Home Economy Il fallimento WeWork conferma che il coworking ha un grande futuro alle spalle

Il fallimento WeWork conferma che il coworking ha un grande futuro alle spalle

Il fallimento WeWork conferma che il coworking ha un grande futuro alle spalle

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Il coworking è un sistema in crisi e che presto potrebbe lasciare spazio ad altre concezioni di uffici e di spazi per il proprio lavoro. Il fallimento di WeWork rappresenta solo l’esempio più lampante delle crepe oramai irreversibili nel settore. Oggi molti professionisti cercano, oltre alla condivisione, anche uno spazio proprio ed esclusivo: a confermarlo alcuni lavoratori autonomi sentiti da TrueNews

Dal boom di inizio secolo alla crisi subentrata appena pochi anni dopo: la parabola del coworking sembra aver vissuto oscillazioni tanto profonde quanto veloci. La notizia del prossimo fallimento di WeWork, la società che negli Usa ha contribuito a lanciare il modello degli spazi condivisi per il lavoro dei professionisti, non è legata unicamente alle sorti di quella singola azienda. Al contrario, appare la trasposizione sul piano economico della più generale crisi del sistema del coworking. In poche parole, il crollo di WeWork non è mero frutto del caso. E la crisi del settore non riguarda solo gli Usa, ma anche i vari Paesi dove il modello degli uffici condivisi si era sviluppato. Tra questi, non manca l‘Italia: “Il coworking – dichiara su TrueNews un professionista un tempo fruitore del servizio – non concede spazi propri e oggi, al contrario, chi lavoro ha bisogno di sentire come proprio un determinato locale”.

WeWork si appella al Chapter 11

Il dossier che sta creando un vero e proprio terremoto nel mondo del coworking, riguarda senza dubbio la sorte segnata di WeWork. La società, con un portafoglio composto da centinaia di locali sparsi in tutto il mondo e attiva soprattutto a New York, si è appellata al Chapter 11. Si tratta di una procedura di insolvenza prevista dal codice statunitense per le aziende in difficoltà. Corrisponde, come sottolineato da Wall Street Italia, a un piano per il risanamento dei conti quando oramai l’azienda si avvicina a una crisi irreversibile.

La notizia della richiesta del Chapter 11 è arrivata dopo giorni di indiscrezioni circa le difficoltà di WeWork di mandare avanti le proprie attività. Almeno negli Usa e in Canada. In Italia, come ad esempio sottolineato su Linkedin da Piero Martani di Stella Workspace, l’azienda fa registrare numeri in crescita. Ma questo è da ricollegare a specifiche dinamiche relative al nostro Paese e, in particolare, alla situazione del lavoro a Milano.

A New York, epicentro di quella rivoluzione del coworking iniziata tra il 2005 e il 2010, molti uffici sono oggi vuoti oppure poco frequentati. Il costo dei canoni per WeWork è diventato insostenibile e sta pesando e non poco sulla probabile bancarotta. Se un fenomeno inizia a estinguersi lì dove si è generato, vuol dire allora che è nel pieno della fase discendente della sua parabola. Per questo è impossibile slegare la crisi di WeWork con quella dell’intero settore del coworking.

“Il professionista ha bisogno di spazi tutti per sé”

Eppure quando il mercato è esploso, si è iniziato a parlare di ufficio e di lavoro del futuro. Un futuro però che, nel giro di meno di due decenni, sta già diventando passato. Certo, a ben guardare si potrebbe facilmente dire che sul coworking ha pesato e non poco l’effetto della pandemia. Con il covid si è sviluppato lo smart working e il lavoro da casa, circostanze senza dubbio sfavorevoli allo sviluppo ulteriore del coworking. Ma le prime avvisaglie di crisi per WeWork, come spiegato da molti quotidiani Usa, sono arrivate nell’estate del 2019. Prima cioè dell’avvento del virus da Wuhan.

Il sistema era evidentemente destinato a mostrare le proprie crepe. TrueNews ha chiesto ad alcuni professionisti il motivo dell’abbandono dei posti condivisi negli uffici. Come detto, in Italia WeWork non è in crisi e il coworking ancora non sembra essere in fase del tutto calante. Ma questo solo perché il sistema degli spazi condivisi è arrivato dopo e, conseguentemente, quella fase calante già registrata negli Usa deve ancora mostrare i propri effetti dalle nostre parti.

Lo spazio del coworking che non c’è

Ad ogni modo, le indicazioni provenienti dal nostro Paese possono essere interessanti per comprendere lo stato di salute del settore. Appare ad esempio importante per un lavoratore autonomo avere uno spazio proprio: “Io ho frequentato prima e dopo la pandemia uno spazio coworking a Palermo – dichiara Alberto, un architetto del capoluogo siciliano – i primi tempi ero spinto ad andare dall’entusiasmo della novità, ma poi ho deciso di tornare a casa a prescindere dal Covid”. A lui, come ad altri professionisti, mancava ad esempio la possibilità di avere un semplice archivio: “Avevo bisogno – ha continuato l’architetto – di un punto dove mettere le mie ricevute, i miei documenti. Il mio luogo di lavoro si era sdoppiato: nell’ufficio coworking disegnavo, ma poi se avevo bisogno di consultare cartelle, documenti o ricevere qualcuno, dovevo andare a casa”.

Discorso analogo anche per chi ha usufruito degli spazi condivisi in qualità di giornalista free lance: “Se viaggi molto e trovi un appoggio nella città da cui passi – ha sottolineato un collega sentito da TrueNews – il coworking è l’ideale. Ma hai sempre bisogno poi di un tuo spazio, una tua esclusiva base di appoggio”. L’unico servizio attualmente molto apprezzato in Italia riguarda la possibilità di organizzare, all’interno degli spazi condivisi, meeting sia aziendali che aperti al pubblico: “Ordini professionali oppure associazioni chiamano spesso per avere una sala dove ospitare eventi”, dichiara a TrueNews il gestore di uno spazio coworking di Catania.

Non è un caso, andando a guardare i dati dell’italiana Talent Garden, se nel 2022 i costi per la società anch’essa impegnata nel settore del coworking siano saliti soprattutto nel ramo dei dispositivi per l’allestimento delle meeting room.

Dalla pandemia alla crisi del coworking, quale sarà l’ufficio del futuro

L’impressione è che oggi si assista a una generale richiesta di equilibrio tra la necessità della flessibilità e quella di avere spazi propri. Sparita l’idea dell’ufficio come mero luogo di lavoro quasi asettico in cui rimanere per svariate ore al giorno, oggi sta sparendo anche l’idea dell’ufficio come mero spazio da vivere solo per momentanee esigenze e solo in condivisione con altri. La via di mezzo è probabilmente rappresentata dall’organizzazione di strutture in grado di coniugare spazi esclusivi e riservati con spazi invece destinati ai servizi e alla convivialità. La pandemia ha solo accelerato la crisi del coworking. Prima della pandemia si erano sviluppate, soprattutto negli Usa, diverse concezioni del luogo di lavoro. “L’ufficio – ha scritto ancora Pietro Martani – deve cambiare in relazione alla natura del lavoro creativo, deve supportare innovazione e produttività, divenire flessibile, attraente, collaborativo”. Un mix che sembra impossibile da trovare in semplici spazi condivisi.