Home Politics Caso Soumahoro, parenti serpenti: in politica il nemico più pericoloso è in casa

Caso Soumahoro, parenti serpenti: in politica il nemico più pericoloso è in casa

Aboubakar Soumahoro lacrime

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Il deputato di origini ivoriane Aboubakar Souhamoro, pur non essendo indagato, è sotto accusa per alcune presunte attività illecite svolte dalla moglie e dalla suocera nel settore dell’accoglienza. Non è il primo politico che potrebbe vedere la propria carriera minata a causa di un familiare. 

Aboubakar Soumahoro, il deputato di origini ivoriane eletto alle ultime elezioni nella lista di Verdi e Sinistra Italiana, è finito al centro delle polemiche per la presunta “allegra” gestione delle cooperative di accoglienza gestite dalla moglie e dalla suocera.

L’ex sindacalista Cobas, poi fondatore della Lega dei braccianti (evidente il richiamo a Giuseppe Di Vittorio) non è indagato. Da un video diffuso sui socialsembra non essere coinvolto nelle attività della consorte e della di lei madre. Un filmato che, a dirla tutta, gli si è ritorto contro: perché molti hanno considerato il suo vittimismo con tanto di lucciconi un po’ forzato.

Ma su Souamhoro ormai si è scatenata la caccia all’uomo, non solo da parte dei giornali di destra, ai quali non pare vero avere un’incarnazione del loro nemico ideale che racchiude in sé tutti i cavalli di battaglia della loro propaganda. Di colore, dalla parte dei migranti, di sinistra e soprattutto da quest’ultima elevato a santino. Ci si è messa anche Repubblica che è andata direttamente nelle campagne del Foggiano per farsi raccontare di quella volta che…

La carriera politica di Soumahoro già al capolinea

La carriera politica di Souhamoro (oggi un giornale è arrivato a intervistare un immigrato che denuncia che gli stivali che indossava nel primo suo giorno da parlamentare, il deputato non li abbia pagati) potrebbe già volgere al termine in tempi record. E‘ stato infatti convocato da Bonelli e Fratoianni per “chiarimenti”.

Non sarebbe la prima volta che un politico in Italia finisce impallinato non per motivi riconducibili a lui, ma per colpa di un familiare molto intimo. E vede la carriera stroncata.

Prima di Soumahoro è accaduto a Gianfranco Fini. Ex pupillo di Giorgio Almirante, aveva traghettato il Movimento sociale in Alleanza nazionale, quindi nel Pdl per uscirne dopo aver litigato con Berlusconi (“Che fai? Mi cacci?) e fondare Futuro e libertà.

Gianfranco Fini e la casa di Montecarlo

A mettere nei guai l’ex ministro, mentore politico dell’allora giovanissima Giorgia Meloni, che fece sedere come ministro della Gioventù nel governo Berlusconi nel 2008, fu la compagna Elisabetta Tulliani. Il Giornale, allora diretto da Alessandro Sallusti, scoprì l’esistenza di una casa a Montecarlo, ereditata dal Movimento sociale italiano (di cui Fini fu l’ultimo segretario) e acquistata a «prezzo di favore» dalla sua compagna e dal cognato, Giancarlo Tulliani, protetti da un paio di società offshore.

Per Fini ci fu la richiesta di rinvio a giudizio per concorso in riciclaggio nel 2018. Lui si difese: “Quando ho appreso, dalle indagini, che Elisabetta aveva ottenuto la metà del ricavato della vendita ovviamente mi sono molto dispiaciuto e arrabbiato. Lei mi ha confessato solo recentemente che, insieme a Giancarlo, nel 2008, avevano deciso di comprare quell’appartamento, e che, per evitare che la proprietà fosse di pubblico dominio, il fratello aveva appositamente costituito le società offshore Timara e Printemps».

Una circostanza che Fini non aveva riferito «nel primo interrogatorio di aprile per timore delle ripercussioni laceranti che tali affermazioni avrebbero potuto causare nel mio ambito familiare, soprattutto con riferimento alle mie figlie. Oggi però sono convinto che per affermare la mia onorabilità devo prescindere dalle mie vicende familiari, per quanto dolorose. Chiesi spiegazioni a a Elisabetta, mi disse che non sapeva da dove provenisse il danaro impiegato. Mi ha riferito che di tutto si era occupato il fratello Giancarlo. Se io avessi avuto, nel 2008, il minimo sospetto che dietro le società offshore ci fossero stati i due fratelli Tulliani, mai avrei autorizzato la vendita».

Il compagno della ministra Guidi

Nel 2016 tocca dimettersi alla ministra dello Sviluppo economico del governo Renzi, Federica Guidi. A fine 2014 era stata stata intercettata al telefono con il compagno Gianluca Gemelli: «E poi dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato, se è d’accordo anche “Mariaelena” (Boschi, ndr), quell’emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte, alle quattro di notte», dice Guidi al compagno.

La ministra Guidi si riferiva a un emendamento che il governo stava per inserire nella legge di stabilità relativo ai lavori per il centro oli della Total in contrada Tempa Rossa, a Corleto Perticara (Potenza). Allo sblocco di quei lavori Gemelli stesso, che guidava due società del settore petrolifero, aveva interesse.  Subito dopo aver parlato con Guidi, Gemelli telefona a un dirigente di una società petrolifera. E lo informa dell’emendamento, già bocciato una volta, per «sbloccare Tempa rossa: la chiamo – dice – per darle una buona notizia».

Anche De Mita teneva famiglia

Nel 2019 finiscono indagate ad Avellino anche la moglie e le due figlie dell’ex segretario della Dc ed ex presidente del Consiglio Ciriaco De Mita. Insieme ad altre sette persone, secondo la Procura di Avellino (le accuse erano, a vario titolo, quelle di peculato, riciclaggio, malversazione ai danni dello Stato e truffa aggravata). Secondo le indagini della avrebbero creato un vero e proprio “sistema” per distrarre i soldi pubblici, destinati all’assistenza delle persone diversamente abili attraverso una onlus.

La moglie di De Mita, Annamaria Scarinzi – nella sua qualità di presidente della onlus – viene  accusata di truffa per una serie di fatture per 817 mila euro che, secondo la Procura, sarebbero state pagate ad un bar e ad una società di informatica, senza che vi fosse alcuna corrispondenza con i servizi offerti. Alle due figlie dei coniugi De Mita sarebbero state invece liquidate fatture per consulenze ritenute dall’accusa inappropriate oltre che mai effettivamente portate a termine. Gli imputati si sono sempre dichiarati estranei a ogni addebito.