di Francesco Floris

Sono i pazienti il cui rischio di ricovero in terapia intensiva e probabilità di decesso in caso di infezione Covid-19 aumentano fino a quattro volte rispetto a chi non ha problemi cardiaci. È un fatto che fino al 40% dei pazienti curati nelle terapie intensive soffrissero già in precedenza di insufficienza cardiaca congestizia. È stato un anno duro per chi soffre di patologie cardio-vascolari. Più duro rispetto agli altri.
“Calo interventi fino al 90%”
All’interno si parla di “un drastico calo dell’attività di cardiologia interventistica nei mesi di marzo e aprile 2020 rispetto allo stesso periodo nel 2019”. La riduzione osservata è stata dal 70% fino ad oltre il 90% per le diverse terapie interventistiche.
I problemi organizzativi: posti letto e personale
I principali problemi riscontrati? Il 45% dei rispondenti ha indicato barriere organizzative come la disponibilità di posti letto e di personale. Il 35% invece ha evidenziato un numero minore di pazienti, derivante da indicazioni restrittive di accesso in ospedale. Infine, in un altro terzo dei casi i pazienti preferivano non recarsi in ospedale per timore del contagio.
Un contesto “poco incoraggiante” ma sfidante, secondo la Società Italiana di Cardiologia Interventistica, alla luce della pandemia Covid ma anche per i trend nazionali e globali: una pubblicazione del Giornale Italiano di Farmacoeconomia e Farmacoutilizzazione stima che nel 2030 ci saranno 25 milioni di persone nel mondo che moriranno per cause cardiovascolari. In Italia queste patologie sono responsabili del 37% dei decessi e secondo i dati Istat 2017 le malattie ischemiche del cuore, come l’infarto acuto del miocardio e l’angina pectoris, sono responsabili di oltre il 10% di tutti i decessi, mentre gli accidenti cerebrovascolari del 9%.
Come del resto permane un tema anche di sostenibilità finanziaria dell’intero sistema sanitario, con ricadute anche sul piano socio-sanitario. Nella penisola la prevalenza di persone affette da invalidità cardiovascolare è pari al 4,4 per mille secondo l’Istat. La malattia impatta poi fortemente anche sulla qualità della vita con notevoli costi economici per la società e il sistema assistenziale.
Un “Piano Nazionale Cardiologico”
Illustrati i numeri – allarmanti – GISE stila una rosa di interventi necessari per farvi fronte. A cominciare dal finanziamento di un Piano Nazionale Cardiologico costruito su alcuni assi precisi: prevenzione, diagnosi tempestiva e adeguato accesso al trattamento delle malattie cardiache “che permettono di avere un impatto positivo immediato ed efficiente su diversi ambiti del sistema e della società”. Puntare sulla riduzione delle ospedalizzazioni fino al 50%, attraverso il trattamento della Malattia Cardiache Strutturali per contrastare il declino funzionale e quindi contribuire al calo dei costi sostenuti dal servizio sanitario. Ma anche “implementare il modello Hub & Spoke a livello ospedaliero, creare un piano di collaborazione fattiva tra ospedale e territorio” e disegnare Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali “che tengano conto del livello di urgenza degli interventi”. Ecco secondo Gise alcuni dei passi decisivi per migliorare la gestione diagnostica e l’assistenza terapeutica del paziente, “assicurando l’appropriatezza sin dalla prescrizione diagnostica e aumentando la capacità di accedere il prima possibile ai trattamenti più mirati”. Cruciale diventa un piano di tecnologia e innovazione in campo medico, ma anche sulla fruibilità diffusa delle stesse sia dal lato pazienti che specialisti, istituendo “un fondo per l’innovazione tecnologica”, sul modello di quanto già fatto per i farmaci innovativi, con l’obiettivo di “sostenere l’adozione dell’innovazione nella pratica clinica e ridurre le disomogeneità di accesso tuttora esistenti”.