Home Politics Assistenti universitari, timidi segnali di ottimismo con il Pnrr

Assistenti universitari, timidi segnali di ottimismo con il Pnrr

Assistenti universitari, timidi segnali di ottimismo con il Pnrr

La notizia che al Cern di Ginevra i tirocinanti saranno pagati con uno stipendio mensile netto pari a 1600 euro ha avuto una certa risonanza in Italia, dove la condizione di ricercatori ed assistenti universitari è decisamente peggiore. Dopo averne parlato con Giampiero Falasca, avvocato giuslavorista, True News approfondisce il tema con Marilisa D’Amico, docente di Diritto costituzionale e prorettrice con deleghe su Trasparenza e parità di diritti all’Università degli Studi di Milano. “La questione è politica, ma qualcosa sta cambiando a partire da pandemia e Pnrr”. L’intervista.

Al Cern di Ginevra un tirocinante prende 1600 euro. In Italia la situazione è ben diversa. Perché secondo lei?

Credo si tratti di una questione politica. Negli ultimi vent’anni l’Università e la ricerca non sono mai state una priorità. Non vi è stata la lungimiranza di capire che aumentare lo stipendio di un ricercatore o una ricercatrice costituisce sì una spesa in più per le casse dello Stato, ma al contempo determina un beneficio per tutta la società in termini di sviluppo e innovazione. Qualcosa sta cambiando a partire dalla pandemia e grazie al Piano nazionale di ripresa resilienza

Uno dei principali svantaggi di quanto guadagna un assistente universitario è il basso stipendio, considerando anche l’incertezza e la precarietà. Questa situazione è destinata a migliorare, peggiorare o a rimanere invariata?

Intanto una precisazione: penso che il termine “assistenti” sia riduttivo. Stiamo parlando di dottorandi e dottorande, ricercatori e ricercatrici, professori e professoresse competenti che svolgono attività didattica e di ricerca individuale, ma anche progetti di gruppo. In Università lavoriamo moltissimo per gruppi di ricerca, anche interdisciplinari per riuscire ad affrontare meglio le sfide più attuali. Tornando alla sua domanda, penso e spero che questa situazione sia destinata a cambiare. Un primo passo in avanti è avvenuto con la pandemia e con il Piano nazionale di ripresa e resilienza che ha investito oltre 4 miliari di euro in ricerca. Grazie a questi fondi non solo sono stati finanziati moltissimi progetti di ricerca, ma sono stati banditi moltissimi posti da ricercatore e finanziate borse di dottorato in tutte le Università Italiane.

Non vi è stato per ora un aumento significativo di stipendio, ma sono aumentate le possibilità di carriera per i giovani ricercatori e per le giovani ricercatrici. E questo è un primo passo importante. Inoltre, il PNRR ha consentito e incoraggiato l’avvio di collaborazioni tra l’Università e il mondo privato, rendendo i progetti accademici più concreti e attrattivi anche per le aziende. Spero che tutto ciò possa portare un beneficio anche per gli stipendi dei nostri ricercatori e ricercatrici.

I dottorandi e gli assistenti vengono a volte definiti “schiavi delle università italiane”. Oltre agli stipendi ci sono altre criticità particolari?

Ho una prospettiva diversa: non parlerei di “schiavi” nelle università italiane, ma di giovani ricercatori e ricercatrici con una grande passione per il loro lavoro e che spesso si trovano a lavorare di notte e il weekend per raggiungere i propri obiettivi; talvolta sono costretti a svolgere le più svariate mansioni al fine di garantire la buona riuscita del loro progetto di ricerca. Tutto ciò non dovrebbe essere letto in negativo, ma dovrebbe essere valorizzato in termini di stipendio e di progressioni in carriera.

Lavorare come assistente universitario in Italia è una sfida impegnativa, la situazione salariale può generare un impatto negativo sulla qualità della formazione e richiedendo interventi da parte delle istituzioni e autorità competenti. Cosa proporrebbe di modificare?

Nonostante lo stipendio basso dei ricercatori, il livello dei nostri ricercatori e ricercatrici rimane eccellente. Lo dimostrano ogni anno gli ottimi risultati nei ranking mondiali. Tuttavia, sempre più giovani scelgono di fare carriera all’estero dove gli stipendi sono più alti e i costi della vita inferiori. Per questo è fondamentale potenziare gli investimenti alla ricerca, anche mediante il rafforzamento della collaborazione con il privato e le istituzioni europee e internazionali. L’Università italiana deve tornare ad essere attrattiva anche in termini di stipendio e possibilità di carriera. In attesa di una riforma nazionale sugli stipendi – necessaria – bisogna avviare un circolo virtuoso partendo dai finanziamenti alla ricerca oggi esistenti. Sono sempre più i bandi nazionali e europei – riservati alle eccellenze (come i progetti ERC, FIS, HORIZON) che – se finanziati consentono a loro volta di finanziare contratti di ricerca, con ottimi stipendi.

C’è disparita tra lo stipendio di assistenti e dottorandi uomini e donne?

All’inizio della carriera no: le borse sono identiche per dottorandi e dottorande. Il gap aumenta con le progressioni in carriera e gli scatti stipendiali. Si pensi che all’Università di Milano (cfr. Bilancio di genere Unimi 2022) se tra dottorandi, assegnisti e ricercatori donne e uomini sono rappresentati più o meno al 50%, tra i professori ordinari – titolari dello stipendio più alto – gli uomini sono oltre il 70%. Bisognerà intervenire non solo sugli stipendi, ma anche sulle progressioni in carriera nel rispetto della parità di genere.