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European Chips Act: la sfida di Bruxelles nella guerra dei semiconduttori

European Chips Act: la sfida di Bruxelles nella guerra dei semiconduttori

Rafforzare la sovranità tecnologica, puntare su una maggiore indipendenza economica e smarcarsi il più possibile dalle tensioni internazionali. L’Unione europea scende in campo nella guerra dei semiconduttori, e lo fa lanciando lo European Chips Act. Il piano europeo sui chip, che al momento è ancora una proposta, prevede di mobilitare oltre 40 miliardi di euro tra investimenti privati e pubblici, creare un fondo ad hoc per i suddetti finanziamenti e allentare le misure relative agli aiuti di stato dei Paesi membri dell’Ue. Il grande obiettivo finale del progetto, al netto di facilitare la transizione digitale e quella verde, consiste nel raddoppiare, da qui al 2030, la produzione di semiconduttori “made in EU”, arrivando a coprire una quota di mercato globale pari al 20%. La strada da fare è tanta e in salita, visto che al momento Bruxelles ha tra le mani una piccola fetta di torta che vale appena il 9%, e che i pezzi più grandi spettano a Stati Uniti, Cina, Taiwan e Corea del Sud.

Microchip: un affare geopolitico di primaria importanza

Che i microchip diventassero un affare geopolitico delicatissimo era nell’aria da almeno un paio di anni. La pandemia di Sars-CoV-2 ha semplicemente accelerato i tempi. L’interruzione prolungata delle catene di approvvigionamento globali causata dall’emergenza sanitaria ha paralizzato, tra gli altri, anche il settore dei semiconduttori. In Europa abbiamo così assistito al congelamento, più o meno parziale, di interi settori dalle uova d’oro – dall’automotive al più banale mercato dei videogame – costretti a stoppare le loro produzioni per carenza di chip.

Il motivo è semplice: la quasi totalità dei semiconduttori necessari nella costruzione di automobili, smartphone, tablet e Playstation, ma anche di strumenti militari e tanto altro ancora, proviene dall’Asia. E così, in parte per i problemi logistici derivanti dal Covid-19, tra porti bloccati e attività sospese, e in parte per la guerra commerciale in atto tra Cina e Stati Uniti – ossia due dei maggiori produttori di semiconduttori – le aziende Ue si sono ritrovate a secco di microchip.

Guerra dei semiconduttori, le implicazioni per l’Italia (e l’Europa)

Il piano di Bruxelles, se sfruttato a dovere, potrebbe rilanciare l’Italia nella partita europea dei semiconduttori. Il motivo è semplice: poter contare su una adeguata produzione di microchip ha ripercussioni sull’autonomia nazionale inerente a vari settori, dal cloud all’industria passando per la difesa. A maggior ragione per un Paese come l’Italia, uno Stato “di trasformazione” che, in caso di grave penuria di semiconduttori, non solo si troverebbe a fare i conti con il blocco di numerose filiere strategiche, ma anche con la necessità di acquistare i chip da altri Stati.

Gli stabilimenti europei più importanti dove vengono prodotti i microchip stanno quindi cercando di farsi largo in un mercato appannaggio di pochi intimi, tra cui la taiwanese TSMC (che controlla il 54% delle quote mondiali), la sudcoreana Samsung e la statunitense Intel. Citiamo le tedesche Infineon e Siltronic, le olandesi NXP Semiconducteurs e ASML, l’italiana Lfoundry (in Abruzzo ma controllata dalla Hong Kong Sparc Semiconductor Hk Limited e dalla cinese Wuxi Xichanweixin Semiconductor) e la società italo-francese ST Microtonics. Quest’ultima, nata in seguito alla fusione tra la francese Thomson Semiconducteurs e l’italiana SGS Microelettronica, ha i suoi principali stabilimenti italiani nella Brianza.

European Chips Act: opportunità e sfide per le imprese italiane

In generale, possiamo dire che lo European Chips Act offre alle aziende più lungimiranti – non solo italiane – i mezzi per partecipare a una corsa geopoliticamente rilevante ma, allo stesso tempo, le mette di fronte a colossi dal peso massimo. Da questo punto di vista, è interessante sottolineare l’intenzione dell’Ue di procedere con la creazione di Mega Fab sul territorio europeo, da finanziare mediante sovvenzioni pubbliche e pensate per dare vita a campioni industriali da opporre ai grandi nomi statunitensi e asiatici. E l’Italia dovrà spingere per non perdere occasioni del genere.

Semiconduttori, che cosa prevede lo European Chips Act

Lo European Chips Act, adottato dalla Commissione l’8 febbraio 2022, intende implementare l’ecosistema europeo dei semiconduttori. È costituito da una comunicazione, che illustra la strategia dell’Ue e la logica alla base del Chips Act, una proposta di regolamento e una raccomandazione agli Stati membri.

Tre, dunque, sono i suoi componenti principali: l’iniziativa Chips for Europe, per sostenere lo sviluppo e l’innovazione su larga scala inerente al mercato dei chip; un nuovo quadro pensato appositamente per attrarre investimenti su larga scala nel panorama europeo; e creare un meccanismo oliato capace di coordinare i vari Paesi Ue e la Commissione europea, così da monitorare gli sviluppi del mercato e anticipare eventuali crisi.

Tutto dovrebbe ruotare attorno a molteplici obiettivi strategici, in parte anticipati, tra cui la ricerca di una leadership tecnologica e la produzione di chip avanzati, tali da ridurre sempre di più la dipendenza di Bruxelles dal resto del pianeta. Scendendo nei dettagli, per quanto riguarda i finanziamenti 12 miliardi di fondi pubblici – equamente suddivisi tra le casse del bilancio comune Ue e dai governi nazionali – andranno a puntellare ricerca e sviluppo, in aggiunta ai 30 miliardi previsti da bilanci nazionali e Pnrr e ai 5 miliardi di un fondo ad hoc dedicato alle start-up.

Capitolo sostegno pubblico. Il quadro immaginato dall’Ue consente il sostegno statale per due nuovi tipi di impianti di produzione di chip: gli Open EU Foundries, che dedicherebbero una parte significativa della loro capacità manifatturiera alla produzione per altri attori industriali, e le cosiddette Strutture di produzione integrate, che, al contrario, progetterebbero e produrrebbero chip per i propri mercati.