Home Economy Il lavoro rende poveri. Il Ministero: indigente un occupato su dieci

Il lavoro rende poveri. Il Ministero: indigente un occupato su dieci

Il lavoro rende poveri. Il Ministero: indigente un occupato su dieci

Lavorare non basta per sfuggire alle maglie della povertà, soprattutto in Italia. È quanto emerge dalla relazione del gruppo “Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa”, istituito dal Ministero del Lavoro. Nel nostro Paese un lavoratore su dieci è povero e circa un quarto ha una retribuzione individuale bassa. Stando a quanto riporta il documento, in Italia la piaga è più marcata rispetto al resto d’Europa: nel 2019 era povero l’11,8% dei lavoratori italiani, contro una media europea del 9%.

Lavoro e povertà: la task force di sette economisti

Dietro il rapporto del Ministero – di cui un compendio è stato pubblicato da La Voce e Menabò di Etica ed Economia – c’è il lavoro di una task force di sette economisti: Andrea Garnero dell’OCSE; Silvia Ciucciovino, ordinaria di diritto del lavoro a Roma Tre e consigliera del CNEL; Romolo de Camillis, direttore generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del lavoro; Mariella Magnani, professoressa di diritto del lavoro a Pavia; Paolo Naticchioni, dell’INPS e professore all’Università Roma Tre; Michele Raitano, docente di politica economica alla Sapienza; Stefani Scherer, docente di sociologia a Trento; ed Emanuela Struffolino, ricercatrice dell’Università di Milano. Il Gruppo di lavoro ha presentato al ministro Orlando un’analisi del fenomeno e un pacchetto di proposte di riforma per contrastare il fenomeno della povertà lavorativa.

Per sfuggire alla povertà non è sufficiente avere un lavoro

Dal documento emerge in maniera evidente come non sia più sufficiente avere un lavoro per sfuggire alla soglia di povertà. La povertà lavorativa non è solamente legata ai salari bassi: è il frutto di disuguaglianze sistemiche su cui incidono fortemente la situazione familiare, le politiche attive e di redistribuzione dello stato e le tempistiche con cui un lavoratore è impegnato.

Chi è povero secondo i parametri dell’Unione europea

L’Unione europea considera “povero” (Iwp, in-work poverty) chi è occupato per almeno sette mesi all’anno e vive in una famiglia con reddito inferiore al 60% della media nazionale. Il Gruppo del Ministero del Lavoro italiano ha scelto di prendere in considerazione anche lavoratori impiegati per meno di sette mesi, mettendo così in evidenza la relazione tra salario basso e contesto di provenienza. Un’altra indagine di qualche anno fa dell’Ue (il Silc – Statistics on Income and Living Conditions, Statistiche su Reddito e Condizioni di Vita) ha stimato un’incidenza ancora maggiore della povertà lavorativa sui nuclei familiari a basso reddito.

Lavoro e povertà: rischio più diffuso tra gli uomini

Viste le difficoltà del mercato del lavoro femminile, potrebbe sorprendere che il rischio di povertà lavorativa sia maggiore tra gli uomini (14%) che nelle donne (12%); in realtà, è dovuto al fatto che le donne siano spesso il secondo percettore di reddito. L’incidenza per le famiglie monoreddito è molto maggiore: 22% contro il 7% di quelle con due percettori. A livello individuale, i lavoratori sotto il 60% della retribuzione nazionale sono il 16% degli uomini e il 28% delle donne.

Povertà, le contromisure dello Stato: “80 euro” e reddito di cittadinanza

Lo Stato con il sistema fiscale e di redistribuzione del reddito è un attore determinante nel ridurre il rischio di bassa retribuzione, ma non riesce ad incidere in maniera sufficiente nel lavoro autonomo o parziale.

In questi anni di aumento della povertà lavorativa, le uniche iniziative introdotte con l’intento dichiarato di aumentare i salari medio-bassi sono stati i famigerati “80 euro” – anche se hanno le criticità di basarsi sul reddito individuale e senza coinvolgere quelli talmente bassi da essere incapienti per il fisco – e il reddito di cittadinanza.

Lavoro e povertà, le cinque proposte degli economisti

Il gruppo di economisti ha dunque presentato al ministero del Lavoro cinque proposte per sostenere i redditi individuali e familiari. Per prima cosa, si propone di introdurre un salario minimo – sia esso frutto di estensione dei contratti collettivi principali oppure introdotto per legge. Occorrerà poi potenziare le operazioni di vigilanza da parte dell’amministrazione pubblica con la creazione di banche dati per imprese e lavoratori. La terza proposta è l’adozione di un “trasferimento a chi lavora”: un unico strumento per il sostegno ai redditi bassi, in grado di assorbire gli “80 euro” che al momento sono un bonus dipendenti e la disoccupazione parziale. Si dovranno poi stimolare le aziende a fornire adeguamenti salariali, tramite incentivi, sanzioni ai datori di lavoro e una massiccia campagna d’informazione sui benefici dell’assestamento. Da ultimo, gli economisti invitano il Ministero a promuovere una revisione dell’indicatore Ue di povertà lavorativa, allargando la platea a tutti coloro che sono occupati almeno una volta in un anno e ai redditi individuali.

Esperti e Ministero concordano sul fatto che un intervento congiunto che sappia prendere insieme le cinque proposte potrebbe garantire un grande balzo in avanti verso un lavoro dignitoso e non più povero.