Home Politics Al voto dopo il Quirinale? Con calma: il rebus collegi per i partiti

Al voto dopo il Quirinale? Con calma: il rebus collegi per i partiti

Al voto dopo il Quirinale? Con calma: il rebus collegi per i partiti

Il fatto che nei giorni più concitati del Quirinale si sia spesso accostata la partita del Colle a quella del futuro assetto di governo è legato a tre situazioni contingenti ma a una sola, vera partita strategica. Le tre situazioni contingenti sono lo schema “Draghi-Mattarella”, ovvero l’unità nazionale imposta nel 2021 in nome di Pnrr e lotta alla pandemia, il perimetro complesso della maggioranza di governo e il bivio di Draghi tra Palazzo Chigi e Quirinale.

La vera partita strategica, invece, è quella delle elezioni politiche. Spettro aleggiante su tutto il palazzo della politica, redde rationem temuto e atteso per il futuro taglio dei parlamentari nella XIX Legislatura, che porterà a un radicale cambiamento e a una riduzione dei volti presenti tra Camera e Senato. Ma anche vero e proprio rompicapo per le due partite convergenti della legge elettorale e dei collegi.

Ad oggi non c’è una legge elettorale con cui votare

La realtà dei fatti è che, adesso come adesso, non si potrebbe votare con una legge elettorale di diretta applicabilità e, dunque, in caso di crisi di governo di qualsiasi natura nei prossimi mesi non sarebbe immediatamente garantita l’opzione dello scioglimento delle Camere da parte del nuovo Capo dello Stato.

Il Rosatellum, la legge elettorale ibrida, divisa in una componente che divide gli eletti in una quota proporzionale (67%) ed in una quota maggioritaria (33%) basata su collegi uninominali, non è stata adattata alla nuova composizione di Camera e Senato da 400 e 200 membri rispettivamente.

La svista di Conte: i collegi per gli eletti all’estero

A fine novembre 2020, con un blitz volto a rimettere improvvisamente in piedi l’ipotesi elezioni e a mantenere la guida del campo progressista, Giuseppe Conte ha proposto al declinante esecutivo giallorosso la ridefinizione dei collegi elettorali dopo il referendum sul taglio dei parlamentari. Tuttavia, dal computo è stata dimenticata ogni azione legata a una ridefinizione dei collegi per gli eletti all’estero, un vuoto normativo che il governo Draghi ufficialmente e, aggiungiamo, comprensibilmente non ha avuto tempo o voglia di colmare mettendolo ai primi posti della sua agenda politica.

Questo rende tecnicamente impossibile, ad oggi, un voto primaverile. Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti, ma lo scioglimento non può avvenire se non a legge elettorale operativa. Ad ora le due opzioni sul tavolo paiono essere il completamento dell’adeguamento del Rosatellum ai nuovi numeri del Parlamento sanando l’errore sull’estero o, dall’altro, il superamento della legge introdotta su iniziativa dell’attuale parlamentare di Italia Viva Ettore Rosato in favore di un’altra sviluppata ex novo.

Le due leggende politiche atorno al Rosatellum

Sul primo fronte, ci dice il politologo Aldo Giannuli, docente all’Università degli Studi di Milano, “girano due leggende” politiche. Da un lato, si parlerebbe di “un accordo politico virtualmente chiuso” e di una pubblicazione da avvenire in tempi relativamente brevi dall’inizio dei lavori. Dall’altro, di una “comunione di intenti sulla necessità di procedere alla modifica” in tempi brevi dei collegi esteri. Tutto questo tenuto in considerazione che un proseguimento dell’esperienza di Mario Draghi al governo imporrebbe di promuovere questa azione unicamente in sede parlamentare e solo un restringimento del perimetro, con nuova maggioranza pre-elettorale, consentirebbe una legiferazione per decreto e l’accorciamento dei tempi.

La sproporzione all’interno dei collegi territoriali

Aggiungiamo poi una secondo questione: il Rosatellum adattato, per quanto riguarda i collegi uninominali interni, porta a una profonda sproporzione sul campo dei rappresentanti assegnati a ogni territorio. Il collegio unico della Valle d’Aosta, per esempio, consente alla regione di esprimere un deputato eletto da 126mila elettori circa, così come un senatore con la stessa proporzione. La Basilicata elegge invece un unico deputato all’uninominale per 578mila abitanti, il Friuli Venezia-Giulia e l’Abruzzo arrivano ad avere un collegio uninominale solo per 1,2 e 1,3 milioni di abitanti rispettivamente. Livelli di guardia potenzialmente intollerabili di fronte a qualsiasi ricorso.

“La politica italiana ha raggiunto il Barocco da tempo”, ma la fase attuale, tra voti parlamentari, elezioni presidenziali e nuove leggi elettorali “sta portando i nostri rappresentanti a scavare oltre il fondo” e a dimostrare “un totale analfabetismo costituzionale”.

La seconda ipotesi: il “Brescellum”

Cosa potrebbe sanare questo problema? Veniamo al secondo punto, il tema della riforma elettorale in senso proporzionale che vede favorevoli, ad oggi, Movimento Cinque Stelle, Forza Italia, Italia Viva e settori della Lega e del Partito Democratico. La base di discussione potrebbe essere il disegno di legge sul modello tedesco di proporzionale avente come primo firmatario il pentastellato Giuseppe Brescia, relatore anche della proposta di legge costituzionale per far votare i 18enni al Senato, che langue da oltre due anni alla Camera. Il “Brescellum” è un sistema elettorale proporzionale, con soglia di sbarramento al 5% e il cosiddetto “diritto di tribuna” per i piccoli partiti, che semplifica notevolmente le procedure in termini di complessità. Una discussione in tal senso, chiaramente, imporrebbe tempi lunghi e un accordo politico a tutto campo, facendo ripartire da zero ogni discussione sui collegi elettorali.

Morale della favola? Non si vota prima di settembre

Morale della favola? I parlamentari a rischio congedo anticipato possono dormire sonni relativamente tranquilli. Tra discussione di nuove leggi elettorali o modifiche di quelle esistenti, tra trattative politiche, questioni emergenziali contingenti, avvicinamento all’estate, scioglimento delle camere e campagna pre-voto il D-Day del 24 settembre 2022 non è poi così lontano. I deputati e i senatori al primo mandato maturano il diritto alla pensione dopo 4 anni, sei mesi e un giorno dall’inizio della legislatura, che nel XVIII parlamento italiano scatteranno proprio quel giorno. All’insaputa di molti, dunque, non sarà il Colle a cambiare le carte in tavola in questa partita. E il voto si avvicina sempre più cronologicamente alla scadenza naturale della Legislatura nel prossimo marzo.