Home Economy Litio e altre terre rare: nella nuova corsa all’oro la Cina è già in pole position

Litio e altre terre rare: nella nuova corsa all’oro la Cina è già in pole position

Il litio è centrale per la transizione green. In Sardegna si parla del maxi-impianto per il riciclo più grande d'Europa.

Terre rare, metalli altrettanto rari, risorse energetiche scarse o in certi casi addirittura scarsissime, senza considerare poi quella manciata di materiali sempre più difficili da reperire sui mercati internazionali. La lista degli “ingredienti” necessari a far funzionare la nostra società non è mai stata al centro del dibattito pubblico geopolitico come in questi ultimi anni.

La nuova corsa all’oro per litio, niobio, coltan

Al netto delle tensioni internazionali, il motivo è facilmente comprensibile, e lo si capisce subito leggendo gli aggettivi che accompagnano le sostanze impiegate per realizzare gli oggetti della nostra quotidianità. Dal litio al niobio, passando per coltan, ittrio, carbone e cobalto, stiamo parlando di metalli, e più in generale di materiali, accomunati dal fatto di non essere a disposizione di tutti. In altre parole, i governi che in qualche modo hanno accesso a tali comodità – vuoi perché il loro territorio ne è ricco, o vuoi per vari accordi economici stretti con Paesi terzi – sono in grado di influenzare le dinamiche globali con un semplice schiocco di dita.

Metalli rari: se la Cina chiude le porte agli Usa…

Facciamo un esempio concreto per capire di che cosa stiamo parlando: la Cina, in prima fila nel controllo di terre e metalli rari, potrebbe di punto in bianco chiudere i rubinetti delle esportazioni dei cosiddetti rare-earth elements per punire gli Stati Uniti; a quel punto Washington si troverebbe senza i materiali base per consentire alle proprie aziende di produrre televisori, cellulari e tanti altri oggetti, non solo d’uso civile. Ma non è finita qui, perché i suddetti materiali sono fondamentali per accelerare tanto sulla transizione energetica quanto sull’avanzamento tecnologico. Insomma, uno Stato a secco di terre rare e altri metalli analoghi è tagliato fuori dallo scacchiere globale. 

Terre rare: elementi decisivi per almeno 200 prodotti industriali

Complessivamente, almeno duecento sono i prodotti industriali decisivi per la transizione che contengono in parti significative delle terre rare nella loro composizione, e molti di essi sono quelli a più alta intensità tecnologica. Si pensi solo al settore della distribuzione elettrica, sottoposto da tempo a cambiamenti disruptive sulla scia della diffusione sempre maggiore delle reti “intelligenti” (smart grid) e delle tecnologie legate al governo in tempo reale del flusso generazione-immagazzinamento-distribuzione in campo energetico legato alla generazione da fonti rinnovabili. Inoltre, come ha ricordato Aspenia, è importante sottolineare che “nuove risorse si connetteranno alla rete” con sempre maggior frequenza, tra cui “accumulatori e veicoli elettrici” in un contesto in cui “l’intera catena del valore” del settore “sarà modificata per decenni”.

Litio, elemento fondamentale per le batterie ricaricabili

Prendiamo per fare un caso noto il litio, elemento chimico della tavola periodica degli elementi indicato con il simbolo Li e con numero atomico 3. Viene utilizzato, tra gli altri, per produrre batterie di vario genere, vetro, ceramica e perfino grassi lubrificanti. Si trova per lo più in America Latina, dove il triangolo del litio formato da Bolivia, Argentina e Cile  ne ospita il 70% delle riserve mondiali fin qui stimate. Ma da quelle parti ci sono anche decine di milioni di tonnellate di niobio (Brasile) e coltan (Colombia), con quest’ultimo decisivo per realizzare cellulari e videocamere.

Tornando al litio, con la domanda di batterie ricaricabili destinata ad aumentare dalle quattro alle sei volte da qui al 2028, è facile intuire perché è già partita la corsa per accaparrarsi questo simpatico elemento e i suoi fratelli. La Cina si è mossa con decisione, e la prova più evidente arriva da un paio di dati che non riguardano soltanto il litio. Pechino controlla rispettivamente il 41% della produzione e il 37% delle riserve di terre rare in Argentina; il 58% e il 19% in Australia; addirittura al 100% in Bolivia e Brasile.

