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Porti bloccati e navi in attesa: la logistica marittima globale in tempesta

L'economia mondiale torna sull'ottovolante sulla scia delle crisi globali come quella delle catene del valore imposta dal blocco del Mar Rosso 

La logistica globale è in tilt. Centinaia e centinaia di navi portacontainer stanno aspettando il loro turno per entrare nell’immenso porto di Shanghai, il primo scalo marittimo mondiale. Devono scaricare le proprie merci, imbarcare nuovi prodotti e ripartire per alimentare l’economia internazionale. Non possono però fare niente del genere perché, ormai da giorni, sono bloccate al largo delle coste cinesi. Colpa di molteplici effetti che hanno generato un effetto domino: in primis troviamo la rigidissima politica zero Covid attuata dalla Repubblica Popolare, con Pechino che ha blindato intere megalopoli e ridotto le attività commerciali, ma non dobbiamo sottovalutare neppure la guerra scoppiata in Ucraina.

Congestione globale

Un’analisti effettuata dalla Royal Bank of Canada (RBC) ha acceso i riflettori su un paio di aspetti preoccupanti. Innanzitutto, un quinto della flotta globale di navi portacontainer risulterebbe essere bloccata dalla congestione di imbarcazioni che sta interessando vari porti internazionali. In Cina, dove troviamo sette dei primi dieci porti per container del mondo – tra cui Shanghai, Ningbo-Zhoushan, Shenzhen e Hong Kong – le navi in attesa di attraccare al porto di Shanghai sono oltre 300 (per la precisione erano 344 lo scorso 7 maggio), con un incremento del 34% rispetto all’ultimo mese. Numeri impressionanti che si sommano ai 74 giorni in più richiesti per spedire qualcosa da un magazzino degli Stati Uniti ad uno collocato in Cina.

Anche l’Europa ha accusato il colpo, visto che le navi provenienti da Pechino e dintorni impiegano in media quattro giorni di ritardo, causando una serie di effetti a catena sulla logistica, tra cui la carenza di container vuoti. Container, va da sé, necessari per trasportare i prodotti realizzati nel Vecchio Continente in territorio americano. “La congestione globale delle porte sta peggiorando e sta diventando sempre più diffusa”, sostengono gli autori del report della RBC. Emblematici, inoltre, i dati raccolti da Project44, leader nel tenere traccia delle catene di approvvigionamento globali, secondo cui i ritardi nelle spedizioni tra la Cina e i principali porti statunitensi ed europei sono quadruplicati dalla fine di marzo, e cioè da quando Pechino ha chiuso la città di Shanghai, che, come detto, ha il porto per container più trafficato del mondo.

Paralisi cinese

Per capire come e dove nasce questa situazione bisogna volgere lo sguardo verso l’Asia. La Cina, principale player economico mondiale, continua ad utilizzare una politica anti Covid il cui unico obiettivo consiste nell’annullamento dei contagi. Bastano pochi casi rilevati in una città abitata da decine di milioni di abitanti per provocare un lockdown che non ammette sconti. Ne sa qualcosa Shanghai, da settimane, per l’esattezza da fine marzo, sotto stretta sorveglianza per colpa di Omicron. Il porto cittadino è rimasto sostanzialmente aperto durante il blocco, ma i lavoratori addetti a caricare e scaricare le merci, così come gli autisti dei tir incaricati di ritirare i prodotti, hanno dovuto fare i conti con le dure misure di contenimento. Risultato: ritardi negli attracchi e pile di container in attesa di essere svuotati.

Uno dei problemi più grandi è che le lunghe code di navi sono peggiorate tanto in Cina quanto in altre parti del mondo. Windward, una società di dati marittimi con sede in Israele, ha stimato che il 20% delle navi portacontainer a livello globale sta attualmente aspettando fuori dai porti congestionati. Ebbene, un quarto di quelle navi sarebbe bloccata al di fuori dei porti cinesi. Si tratterebbe di 412 navi, in aumento del 58% da febbraio. In ogni caso, la pressione sta lentamente spostandosi da Shanghai ad altri porti del Dragone, e da qui agli scali marittimi asiatici e a quelli del resto del mondo. Il motivo è semplice da spiegare: le navi stanno cercando porti alternativi dove attraccare, pena il blocco dell’economia.

La guerra in Ucraina e gli effetti sulla logistica

Ma non c’è solo la politica zero Covid della Cina tra le cause della tempesta perfetta che sta paralizzando la logistica globale. Troviamo anche la guerra in Ucraina, o meglio le sanzioni imposte a Mosca in seguito al conflitto ucraino. Lo spiega, nel dettaglio, ExportUSA, società di consulenza impegnata a sostenere le aziende italiane attive nel mercato statunitense. Pare che circa un milione di container all’anno non potrà più prendere la via dell’Europa dalla Cina mediante ferrovia attraverso il territorio russo. L’alternativa? Il piano b, ossia passare via mare. Solo che, come abbiamo visto, le acque del Pacifico (e non solo) sono intasate di imbarcazioni in attesa di attracco mentre il numero di container continua a diminuire.

Per quanto riguarda i prezzi, il costo medio per spedire un container da 40 piedi, da Shanghai a Los Angeles, nel periodo compreso tra il gennaio 2011 e il marzo 2021 è stato di 3.500 dollari. Adesso la cifra è arrivata a toccare i 18-20mila dollari, per un aumento che interesserà inevitabilmente anche le aziende italiane operative negli Usa. A proposito di Italia, “i ritardi nelle consegne cominciano ad essere imprevedibili e stanno impedendo sia alle imprese di rispettare i termini di consegna dei beni lavorati o dei componenti che agli esercizi commerciali di avere alcune merci da esporre in vendita”, ha scritto Confindustria Udine in una nota stampa. La tempesta perfetta è appena iniziata.

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