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Google, causa da 2,1 miliardi degli editori: cosa vogliono (e perché hanno ragione)

La causa da 2,1 miliardi degli editori contro Google: cosa vogliono (e perché hanno ragione)

Perchè leggere questo articolo?  Trentadue gruppi editoriali europei guidati da Axel Springer fanno causa a Google per 2,1 miliardi di euro. L’accusa è abuso di posizione dominante nel mercato pubblicitario online, che ha reso il mercato meno competitivo danneggiando economicamente gli editori.

Il gigante Google è di nuovo sotto attacco. E’ passato solo un anno dallo storico processo intentato dal governo americano per abuso di posizione dominante nel settore della ricerca online. Adesso l’azienda tecnologica deve far fronte a nuovi oppositori. Sono i 32 editori europei che mercoledì 28 febbraio hanno intentato una causa contro Google, chiedendo 2,1 miliardi di euro di risarcimento per pratiche scorrette in pubblicità digitale. La mossa è il culmine di un’insofferenza da parte degli editori iniziata da tempo. Da anni, ormai, vedono diminuire i loro ricavi a causa del crescente monopolio delle Big Tech nel mercato pubblicitario. E Google, in questo campo, domina su tutti.

L’accusa degli editori: “Il dominio di Google ci affossa, mercato poco competitivo”

Tra Google e gli editori non scorre buon sangue. Sia per l’uso che l’azienda fa dei contenuti dei siti di informazione per proporre anteprime sul proprio motore di ricerca, sia per le tariffe e le commissioni che applica ai sistemi pubblicitari che gli stessi editori utilizzano. Google infatti è la più grande piattaforma per la pubblicità online e le sue decisioni su commissioni e tariffe influenzano l’intero settore. Proprio la posizione dominante da parte della big tech americana starebbe danneggiando gli editori europei, che avrebbero subito perdite consistenti a causa di un mercato poco competitivo. Senza la cattiva condotta di Google, invece, le aziende del settore dei media coinvolte avrebbero pagato tariffe più basse per i servizi di digital advertising. Oltre ad ottenere ricavi pubblicitari significativamente più elevati, che sarebbero potuti servire per nuovi investimenti tesi a rinforzare il panorama editoriale europeo.

Niente di nuovo sotto il sole: la denuncia ha dei precedenti

La denuncia, presentata dallo studio Geradin Partners al tribunale di Amsterdam, coinvolge 32 editori provenienti da diversi Paesi europei. Italia esclusa. Tra loro, spiccano il tedesco Axel Springer e il norvegese Schibsted. Ma anche l’austriaco Krone, i gruppi belgi DPG Media e Mediahuis, la spagnola Prensa Iberica e la svizzera Ringier. L’azione legale è stata intentata in Olanda in quanto ritenuta giurisdizione chiave per le richieste di risarcimento danni antitrust in Europa. Inoltre, organizzare un’unica iniziativa legale ha evitato a ogni società di presentarne una nel proprio Paese.

A sostegno delle accuse, i legali degli editori hanno citato alcuni precedenti giudiziari che coinvolgono la big tech. Nel 2021, l’autorità per la concorrenza francese ha multato Google per 220 milioni di euro, obbligandola ad apportare dei cambiamenti al proprio business pubblicitario. Due anni dopo, anche la Commissione europea ha accusato la tech company di adottare pratiche anti-competitive. “La nostra prima preoccupazione è che Google possa aver usato la sua posizione di mercato per favorire i propri servizi di intermediazione”, dichiarò all’epoca il Commissario europeo per la concorrenza, Margrethe Vestager. Che aggiunse: “Questo potrebbe danneggiare non solo i concorrenti di Google ma anche gli interessi degli editori, aumentando al contempo i costi per gli inserzionisti”.

La replica di Mountain View: “Iniziativa speculativa e opportunistica”

La nuova causa contro l’azienda statunitense si posiziona tra due fuochi. Da una parte gli editori che faticano a sopravvivere, tra calo delle vendite di abbonamenti, diminuzione degli introiti pubblicitari e avvento dell’intelligenza artificiale. Dall’altra, anche il core business pubblicitario di Google sta affrontando una minaccia esistenziale nel passaggio ai chatbot di AI generativa. Comunque andrà finire, l’iter giudiziario si preannuncia piuttosto lungo. Google infatti ha sempre respinto le accuse di abuso della propria posizione dominante. In un commento definisce questa azione legale “speculativa e opportunistica”, sostenendo di collaborare “in modo costruttivo con gli editori di tutta Europa”. E annuncia l’intenzione di dare battaglia.

Ma come funziona il digital advertising di Google?

La società californiana ha sviluppato negli anni una grande varietà di strumenti tecnologici per la compravendita e la gestione della pubblicità online. Tra ad buying tools usati dagli inserzionisti per gestire le campagne pubblicitarie e piattaforme di gestione degli annunci per la monetizzazione dei siti web. Attraverso questi strumenti, Google detiene una quota di mercato significativa in vari settori della pubblicità digitale. Questo controllo del mercato potrebbe consentire alla società di influenzare i prezzi, limitare la concorrenza e ostacolare l’accesso di altri attori del settore.

Per mostrare la pubblicità sui loro siti, gli editori utilizzano una o più piattaforme che fanno da intermediarie. E che gestiscono tecnicamente e commercialmente la pubblicità. Un annuncio sul sito di un editore viene pagato da chi ha deciso di farsi pubblicità, l’inserzionista, ma l’editore riceve solo una parte del denaro perché la piattaforma trattiene una percentuale per il servizio offerto. Con le piattaforme più grandi come Google e Meta è quasi impossibile contrattare quella percentuale e molte altre politiche commerciali pubblicitarie.