Terre rare, tentacoli cinesi in Cile, Congo, Sudafrica

E poi dobbiamo citare il Cile, il Congo e il Sudafrica, dove i tentacoli cinesi sono ben radicati nei processi di estrazione e lavorazione dei materiali più pregiati. In ogni caso, il Partito Comunista Cinese, che pure può contare su discrete scorte casalinghe di terre rare, vorrebbe espandere il controllo di tre risorse specifiche da collegare con il lato tecnologico: cobalto, metalli del gruppo del platino e litio.

Il Dragone, che controlla circa il 37% delle riserve complessive di terre rare e rappresenta l’80% della produzione mondiale di lavorazione delle stesse, ha infatti iniziato a espandersi oltre la Muraglia, piazzando le sue bandierine in Africa, Asia centrale (attenzione all’Afghanistan e al Kazkhstan) e, come detto, America Latina, così da diventare il fornitore mondiale di risorse vitali e strategiche per il nostro sviluppo economico. Insomma, da qualsiasi prospettiva le si guardi, le terre rare sono il petrolio del XXI secolo.

Terre rare, la Cina controlla anche la processazione del cobalto

Anche per quanto riguarda il cobalto, fondamentale per l’industria tecnologica, la musica è simile. L’80% della domanda mondiale di cobalto – destinata a raggiungere le 90.000 tonnellate entro il 2030 – viene dall’industria delle batterie elettriche. I tre giacimenti più importanti (come riserve conosciute) sono situati rispettivamente nella Repubblica Democratica del Congo, in Australia e Cuba, con il 69% dell’attuale produzione mondiale nello Stato africano (90.000 t). La Cina controlla più dell’80% della processazione globale e attualmente produce poco più di 3.000 tonnellate

Il rischio di dipendere troppo da Pechino

Se il ruggito della Cina è arrivato forte e chiaro nel cuore dell’Occidente, sarà meglio che gli altri attori – Stati Uniti e Unione europea su tutti – inizino a prendere adeguate contromisure per non dipendere troppo dagli umori pechinesi. Anche perché gli ingredienti che abbiamo citato servono per fare qualsiasi cosa: dai condizionatori ai pannelli solari, dalle marmitte catalitiche alle turbine eoliche, dagli smartphone ai computer, dai televisori alle biciclette, dalle locomotive alle batterie, senza scordarci dei superconduttori.

Export/Import: il rischio di un folle aumento dei prezzi

Un’ulteriore spinta sarà data dall’ibridazione tra rivoluzione green e transizione digitale. Le nuove reti intelligenti, i nuovi centri di produzione e distribuzione, gli elementi collaterali alla rete elettrica (centrali di ricarica, sensori abilitanti le nuove interazioni IoT etc.), assieme agli elementi dell’infrastruttura digitale che accelereranno gli scambi di dati (reti 5G) e la loro analisi (data center) comporteranno un cambio radicale di paradigma sul fronte produttivo.

E il grande gioco delle esportazioni/importazioni può determinare folli aumenti dei prezzi. A cui sottrarsi è difficile. Pechino lo ha capito e valorizza le sue rendite di posizione. Per fare un ulteriore esempio concreto, bisogna ricordare che il mercato dei pannelli fotovoltaici a basso costo dipende dal polisilicio prodotto nello Xinjiang, che sei delle sette maggiori compagnie al mondo che producono i pannelli sono cinesi e che oltre il litio e il cobalto, tutte le catene del valore delle principali materie prime legate alle tecnologie per la transizione, nickel in testa, sono in mano alla Repubblica Popolare.

L’Italia e il rischio di restare esclusa dall’industria del futuro

Tutto questo mette sotto pressione Paesi come l’Italia. I quali rischiano di passare da una dipendenza attuale dall’importazione di materie prime strategiche come il gas a una forma ancora più complessa di subordinazione, non avendo alcun controllo sulle catene del valore al cui interno si determinano le dinamiche dell’industria del futuro. La predominanza di Pechino in questo settore aggiunge un’ulteriore materia di preoccupazione, a cui una via d’uscita può essere la ricerca di un ruolo predominante in aggregazioni industriali europee volte a superare la comune natura di importatori a vocazione industriale dei Paesi europei. Ma questo implica una proiezione geopolitica dei settori industriali e della diplomazia in aree decisamente complesse del pianeta. Segno che nel XXI secolo la competizione sarà sempre più riservata a chi ha voglia di portarla sino in fondo.