Home Politics Caso Cotoia, la presidente ONS Vittime: “Un fallimento dello Stato”

Caso Cotoia, la presidente ONS Vittime: “Un fallimento dello Stato”

Come il caso di Alex Cotoia è “fallimento dello Stato”

Perchè leggere questo articolo? Sentenza ribaltata per Alex Cotoia, il giovane che ha ucciso il padre violento per difendere la madre. Da innocente per legittima difesa, alla condanna di 6 anni per omicidio volontario. Un passo incoerente nella lotta al patriarcato? Sicuramente un caso che dimostra il “fallimento dello Stato” per Elisabetta Aldrovandi, intervistata da True News.

Ci sono condanne che più di altre lasciano interdetti. Storie complesse, delicate e dolorose da trattare. E’ il caso di Alex Cotoia, condannato  questa settimana a 6 anni per aver ucciso il padre violento, Giuseppe Pompa, il 30 aprile 2020, dopo un lungo calvario di ripetuti abusi e vessazioni in famiglia. Per comprendere meglio l’accaduto nelle sue complicate e delicate implicazioni giuridiche, True News ha interpellato Elisabetta Aldrovandi, avvocato e presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime.

Il caso Cotoia, in breve

In un quotidiano contesto di violenza, l’unico che il ragazzo appena ventenne abbia mai conosciuto, Alex ha reagito con un atto estremo. E’ arrivato ad ammazzare il padre per tutelare la madre, il proprio fratello e se stesso. Per mettere fine al clima di terrore e a quel loop infinito di maltrattamenti, tristemente diventati normalità all’interno della loro famiglia. Il giovane di Collegno – che ha chiesto di cancellare il cognome del padre, Pompa, e di assumere quello della madre, Cotoia – era stato assolto in primo grado.

I giudici avevano inizialmente riconosciuto la legittima difesa. Mercoledì 13 dicembre, la Corte d’appello di Torino condanna Cotoia e 6 anni e 2 mesi. Si tratta di omicidio volontario. Troppe le ferite inferte, 36, con 6 coltelli diversi. Grazie alle attenuanti, tra cui il riconoscimento di semi-infermità mentale, gli iniziali 14 anni di reclusione sono stati diminuiti. Tuttavia le sorprese non sono finite: il fratello Loris e la mamma Maria sono indagati per falsa testimonianza. I giudici hanno disposto la trasmissione in procura delle loro testimonianze. Tra 90 giorni saranno depositate le motivazioni che spiegheranno la presunta non affidabilità delle ricostruzioni. Se condannati, anche loro rischiano da 1 a 6 anni di carcere. “Incomprensibile e difficile da accettare” ha commentato l’avvocato difensore del ragazzo, Claudio Strata.

Alex deve essere assolto perché ci ha salvato la vita. Se vogliamo che qualcosa cambi, se vogliamo evitare che le donne continuino a morire, la sentenza non può essere questa”. È quanto ha dichiarato Loris Pompa, fratello del giovane condannato. “Alex non è un assassino. Mi ha salvato la vita. A questo punto mi chiedo se a qualcuno sarebbe importato davvero qualcosa se fossi stata l’ennesima donna uccisa”.  Così la mamma Maria Cotoia. Si tratta, dunque, di un altro caso che si inserisce nella tragica antologia di storie di maltrattamenti domestici e violenza sulle donne, che si concludono con esito incoerente rispetto alla lotta contro ai femminicidi e al patriarcato a cui oggi tanto si inneggia.

Avvocato Aldrovandi, cosa ne pensa del caso Alex Cotoia e della condanna a 6 anni?

Innanzitutto, si deve fare una fondamentale premessa. Bisogna valutare il contesto famigliare di profondi e perpetuati abusi, violenze e soprusi in cui i due fratelli sono nati e cresciuti. Al processo, Alex ha affermato di aver sempre vissuto nel terrore che il padre uccidesse la madre. Il genitore non solo picchiava mamma Maria, ma anche lo stesso Alex e suo fratello. L’unico contesto famigliare conosciuto dai due ragazzi è stato dunque la violenza. Quella sera, all’ennesimo attacco alla madre da parte di Giuseppe Pompa, i fratelli sono arrivati oltre al limite della sopportazione. Col suo gesto feroce, Alex ha sfogato tutta la rabbia maturata in vent’anni di vita. Di fatto, ha ucciso e ha subito confessato. Ma gli era stata riconosciuta la legittima difesa putativa, ovvero quella esercitata per convinzione e percezione erronea di pericolo di vita.

Da innocente per legittima difesa, a colpevole per omicidio volontario. Cosa è cambiato?

Rispetto all’assoluzione in primo grado, è cambiata radicalmente l’interpretazione della Corte d’appello. Passare da una situazione di legittima difesa all’omicidio volontario è enorme. Emblematico è che il fratello e la madre siano indagati per falsa testimonianza a favore di Alex. Evidentemente le loro dichiarazioni avranno contrastato con le motivazioni oggettive, ma lo sapremo solo tra novanta giorni, quando queste ultime saranno depositate dai giudici.

Alex ha evitato l’ennesimo femminicidio. La condanna rischia di essere un passo indietro nella lotta a patriarcato e femminicidi?

Non farei un collegamento stretto tra femminicidio e il presente caso di condanna. Del resto, la legge non può punire un fatto non avvenuto. Non ci si può difendere da una mera probabilità. Mi concentrerei, però, sul fatto che la madre non abbia mai denunciato i quotidiani maltrattamenti. Non l’ha fatto in quanto completamente terrorizzata. Ha iniziato a subire violenze vent’anni fa, quando il tema della violenza domestica non era così sentito. Nonostante le cose si siano evolute, Maria ha continuato a subire, scegliendo quello che riteneva essere il male minore, piuttosto che morire. Nella convinzione che prima o poi sarebbe stata ammazzata comunque. Questo è il vero fallimento di uno Stato che a volte non è in grado di fornire alle donne sicuri e immediati strumenti di difesa dalla violenza.

Alcune persone hanno accusato la madre Maria. Cosa pensa a riguardo?

La madre è stata colpevolizzata per non aver denunciato. Ci si aspetta che sia sempre e solo chi subisce violenza a doverlo fare. Ma, come sappiamo da tempo, la risposta alle denunce non è sempre tempestiva e le vittime sono terrorizzate. Il caso di Alex va oltre la violenza domestica. Rivela quanta indifferenza sociale ci sia ancora. Nessuno ha mai pensato a fare segnalazioni? L’uomo controllava ogni giorno la moglie al lavoro. Possibile che i colleghi non se ne siano accorti? E la scuola dei due ragazzi? Anche tra il resto della famiglia nessuno ha fatto nulla per tutelare, pur sapendo. La sera dell’accaduto, infatti, i fratelli hanno chiamato lo zio paterno per intervenire. Ma non si è presentato. Questo disinteresse della società è grave e vergognoso. Tengo a sottolineare che, nonostante il sistema a volte fallace, denunciare è fondamentale e ogni anno salva la vita a molte donne.