Home Facts Condannato per la strage di Corinaldo esce dal carcere per laurearsi e poi scompare nel nulla

Condannato per la strage di Corinaldo esce dal carcere per laurearsi e poi scompare nel nulla

Condannato per la strage di Corinaldo esce dal carcere per laurearsi e poi scompare nel nulla

Andrea Cavallari, condannato in via definitiva per la strage di Corinaldo, è irreperibile dalle prime ore di giovedì 3 luglio, dopo aver usufruito di un permesso per discutere la tesi di laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Il 26enne, membro della famigerata “banda dello spray”, era detenuto nel carcere della Dozza, dove stava scontando una pena di 11 anni e 10 mesi. Oggi, nel silenzio delle istituzioni e la tensione che sale nella comunità, la sua fuga apre una frattura profondissima nelle dinamiche tra magistratura, carcere e opinione pubblica, riaccendendo il ricordo tragico di quella notte in cui la Lanterna Azzurra si trasformò in un inferno.

Il permesso senza scorta e la fuga

La cronologia degli eventi è limpida e inquietante. Giovedì mattina, Andrea Cavallari lascia la cella diretto all’università per discutere la tesi, accompagnato solamente dai familiari. Nessuna scorta della polizia penitenziaria, una concessione del magistrato di sorveglianza che suscita immediate polemiche. Terminata la cerimonia, secondo le ricostruzioni, Cavallari resta solo con la fidanzata e “fa perdere le proprie tracce”, raccontano fonti investigative (AdnKronos). Da quel momento, nessuno l’ha più visto.

La scelta di autorizzare questa uscita senza accompagnamento rafforza la tensione tra il personale penitenziario e la magistratura di sorveglianza. Lapidario Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe (il sindacato autonomo di polizia penitenziaria): “Stiamo cercando di lavorare affinché, in situazioni simili, venga dato più spazio alla polizia penitenziaria nell’osservazione dei detenuti come elemento di valutazione per il loro eventuale accesso ai benefici”. Il dibattito si fa acceso, i riflettori si spostano sulle prassi adottate per la concessione dei permessi premio, nuovamente sotto accusa dopo episodi tanto eclatanti quanto drammatici.

Il ricordo vivo della strage: sei morti e 59 feriti

La vicenda di Cavallari è inscindibile dalla notte dell’8 dicembre 2018, quando la Lanterna Azzurra di Corinaldo divenne teatro di una tragedia che sconvolse l’opinione pubblica nazionale. Un tentativo di rapina con spray al peperoncino, architettato dalla banda di cui Cavallari faceva parte, gettò nel panico la folla accorsa per il concerto di Sfera Ebbasta. Cinque adolescenti e una madre di 39 anni morirono schiacciati nella calca, 59 persone rimasero ferite. Una pagina nera: “Tutti ragazzi all’epoca tra i 19 e i 22 anni della Bassa Modenese, specializzati nelle rapine usando lo spray al peperoncino, accusati a vario titolo di omicidio preterintenzionale plurimo, furto, rapina e lesioni personali per i tragici eventi di Corinaldo” (AdnKronos).

Arrestato nell’agosto 2019 dai carabinieri di Ancona, Cavallari venne inchiodato dalle indagini a una lunga catena di responsabilità penali. La sua condanna definitiva fotografa la gravità dei reati commessi: 11 anni e 10 mesi da scontare, mentre le famiglie delle vittime reclamano giustizia piena e verità.

Il percorso universitario e il permesso premio

Durante la detenzione Cavallari decide di iscriversi all’università. “Tre anni fa aveva iniziato a frequentare Giurisprudenza a Unibo, scegliendo la triennale in Scienze Giuridiche, specializzazione in Consulente del lavoro e delle relazioni aziendali”. Un percorso intrapreso all’interno delle opportunità trattamentali riconosciute ai detenuti, che prevedono la possibilità di ottenere permessi temporanei per motivi di studio, se il magistrato lo ritiene compatibile con il profilo personale e la funzione rieducativa della pena.

Ma il beneficio, in questo caso, si trasforma in una falla profonda nel sistema: dopo la proclamazione della laurea, “rimasto solo insieme alla fidanzata, avrebbe fatto perdere le proprie tracce”. Nessuno dal carcere, nessuno delle forze dell’ordine riesce a rintracciarlo. “Il fatto è accaduto nella mattinata di giovedì scorso (3 luglio) – si legge – quando il giovane è uscito per andare in università, senza la scorta della Polizia penitenziaria, ma accompagnato dai propri familiari. Col passare delle ore però non è più rientrato nella struttura, trasgredendo a quanto aveva disposto l’autorità giudiziaria nei suoi confronti.”

Reazioni e accuse incrociate: tensione tra istituzioni

Il blitz fallito, la fuga di Cavallari e la facilità con cui ha potuto allontanarsi riaccendono lo scontro tra polizia penitenziaria e magistratura. La vicenda si presta a una lettura ancora più polemica proprio per la natura clamorosa dei reati: “Stiamo lavorando perché venga dato più spazio alla polizia penitenziaria nell’osservazione dei detenuti come elemento di valutazione per il loro eventuale accesso ai benefici”, ribadisce il Sappe, lasciando trasparire un malessere diffuso su decisioni percepite come troppo larghe, troppo ‘contabili’, troppo distanti dal vissuto concreto delle carceri e dalle reali esigenze di sicurezza pubblica.

La magistratura di sorveglianza non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali, ma la vicenda porta inevitabilmente alla luce una frattura di sistema, una tensione strutturale tra il diritto alla rieducazione e la tutela della collettività.

Il vuoto delle istituzioni, il timore nel territorio

Cavallari continua a risultare ufficialmente irreperibile. Dopo oltre 72 ore nessuna traccia. Le forze dell’ordine, coordinate dalla Procura, stanno setacciando le piste più probabili: fuga all’estero, nascondiglio in Italia, aiuto dalla rete familiare e amicale. La comunità di Corinaldo, le famiglie delle vittime e la società civile guardano con sgomento al ripetersi di un copione che pare scricchiolare sotto il peso delle sue stesse procedure.

L’eco della strage, il dolore mai sopito di quella notte e ora la beffa: un permesso laurea finito in latitanza, nuove domande su chi debba vigilare e decidere quando il “fine pena” non coincide con la fine della paura della società. Manca una risposta chiara e definitiva mentre si rincorrono polemiche, dichiarazioni e accuse incrociate. I riflettori rimangono accesi su una ferita che sembra lontana dal rimarginarsi.