Home Politics Geopolitics Africa, il piano Mattei deve fregarsene della democrazia?

Africa, il piano Mattei deve fregarsene della democrazia?

Africa, il piano Mattei deve fregarsene della democrazia?

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Giorgia Meloni a Tunisi non ha parlato solo di immigrazione, ma anche di progetti energetici in grado di rilanciare ulteriormente i rapporti commerciali con la sponda opposta del Mediterraneo. A dimostrazione che Roma, per mandare avanti il Piano Mattei, deve dialogare con governi dall’aspetto poco democratico

In nord Africa per l’Italia in ballo non c’è soltanto l’immigrazione. Anzi, oltre al tema più discusso e politicamente sentito, negli ultimi incontri tra il governo di Roma e i rappresentanti di Tunisia e Libia si è parlato molto della questione energetica. Un argomento molto delicato, specialmente perché da un anno a questa parte il Bel Paese è alla ricerca di fonti di approvvigionamento alternative dopo lo stop al gas russo.

Non solo, me nella partita entrano anche i progetti relativi al cosiddetto Piano Mattei. Il programma cioè con il quale Giorgia Meloni spera di far tornare Roma protagonista in Africa e rendere la penisola hub energetico del Mediterraneo. Un progetto ambizioso, seppur di difficile realizzazione visto il contesto politico instabile della regione. Contesto che costringe l’Italia a dover trattare anche con governi dalla scarsa sensibilità democratica.

Cos’è il progetto Elmed

Nel giro di 48 ore, Giorgia Meloni ha prima incontrato martedì il presidente tunisino Kais Saied e, il giorno seguente, il primo ministro libico Abdul Hamid Ddeibah. Il primo lo ha visto a casa sua, nel palazzo presidenziale tunisino di Cartagine, il secondo invece a Roma. Tornando da Tunisi, il capo dell’esecutivo italiano ha fatto cenno non solo alle intese sull’immigrazione ma anche a uno specifico progetto. Si tratta del progetto “Elmed”.

È questo il nome dato al cavo sottomarino di collegamento elettrico che nei prossimi anni dovrebbe interconnettere le coste tunisine con quelle siciliane. Il primo via libera al progetto è arrivato nel dicembre 2021, grazie alla sottoscrizione di un accordo intergovernativo tra Italia e Tunisia. L’intesa riguarda, da parte italiana, la società Terna mentre da parte tunisina l’omologa Steg.

L’iter è poi andato avanti nei mesi successivi. Nello scorso mese di dicembre, è arrivato il benestare della commissione europea alla costruzione del cavo. Sempre nello stesso mese, il ministero dell’Ambiente ha ufficialmente avviato il definitivo procedimento autorizzativo. I costi dell’opera dovrebbe ammontare a circa 850 milioni di Euro, 307 dei quali finanziati dal fondo dell’Unione Europea destinato al potenziamento delle infrastrutture energetiche. Un elemento quest’ultimo particolarmente rilevante: è la prima volta infatti che Bruxelles finanzia opere non interne alla comunità ma frutto di intese tra un Paese membro e un Paese terzo. Al termine dei lavori, il cavo da 200 km avrà una potenza di 600 Mw. L’approdo in Italia è stato fissato a Castelvetrano, poi sfruttando infrastrutture già esistenti, come si legge nel progetto, verrà connesso a una nuova stazione di conversione da corrente continua a corrente alternata.

Un nuovo tassello nella strategia del Piano Mattei?

Per Giorgia Meloni il progetto potrebbe rappresentare un primo banco di prova del “suo” Piano Mattei. Il presidente del consiglio da Tunisi ha parlato di Elmed come un’opera emblema delle velleità italiane in nord Africa, dove Roma “vuole parlare di una cooperazione non paternalistica, non predatoria, ma paritaria”, come ha scandito la stessa Meloni.

Di certo, il cavo tra Tunisia e Sicilia è un tassello della strategia economica ed energetica dell’esecutivo. Con Elmed l’Italia ha la possibilità non solo di stringere ulteriormente i legami con un Paese strategico, quale appunto la Tunisia con cui è in ballo il delicato dossier migratorio, ma anche di avvicinarsi all’obiettivo di diventare hub energetico dell’Europa meridionale nel Mediterraneo.

Non è un caso che Roma nei giorni scorsi si è spesa molto a favore della Tunisia, chiedendo a gran voce all’Fmi di sbloccare i fondi del prestito concordato con Kais Saied a ottobre. Due miliardi di Dollari che potrebbero ridare ossigeno a un’economia al collasso come quella tunisina. In poche parole, l’Italia non può rischiare di far scivolare indietro la Tunisia. La questione, oltre che economica ed energetica, è anche politica.

Il dialogo con i governi autocratici

Il quadro quindi è dei più delicati. Roma ha un progetto ambizioso, ma che poggia su un terreno instabile, fragile e molto frammentato. Il giorno successivo della visita di Giorgia Meloni a Tunisi, in Italia si sono levate voci contro l’attivismo di Palazzo Chigi e Farnesina in Tunisia. “Meloni si sta rendendo complice di Saied – ha commentato su Repubblica Patrick Zaki – sta dialogando con un dittatore”. Il riferimento è al fatto che Saied negli ultimi anni ha cancellato la democrazia parlamentare, riportando il Paese all’era pre primavera araba. Con quindi un potere molto robusto ridato in mano alla presidenza.

Dialogare con la Tunisia quindi, potrebbe significare avere a che fare con un governo non propriamente democratico. Il problema però è che, quasi paradossalmente, Tunisi è ancora oggi uno degli esempi più “moderati” nel panorama nordafricano e mediorientale. La Libia è ancora piegata dalle divisioni che non permettono la formazione di un vero e proprio Stato, l’Egitto sembra anch’esso molto lontano dagli standard di democrazia intesi in occidente. Stesso discorso per l’Algeria e ovviamente per le petromonarchie e altri attori dell’area.

L’Italia senza il dialogo con i governi interessati però rischierebbe di rimanere isolata. E, soprattutto, senza velleità di poter proseguire con il Piano Mattei e con gli altri progetti di natura economica e politica. Impossibile essere isolati e, al contempo, è impossibile anche isolare: significherebbe escludere e allontanare una parte di mondo dall’occidente.