedelissima berlusconiana.

Dopo sei mesi di sopravvivenza i numeri condannano definitivamente Berlusconi: l’8 novembre 2011 la Camera approva la riformulazione del Rendiconto generale dello Stato – precedentemente bocciato il 10 ottobre – con 308 voti e un astenuto. Il Presidente del Consiglio prende dunque atto della nuova situazione e si reca dal Presidente della Repubblica a presentare le proprie dimissioni, che sarebbero state effettive dopo l’approvazione della legge di stabilità. Il 12 novembre vengono approvate in via definitiva le leggi di stabilità e di bilancio e Berlusconi rassegna ufficialmente le proprie dimissioni. Quattro giorni dopo ci sarà il passaggio di consegne con Mario Monti.

Le dimissioni di Berlusconi

Lo spread, che misura il differenziale di rendimento tra i nostri titoli pubblici e quelli dei più affidabili titoli del debito pubblico tedesco (il cui rendimento invece scende per il buon andamento economico e per la maggiore affidabilità del paese) sale a livelli mai visti prima. A ogni nuovo scossone, aumenta il peso degli interessi da pagare per il nostro paese. Il 16 novembre 2011, ultimo giorno del Governo Berlusconi IV, lo spread tra Btp e Bund decennali è a 522,8. Il giorno prima era oltre 530 e il 9 novembre, negli ultimi giorni dell’esecutivo, era addirittura arrivato a quota 550,1, con i tassi dei titoli pubblici biennali che volano al 7,25 per cento.

Come ha scritto Federico Savastano della Sapienza di Roma sulla rivista Federalismiin uno studio pubblicato nel gennaio 2016, «quella nata dalle elezioni del 2008 è stata una legislatura chiave nella storia politica italiana. Avrebbe potuto rappresentare una svolta tanto nell’assetto partitico quanto in quello istituzionale, e in effetti ci è riuscita, sebbene non nella direzione che tutti credevano e si auspicavano all’indomani del voto. Il successo ottenuto dal nuovo partito unitario del centrodestra e la capacità mostrata dal Partito democratico di raccogliere su di sé i consensi degli elettori di centrosinistra costituivano ottimi indizi per credere che la lenta transizione italiana verso una bipolarizzazione stabile  fosse finalmente in dirittura d’arrivo. Dalle elezioni uscivano infatti due blocchi di forze abbastanza coesi da sembrare capaci di mantenere il proprio assetto – e dunque alternarsi al potere – per un significativo numero di anni».

«Una legislatura chiave»

«La stabilità dei blocchi e dunque la stabilizzazione dell’assetto politico», scrive ancora Savastano, «faceva altresì pensare che si fosse finalmente in presenza di una legislatura costituente, che avrebbe potuto consolidare anche a livello costituzionale l’assetto politico raggiunto, attraverso riforme quali la riscrittura della forma di governo, del bicameralismo, dei regolamenti parlamentari e della legge elettorale. Gli auspici però resteranno tali. Il rapporto di collaborazione tra maggioranza e opposizione, più che opportuno per iniziare una stagione di riforme, si interrompe dopo gli interventi del governo nel campo della giustizia. Ma ancor più gravi sono le rotture che avvengono all’interno della maggioranza e che porteranno alla disgregazione graduale del PdL, alla liquefazione della coalizione e dei partiti che la componevano e alla scomparsa di un vero e credibile blocco conservatore, determinando così la scomparsa di una delle parti del bipolarismo tanto agognato e il ripiombare del Paese nel caos del pluralismo polarizzato».