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La leadership gentile. Nuovi modelli tra inclusione e diversità

La leadership gentile. Nuovi modelli tra inclusione e diversità

La leadership compassionevole non è una leadership debole. Vuol dire avere empatia, e dimostrarla con i propri lavoratori, vuol dire guardare al bisogno delle altre persone e ottenere così maggiore fiducia da parte loro. Si è parlato di questo al panel “La leadership gentile. Nuovi modelli di leadership tra inclusione e diversità” svoltosi questo pomeriggio alla 21esima edizione di Italia Direzione Nord presso la Fondazione Stelline a Milano. Al panel hanno preso parte Donato Tramuto, Co-Chairman Fondazione Robert F. Kennedy Human Rights Italia, Barbara Falcomer, Direttrice generale Valore D, Barbara Marini, General manager Advanz Pharma Italia, Salvatore Poloni, Senior advisor già co-direttore Banco BPM e Nico Acampora, fondatore di PizzAut.

Il panel sulla leadership gentile di Italia Direzione Nord

Donato Tramuto, Co-Chairman della fondazione Robert F. Kennedy Human Rights Italia, inizia raccontando la sua storia: ha perso l’udito all’età di otto anni e per dieci anni ha sentito pochissimo, ha fatto fatica per tanto tempo a parlare ed è stato bocciato a scuola. Solo un’università ha accettato la sua domanda perché pensavano fosse disabile. Il fratello è morto in un incidente, la sorellastra ha perso la vita partorendo il secondo figlio. Ma poi il dieci settembre un mal di testa gli ha impedito di prendere un volo il giorno dopo. L’11 settembre 2001 i suoi colleghi hanno perso la vita su quel volo diretto in California. Da quel momento, insieme al suo collaboratore, ha deciso di avviare due fondazioni, perchè “abbiamo scelto la strada della compassione e non della rabbia”.

Il motivo per cui ha condiviso questa storia, è per spiegare che “a nessuno importa di quello che fai. Importa perché lo fai. Non possiamo essere compassionevoli nella leadership se non conosciamo le nostre persone e i loro problemi. Ho viaggiato in tutto il mondo, ho incontrato molti leader e ho notato che molti di loro avevano sì empatia, ma pochissimi riuscivano a metterla in atto. Viviamo in un decennio molto vulnerabile, in cui le persone hanno paura di mostrarsi come sono perché c’è la tendenza a giudicare gli altri. L’età media di un amministratore delegato negli Usa è ‘vecchio’. Ma ci sono generazioni più giovani che hanno una prospettiva diversa della loro vita lavorativa, vogliono passione, coinvolgimento, perché hanno capito che la vita è breve e vogliono godersi anche il lavoro. Come farlo? Coinvolgendoli. Non c’è più tempo per leader autoritari”.

Il ruolo fondamentale delle imprese

“I board hanno un ruolo fondamentale, devono garantire la sostenibilità a lungo termine di un’impresa e creare valore. Valore che viene anche dalla capacità di far sentire bene le persone, di attrarre talenti giovani che hanno bisogno di una motivazione che va oltre lo stipendio” aggiunge Barbara Falcomer, Direttrice generale Valore D. Falcomer. Ricorda poi che i leader di oggi sono le persone su cui ricade in misura maggiore la fiducia dei cittadini. Più della politica e dei media: “Ai leader oggi si chiede molto, ci sono molte aspettative. Si guarda a loro come a persone capaci di creare un cambiamento e di portare risultati, e hanno quindi una grande responsabilità. Il leader inclusivo, che sa guardare a lungo termine oltre che ai risultati immediati, è un leader che ammette la propria vulnerabilità e i propri errori, e quando si ha questo atteggiamento, la fiducia delle persone cresce perché si crea empatia”.

D’accordo con il concetto di empatia anche Barbara Marini, General manager Advanz Pharma Italia, per cui questo sentimento “non basta più. Empatia è sentire l’altro, ma se non si fa nulla per lui si rimane a metà. Bisogna dimostrare la compassione per gli altri, e anche celebrarla. Solo quando non sarà più straordinario vedere esempi compassionevoli, avremmo effettivamente fatto un percorso. Ho iniziato la mia carriera nell’industria farmaceutica, un settore dove gli uomini leader tendevano a controllare. La percezione che le persone non fossero rilevanti, ma solo un numero. Come donna ho avuto anche la sfida di sentirmi a mio agio in un ambiente in cui non mi trovavo. Per fortuna, le aziende in cui ho lavorato erano visionarie, portando concetti di caratteristiche individuali, lavoro sui punti di forza anziché di debolezza, si è cominciato anche a parlare di empatia che sembrava un termine sconosciuto. Ho iniziato, insomma, un percorso che mi ha portato a scoprire il valore umano all’interno del lavoro. Le persone compassionevoli poi vivono più a lungo, e sono meno stressate”.

Salvatore Poloni, Senior advisor già co-direttore Banco BPM, aggiunge: “Le aziende sono fatte di persone. Sono importanti i prodotti, ma anche quelli sono fatti dalle persone. Per riconoscere il valore della persona bisogna avere per lei rispetto. Le persone non nascono generose, coraggiose, con la prudenza, le virtù si acquisiscono con l’abitudine. Si impara a essere generosi con la pratica. Concludo con dei suggerimenti: osservare le persone che lavorano in azienda, guardarle negli occhi, quando si muovono, come interagiscono tra di loro, questo dice molto del clima che si vive in quel posto. E poi guardare il modo in cui si lavora, se dialogano, se si confrontano e se non lo fanno in maniera competitiva”.

La leadership gentile di PizzaAut

“Sono confuso perché non sono un leader, ma sono felice di essere qua” inizia Nico Acampora, fondatore di PizzAut: “In Italia nasce un bambino autistico ogni 77 bambini, negli Usa è uno ogni 54. Sapete quanti sono inseriti nel mondo del lavoro? 1,87%. Dove finiscono quando diventano giovani adulti? In un centro diurno per disabili o in una struttura residenziale. Io faccio lavorare 35 ragazzi autistici. E gli pago uno stipendio. Diventano così contribuenti e pagano la pensione. Io ho un figlio autistico, e pensando al suo futuro mi sono imbattuto nel presente di molti ragazzi. Oggi PizzAut è l’unico ristorante in Europa completamente gestito da persone autistiche. Per prenotare ci vogliono due mesi e mezzo. Abbiamo richieste da tutta Italia, alla faccia di quella dottoressa che all’annuncio del mio progetto mi disse: ‘lei è il classico padre frustrato che non si arrende alla malattia del figlio e pensa a un progetto irrealizzabile’. Vogliono ripetere questo progetto, ma io non riesco a mettere a manuale una cosa che si chiama amore. Quella o ce l’hai o è difficile. Non si può duplicare in una catena. Al tempo stesso però non so come aiutare tutti gli altri ragazzi autistici che vivono in Italia. E quindi ho pensato di fare 107 PizzAutobus, uno per provincia, scalabile in tutto il mondo, e dare la possibilità a oltre 500 ragazzi di trovare lavoro. Cosa prendono le aziende da noi? Alcuni grandi marchi assumono i ragazzi che io formo, c’è chi poi li fa lavorare e chi li lascia a me, ma intanto sono ragazzi assunti che non pesano più sullo Stato ma che diventano veri dipendenti che pagano le tasse. È una piccola rivoluzione”.