Home Economy Accordi, fornitori e percentuali: la nuova mappa del gas in Europa (e in Italia)

Accordi, fornitori e percentuali: la nuova mappa del gas in Europa (e in Italia)

tetto al prezzo del gas ue

Perchè questo articolo potrebbe interessarti? L’Europa è alle prese con un cambiamento epocale: sostituire il gas importato dalla Russia con nuovi fornitori. Tracciare la possibile nuova mappa del gas europeo è fondamentale per capire quali saranno gli sviluppi economici futuri all’interno della regione. Per quanto riguarda l’Italia, il nostro Paese punta ad incrementare i flussi da Algeria, Libia e Azerbaijan, e scommette sull’Africa. Tra dubbi e (troppe) incertezze.

Dimenticare la Russia

Sostituire decine di miliardi di metri cubi di gas naturale provenienti dalla Russia con nuovi fornitori. Individuarli, battendo la nutrita concorrenza, e stringere con loro accordi sicuri. Sono questi i tre compiti principali, e urgentissimi, in cima all’agenda dell’Unione europea e dei Paesi maggiormente esposti alla ritorsione russa. Dall’Algeria al Qatar, passando per la Norvegia, si intravedono all’orizzonte possibili soluzioni per bypassare la ritorsione russa. Tra contraddizioni, speranze e incertezze, la mappa europea del gas sta cambiando forma. Ecco come.

La fisionomia della nuova mappa del gas europeo

La nuova mappa del gas europeo sta iniziando ad assumere una fisionima ben precisa. Basta dare un’occhiata ai dati della Commissione europea. Nel primo semestre del 2022 le importazioni di gas naturale dell’Europa dalla Russia hanno toccato il 26,3% (nel 2021 erano quasi il 40%). Tra i player extra Ue chiave troviamo la Norvegia (circa 25%), gli Stati Uniti (passati dal 7,2% al 16,8%), l’Uk (dal 6,4% all’11,9%) e l’Algeria (5,7%).

La nuova mappa del gas

Lo scorso 25 marzo, Ursula von der Leyen ha firmato un accordo con il presidente Usa Joe Biden per incrementare la fornitura di gas naturale liquefatto statunitense all’Ue. In un primo momento si parlava di 15 miliardi di metri cubi all’anno, anche se, di recente, l’industria statunitense dello shale gas ha fatto capire, almeno per questo inverno, di non essere in grado di salvare l’Europa con l’aumento delle forniture di petrolio e gas. Bruxelles si è affidata allora al Qatar, che, dal canto suo, mira ad aumentare la produzione annua della North Field East con la collaborazione di varie compagnie europee, come Eni, Total e Shell. L’incremento dovrebbe passare da 77 a 126 milioni di tonnellate annue.

Lo scorso 15 giugno è stato firmato un contratto con Egitto ed Israele. Non se ne conoscono i termini, anche se la quantità di gas israeliano importati dall’Ue dovrebbe approdare in Egitto per essere liquefatto, e da qui spedito verso il continente europeo. Altro fornitore chiave diventerà l’Azerbaigian. L’obiettivo è raddoppiare l’import europeo di gas, attraverso il TAP, fino a toccare almeno i 20 miliardi di metri cubi all’anno. Nell’estremo nord dell’Europa, la Polonia ha firmato un accordo con la Norvegia. Quest’anno Oslo dovrebbe produrre 122 miliardi di metri cubi di gas, l’8% in più rispetto al 2021. Piccola parentesi: è interessante notare come, tranne sporadici casi, i sistemi politici dei nuovi fornitori di gas europei non siano più democratici della Russia di Putin.

Le alternative dell’Italia

Nella Relazione sulle conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina nell’ambito della sicurezza energetica del Copasir vengono elencati i Paesi ai quali l’Italia dovrebbe attingere per rifornirsi di gas. Sorgenti alternative sono costituite in primo luogo da Algeria, Libia e Azerbaijan – tramite la rete di gasdotti esistenti – ma anche da Egitto, Qatar, Congo, Mozambico, Angola e Nigeria per quanto riguarda soprattutto il gas liquido, peraltro di produzione Eni. Più nello specifico, l’aumento delle forniture dalla Libia, si legge nel report, “si può avvalere della storica presenza dell’Eni” ma è chiaramente condizionato dal conflitto ancora in corso. Conflitto, si badi bene, in cui sono presenti, su fronti contrapposti, attori quali la Russia e la Turchia.

A proposito della Turchia, il Copasir sostiene che, in una prospettiva temporale non distante, Ankara possa diventare un grande hub per il gas nel bacino del Mediterraneo e candidarsi come alternativa al gas russo. Questo scenario riguarda quei gasdotti che potrebbero convogliare gas dal giacimento di Shah Deniz in Azerbaigian e dalle riserve del Leviatano al largo delle acque di Israele. “Per entrambi questi giacimenti il gas, per transitare in Europa, deve passare attraverso la Turchia, favorita dalla posizione geografica e dalla sussistenza di infrastrutture adeguate”, sottolinea il report. Oltre la rotta del gas azero appare concreta la possibilità di sfruttare anche il gas israeliano: se a questo avvicinamento con Israele si aggiunge anche quello con l’Egitto, è evidente l’ipotesi di realizzare un hub energetico tra Egitto, Turchia e Israele che coinvolge anche Cipro.

La vecchia mappa del gas

Nel 2021 l’Ue ha importato il 45,3% del gas dal Cremlino. A conti fatti, secondo l’Iea si tratta di oltre 380 milioni di metri cubi al giorno tramite gasdotto, ovvero circa 140 miliardi di metri cubi all’anno. Sempre nel 2021, l’Italia ha importato dalla Russia il 38,2% del gas che consuma (29,07 miliardi di metri cubi di gas naturale). L’eccessiva dipendenza russa è una spada di Damocle troppo evidente per essere allontanata senza colpo ferire. Per quanto riguarda l’Europa, tolta Mosca, gli altri fornitori hanno recapitato a Bruxelles soltanto le briciole. Il Qatar si è fermato al 4,9%, gli Stati Uniti al 6,6%, l’Algeria al 12,6%, la Norvegia al 23,6%. Il restante 7,1%, nei documenti della Commissione europea, rientra nella generica voce “altri”.

L’Italia importa dall’estero il 96% del gas che consuma. Il 90% proviene solo da cinque Paesi: Russia, appunto, Algeria (31%), Azerbaigian (10%), Qatar (9%) e Libia (4%). Seguono Stati Uniti (1%), Nigeria (1%) e la solita voce “altri” (cinque Paesi per un totale del 4%). Mosca è dunque il Paese leader dal quale abbiamo sempre importato gas. Vale però la pena soffermarci su un altro dato. Se nel 2012 la percentuale di gas russo importata da Roma si aggirava intorno al 30%, nel 2015 era salita al 44%. L’Italia, inoltre, in base ai dati del Mise del 2021, consuma 76,1 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Ne produce però appena 3,34 miliardi, estraendo appena il 4,4% del gas consumato. Togliendo la variabile Russia dal tavolo, a meno di un radicale cambio di strategia, il castello energetico europeo rischia di crollare in un batter d’occhio. Ecco perché servono nuovi fornitori e nuove strategie.

LEGGI IL REPORT SU COME L’EUROPA PUÒ SOSTITUIRE IL GAS RUSSO