È una sentenza destinata a segnare la storia giudiziaria del Paese quella pronunciata dai giudici della Cassazione sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Con una decisione accolta da dichiarazioni forti e reazioni polarizzate, la Suprema corte ha confermato l’ergastolo per Paolo Bellini, ex terrorista di Avanguardia Nazionale, condannato per concorso nella più sanguinosa strage dell’Italia repubblicana, costata la vita a 85 persone e il ferimento di oltre 200 altre.
Le opposizioni istituzionali e sociali erano state serrate in un procedimento che ha visto la memoria della città e delle vittime scontrarsi ancora una volta con decenni di depistaggi, silenzi e controversie. Il verdetto, pronunciato dalla sesta sezione penale della Cassazione presieduta da Giorgio Fidelbo, chiude definitivamente una delle stagioni più oscure della Repubblica, ma sembra lasciare aperta la tensione civile e politica attorno alle responsabilità storiche e morali dell’attentato.
Strage di Bologna, tra terrorismo nero, servizi segreti deviati, coperture istituzionali
L’accusa, ricostruendo trame complesse tra terrorismo nero, servizi segreti deviati e coperture istituzionali, ha ribadito in aula come Bellini – killer a pagamento e militante della destra eversiva – abbia agito in concorso con elementi dei Nar, già condannati in via definitiva: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, oltre a Gilberto Cavallini anch’egli condannato all’ergastolo. Secondo i giudici di merito, tutto avveniva grazie ai finanziamenti di Licio Gelli e alle coperture dei servizi: “È provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la consapevole e premeditata partecipazione attiva del Bellini alla strage di Bologna”, hanno sintetizzato i magistrati nelle motivazioni della corte d’assise d’appello, che già l’8 luglio del 2024 aveva confermato il verdetto di primo grado.
Elemento cardine del procedimento contro Bellini è stato il riconoscimento, da parte della ex moglie, in un fotogramma estrapolato da un filmino amatoriale girato la mattina della strage da un turista tedesco: secondo l’accusa, era proprio l’ex militante di Avanguardia Nazionale ritratto nei pressi della stazione poche ore prima della “micidiale esplosione” che avrebbe provocato la “orribile strage”.
Il mosaico di responsabilità di una tragedia che ha lacerato l’Italia”
A poco più di un mese dal quarantaquinto anniversario dell’eccidio, si chiude dunque uno degli ultimi enormi capitoli del “mosaico delle responsabilità” di una tragedia che ha lacerato l’Italia per generazioni. Il percorso giudiziario che ha portato a questa sentenza definitiva – reso possibile anche dall’avocazione della Procura generale di Bologna, che evitò l’archiviazione del caso – è stato segnato da una battaglia aspra fra accusa e difesa. Gli avvocati di Bellini hanno reiterato i loro ricorsi, sostenendo l’insufficienza del quadro probatorio; la Cassazione ha invece ribadito come “le conclusioni della sentenza impugnata sono coerenti, una sentenza che non ha un approccio storiografico e il quadro probatorio è solido”, per citare la requisitoria del sostituto procuratore generale Antonio Balsamo.
“Questo giudizio rappresenta una importante occasione per dare attuazione a quel diritto alla verità che ha ricevuto un forte riconoscimento da parte delle Nazioni Unite, della Corte europea dei diritti dell’uomo e della nostra Corte Costituzionale”,
Antonio Balsamo, sostituto procuratore generale della Cassazione
Nel lungo elenco degli imputati e dei corollari processuali non sono mancate ulteriori conferme. La Suprema corte ha reso definitive anche le condanne per l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio (sei anni di reclusione) e per Domenico Catracchia, ex amministratore di condomini di via Gradoli a Roma, condannato a quattro anni per false informazioni al pubblico ministero “al fine di sviare le indagini”. Una dinamica che, nel racconto giudiziario raccolto nelle oltre 2.000 pagine di motivazioni della sentenza di primo grado, diventa il paradigma di un paese segnato da “depistaggi come regola, da piazza Fontana a Ustica”.
Intanto, già lo scorso gennaio, era diventata definitiva anche la condanna all’ergastolo per Gilberto Cavallini, ritenuto responsabile di aver fornito alloggio e supporto logistico a Mambro, Fioravanti e Ciavardini nelle ore immediatamente precedenti all’attentato.
Il clima attorno alla sentenza conferma una tensione ancora tutta attuale. In mezzo, la memoria delle vittime si intreccia a un giudizio severo sulla “stagione italiana delle stragi”: la convinzione, messa nero su bianco dal presidente dell’Assise Michele Leoni, che “quella di Bologna fu una strage di Stato”, in cui i Nar sarebbero stati “compromessi coi servizi segreti”. Una narrazione che, come sempre in questi casi, non trova l’accordo di tutte le parti in gioco e risulta ancora divisiva tanto nello spazio civile quanto su quello istituzionale.
Sul piano giudiziario però la partita si è chiusa con una raffica di rigetti per tutte le richieste della difesa. I giudici hanno sigillato per sempre la responsabilità penale di Bellini e degli altri imputati. Quello che resta aperto è l’interrogativo politico, storico e sociale sul ruolo avuto da settori dello Stato e da uomini dei servizi segreti in una delle più drammatiche vicende della nostra storia recente. Restano, sul binario, la polvere e lo sgomento di oltre duecento feriti, la tragedia mai davvero sanata di 85 vite spezzate, le parole di chi si gioca ancora oggi la battaglia pubblica della memoria e della verità.
Ancora una volta, dopo quarantacinque anni, il paese si ritrova davanti alle sue contraddizioni, tra il bisogno di giustizia e la difficoltá di ricomporre un passato pieno d’ombre. “I depistaggi sono stati la regola”, si legge nelle motivazioni: la sentenza di oggi aggiunge un tassello, ma lascia intravedere che la partita della trasparenza e della piena verità resta una sfida viva nell’Italia di oggi.