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Il paradosso del “parco eolico cinese” marino di Taranto

Il paradosso del “parco eolico cinese” marino di Taranto

A Taranto è stato inaugurato il primo parco eolico marino del Mediterraneo. Un simile evento dovrebbe essere collegato soltanto a buone notizie, che in effetti non mancano visto che, nei prossimi 25 anni, la nuova installazione dovrebbe consentire di risparmiare 730 mila tonnellate di anidride carbonica e produrre 58 mila Mwh all’anno, pari al fabbisogno energetico di 60mila persone. Eppure non mancano le zone d’ombra, a cominciare dall’aggettivo che si porta dietro questo parco – da molti ribattezzato il “parco eolico cinese” – per passare alle polemiche sul suo ipotetico impatto ambientale.

Il primo parco eolico marino d’Italia

Beleolico, questo il nome dell’impianto, è stato realizzato da Renexia, società del Gruppo Toto attiva nel campo delle energie rinnovabili. Dal punto di vista geografico, il parco sorge al largo del molo polisettoriale di Taranto, città che nel recente passato è salita agli onori della cronaca per l’ex Ilva e per l’interessamento della Cina al porto locale, come possibile ampliamento della strategia geopolitica cinese della Nuova Via della Seta.

Dopo un iter organizzativo e burocratico lungo 14 anni, tra corsi e ricorsi, Beleolico è riuscito finalmente a vedere la luce. Comprende dieci pale e una sottostazione per l’allaccio alla rete elettrica nazionale. Il costo complessivo per la sua costruzione è stato di circa 80 milioni di euro. L’intero parco è made in Italy tranne per un piccolo particolare: le turbine delle eliche provengono dalla Cina. Inizialmente Renexia si era rivolta ad un’impresa tedesca, poi fallita. A quel punto la società si è rivolta ad un altro fornitore. La commessa è stata vinta da MingYang Smart Energy, ovvero il più grande produttore di turbine eoliche della Cina, che ha messo a disposizione dieci turbine eoliche MySE 3.0-135.

Luci e ombre

Potrebbe sembrare, come detto, una storia a lieto fine: primo parco eolico in Italia, produzione di energia green nella città dell’ex Ilva, un’occasione per l’intero Paese e via dicendo. In realtà non mancano alcune ombre, più o meno piccole, ma che vale comunque la pena prendere in considerazione. “Un parco eolico, con le sue energie rinnovabili, non può essere un nostro nemico. Il problema è che a Taranto, come al solito, succedono sempre cose strane”, ha raccontato a True News Antonio Lenti, attivista e ambientalista locale.

Lenti evidenzia tre punti, o meglio spunti, di riflessione. “Il primo problema è che questo non è un parco onshore ma nearshore. È a 3-400 metri dalla spiaggia. Una spiaggia dove la gente è sempre andata a fare il bagno in mare. Ebbene, quella porzione di mare è stata un po’ sacrificata”, ha spiegato Lenti. Il secondo spunto di riflessione è collegato all’energia prodotta dall’impianto. “Il parco prevede circa 58-60 mila megawatt di energia all’anno, che darebbero energia al fabbisogno energetico di 60mila persone. Ma questo, a differenza di quanto non si possa pensare, non vuol dire che 60-70mila abitanti di Taranto usufruiranno dell’energia prodotta dal parco. La maggior parte sarà venduta fuori dalla regione e forse dall’Italia. Soltanto il 10% andrà al porto di Taranto”, ha sottolineato l’attivista tarantino.

Il paradosso di Taranto

Arriviamo al terzo punto: il possibile impatto ambientale del parco, come ipotizzato da Lenti. “Stiamo parlando di un progetto vecchio. A Taranto una delle cose più belle è il mare. Vista la presenza di delfini, cetacei, Posidonia oceanica e una particolare biodiversità che rende unico il Mar Ionio, forse non avrebbero dovuto costruire nulla per mantenere l’equilibrio del nostro fragile ecosistema. Dobbiamo capire quale sarà l’impatto marino”, ha dichiarato Lenti.

Ci troviamo di fronte a una sorta di paradosso. Come può un parco eolico green, primo del suo genere, dare vita a tutte queste polemiche? “Noi siamo favorevolissimi alle energie rinnovabili e alle fonti non fossili. È il futuro. Ma la green economy va fatta con criterio, senza deturpare paesaggi. Quel piccolo paesaggio dove è sorto il parco è stato sottratto agli abitanti. Non so se le persone potranno più andare in mare e frequentare la spiaggia come prima”, ha chiosato Lenti. La polemica riguarda più in generale l’intera città di Taranto, spesso considerata una sorta di “città laboratorio”. “Sembra che il motto sia sempre lo stesso: “Proviamo a far qualcosa e vediamo”. Io dico: “Se decidiamo di fare qualcosa, vediamo di farla bene e in maniera definitiva, e non sempre a pensando di essere in un laboratorio. Se un progetto è fattibile, ben venga. Altrimenti, se non ci sono i presupposti per farlo, non ha senso realizzarlo”.

La questione cinese

Abbiamo accennato della Cina. “Il parco eolico è stato realizzato da Renexia, del Gruppo Toto. I cinesi hanno fornito esclusivamente i rotori. L’impianto è di costruzione italiana”, ha raccontato a True News Cesare Bechis, giornalista del Corriere del Mezzogiorno. “L’impianto è offshore, però in questo caso non si deve intendere che è a miglia dalla costa. Si trova nella rada tarantina, nell’area portuale. Sul piano ambientale ha un impatto positivo soprattutto per una città come Taranto. Tutto l’universo sa quale sia l’impatto delle emissioni, visto che abbiamo la raffineria, l’ex Ilva, fino a poco fa il cementificio. Questo apporto di energia verde è da considerare positivo”, ha aggiunto.

Sul piano occupazionale, in realtà, non sono mancate alcune contestazioni. Il motivo ce lo spiega lo stesso Bechis. “Un impianto simile – ha puntualizzato – non porta molta occupazione. L’ha portata nei 4-5 mesi di realizzazione, nel senso di impiantare i pali e rendere il sito operativo. Una volta che il parco è a regime, l’occupazione riguarderà solo le aziende alle quali Renexia si rivolgerà per la manutenzione e chi, per via marittima, dovrà portare gli esperti a fare manutenzione sui pali”.

Le turbine cinesi

Tornando alla Cina, l’unica impronta cinese sul parco riguarda “una banale fornitura industriale”. “Non so se questo possa rappresentare una sorta porta di ingresso cinese nel porto di Taranto, ma dubito fortemente”, ha dichiarato ancora Bechis. “Tanto per cominciare, per 49 anni, il porto di Taranto, o meglio la parte principale, dove troviamo il traffico dei container, è gestito da una società turca (Yilport ndr). È difficile che in questo periodo, a meno di loro esigenze aziendali, i turchi possano cedere tutto ai cinesi”, ha concluso il giornalista.

I fatti, dunque, sono che a partire dal 2019 è in essere una concessione di 49 anni riguardante il molo polisettoriale che coinvolge una società turca. In precedenza, il traffico di container era gestito da Evergreen, una società di Taiwan. Adesso l’interesse della Repubblica Popolare sembra essere sopito. E le turbine cinesi presenti nel parco eolico di Taranto danno l’impressione di non avere niente a che fare con la Nuova Via della Seta cinese. Al contrario, non è da escludere che Beleolico possa essere considerato da Pechino una sorta di esperimento per tentare l’ingresso nel mercato europeo delle turbine eoliche.