Home Economy Auto, Sapelli: “Industria in smantellamento, non si è guardato oltre l’addio della Fiat”

Auto, Sapelli: “Industria in smantellamento, non si è guardato oltre l’addio della Fiat”

Auto, Sapelli: "Industria in smantellamento, non si è guardato oltre l'addio della Fiat"

Perché leggere questo articolo: Oltre il dibattito sul futuro della Panda, Giulio Sapelli si interroga sul futuro del settore industriale dell’auto. E arriva a sottolineare che il dubbio ormai è se sia possibile o meno dire che esista un comparto auto italiano.

Il professor Giulio Sapelli guarda al futuro dell’industria dell’auto italiana a valle dell’incontro tra Giorgia Meloni e Aleksandr Vucic, il presidente serbo, durante il quale è stato annunciato che Belgrado produrrà le Panda elettriche di Stellantis mentre a Pomigliano saranno ancora prodotte quelle tradizionali. “Il punto non è discutere dove si produrrà un modello piuttosto che un altro”, dice lo storico ed economista torinese a True-News. “Il dato di fatto”, aggiunge, “è che l’auto è un’industria in smantellamento in cui l’Italia non riesce a guardare oltre l’addio della Fiat dal nostro Paese”.

Professore, quindi a prescindere ormai è difficile parlare di un settore auto all’italiana?

“Difficilissimo. Anche in questo caso abbiamo a che fare con le decisioni di due governi sulla produzione di un modello di proprietà di un gruppo globalizzato a trazione francese con diramazioni americane. Non sono i serbi a rubarci la produzione della Panda. Ma l’Italia che ha abdicato a ogni disegno industriale sull’auto. E anche la scelta dell’elettrico in Serbia va in direzione di agganciare la produzione alle catene del valore internazionali”.

Si riferisce ai legami privilegiati tra Serbia e Cina?

“Sì, dato che la Cina e la Serbia hanno un forte interscambio e reciproci insediamenti industriali è chiaro che la produzione della Panda elettrica sarà in Serbia perché li arriveranno le batterie a basso costo prodotte dagli attori cinesi”.

E l’auto italiana?

“Ormai la realtà è evidente. Occorre chiedersi se per effetto delle scelte di Stellantis e degli Agnelli-Elkann si possa dire che esista ancora un’auto italiana. Il settore automotive non è stato al centro di alcun piano industriale negli ultimi anni. La cessione di asset strategici come Magneti Marelli è stata un’indicazione chiara. E se sicuramente Stellantis ragiona guardando l’Italia come secondaria, è altresì vero che negli ultimi anni non c’è stato alcuno sforzo nemmeno da parte dei governi italiani per inserirsi nei nuovi trend di produzione e innovazione”.

Settori in cui resta a guidare il gruppo la Germania…

“Sì, con una scelta molto pragmatica che da un lato spinge per esplorare industrialmente le nuove filiere dell’elettrico e dall’altro, però, di fatto con accortezza fa di tutto per rallentare e rendere funzionale l’inevitabilità della transizione green. Creando un modello duale in cui elettrico e auto a motore endotermico coesistono. Anche la scelta sugli e-fuels è stata dettata da una precisa logica di carattere industriale”.

Per l’Italia che spazio c’è?

“Da torinese che ha vissuto in città fino al 1980 ho ben memoria dell’epoca in cui la Fiat e l’auto non erano solo un polmone industriale ma anche e soprattutto una base innovativa. Dall’Ict alla robotica, sviluppata da Comau, l’auto è stato il laboratorio di applicazione di molte rivoluzioni industriali messe in campo nella pratica della produzione di massa. Ora questo sistema è stato smantellato con una tenacia che è paragonabile solo a quello con cui fu rimosso il polo tecnologico della Olivetti. Di cui perlomeno si può dire sia rimasta quantomeno un’intelaiatura.

Auto e non solo, da dove può ripartire l’industria italiana?

“Bisogna investire, investire e ancora investire. Con fondi pubblici e privati. Puntare su settori ad alta intensità di innovazione, capaci di creare occupazione e valore, sulle piccole multinazionali tascabili del quarto capitalismo, su filiere strategiche e tecnologie abilitanti. Fare delle imprese che producono e si muovono nell’economia reale il polo dello sviluppo, com’è sempre stato nel secondo dopoguerra. In questo piano l’automotive può rientrare se si inserirà in un trend complessivo di crescita e sviluppo. Ma dobbiamo pensare che anche ciò che era scontato ieri oggi non lo è più. E senza un disegno di politica industriale non basterà l’antica bandiera di un gruppo a far tenere nel Paese l’industria”.