Home Future Come si risolve il problema del PM10 nella pianura padana?

Come si risolve il problema del PM10 nella pianura padana?

Come si risolve il problema del PM10 nella pianura padana?

La notizia l’avrete letta nei giorni scorsi: la pianura padana è tra le aree più inquinate d’Europa e quella in cui “si muore di più per inquinamento”, come scritto da The Lancet. È un problema noto che è interessante incrociare agli studi sugli effetti sul clima locale dei lockdown. È quanto stato fatto da Life PREPAIR, progetto che vede la collaborazione delle Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e relative ARPA, la Provincia Autonoma di Trento, ARPA Valle d’Aosta, le municipalità di Milano, Torino e Bologna, ART-ER, Fondazione Lombardia Ambiente e l’Agenzia per l’Ambiente della Slovenia – realtà riunitesi per studiare l’impatto della pandemia nell’aria che respiriamo.

Il report finale, aggiornato all’agosto scorso e all’ultima parte del lockdown del 2020, dimostra “una drastica e repentina riduzione di alcune tra le principali sorgenti di inquinamento atmosferico”. Non è tutto così semplice, però: “Gli inquinanti primari (cioè emessi come tali, come NO, NO2 e il benzene) risultano in costante diminuzione su tutta l’area oggetto dello studio,” si legge nel report, “mentre il particolato (PM10 e PM2.5) presenta un andamento maggiormente collegato alle condizioni meteo e con una distribuzione spaziale sul bacino variabile”. La concentrazione di PM10, insomma, “mostra una riduzione nel periodo in esame ma meno marcata” rispetto ad altri gas. Non c’è scampo, quindi: com’è possibile che nemmeno il blocco totale non abbia fermato il PM10?

La questione meteorologica

Secondo Life PREPAIR il tutto si spiegherebbe con il riscaldamento delle case e degli ambienti, che non è stato ridotto durante il lockdown (anzi), unito al livello piuttosto stabile dei precursori (“quegli inquinanti che danno luogo al complesso di processi fisico-chimici che, sotto l’influenza delle condizioni meteorologiche, determinano la formazione di PM cosiddetto secondario”). Insomma, c’entra anche il meteo, che, specie nel marzo del 2020, è stato piuttosto soleggiato e ha potuto “aumentare la produzione di PM secondario d’origine foto-chimica”.

Occorre quindi un ripensamento più profondo del nostro rapporto con i consumi, perché muoversi meno non sembra sufficiente – almeno non per il PM10. Una soluzione potrebbe essere il teleriscaldamento, la forma di riscaldamento che usa tubature su cui scorre acqua calda, surriscaldata o vapore, e che può essere alimentato anche con le biomasse o la termovalorizzazione dei rifiuti solidi urbani.