Home Primo Piano Lavoro in Italia: gli stipendi non aumentano, il malumore sì. Il DOSSIER

Lavoro in Italia: gli stipendi non aumentano, il malumore sì. Il DOSSIER

Lavoro in Italia: gli stipendi non aumentano, il malumore sì. Il DOSSIER

Dove sta andando il lavoro in Italia? Ha provato a dare una risposta esaustiva la Fondazione Di Vittorio con una inchiesta coordinata dalla Cgil nazionale che ha visto interpellato un campione di ben 50mila lavoratori. I risultati sono stati recentemente resi pubblici. POTETE SCARICARLI QUI e QUI. Ecco cosa raccontano.

Dall’inizio della pandemia lo stipendio è aumentato solo per il 10,5% dei lavoratori

Particolarmente rilevante la statistica relativa alle variazioni del reddito e dei tempi di lavoro dall’inizio della pandemia Covid. Solo il 10,5% dei lavoratori ha visto aumentato il proprio stipendio, mentre il 22,3% lo ha visto diminuire. Per il 67,2%, quindi per due lavoratori su tre, lo stipendio è rimasto uguale. Non proporzionali i cambiamenti per quanto riguarda le ore di lavoro: per il 28,5% dei dipendenti queste sono aumentate, mentre sono diminuite per il 10,4% del campione. Per il 61,2% dei lavoratori, le ore di lavoro sono rimaste le medesime.

Reddito: i numeri che evidenziano il gender gap

Restiamo sul reddito. Considerando quello relativo al 2021, il 20,7% dei lavoratori si colloca tra i 15mila ed i 20mila euro euro netti annui, mentre il 24,1% del campione dichiara tra i 20mila ed i 25mila euro. Quasi uno su dieci (8,8%) ha un reddito inferiore a 10mila euro; mentre il 13,9% si pone tra i 10mila ed i 15mila euro. Un 15,1% degli intervistati supera i 30mila euro. Ma emerge una chiara questione di genere: il 53,8% delle donne è concentrato nelle classi fino a 20 mila euro netti annui contro il 30,7% degli uomini. Incide la maggior diffusione del part time, ma le differenze salariali permangono anche a parità di ore.

“Stesso lavoro stesso salario, per annullare il gender gap. È ora di affermarlo con forza. L’inchiesta nazionale promossa dalla Cgil e coordinata dalla Fondazione DI Vittorio, fornisce ulteriore conferma del fatto che le donne lavorano con salari più bassi degli uomini. Il loro salario è falcidiato da part time e lavoro a termine, ma anche quando lavorano a tempo pieno e a tempo indeterminato guadagnano meno degli uomini. Non è più tollerabile che le donne, già gravate dal lavoro domestico e di cura, anzi, proprio per questo, siano confinate in settori marginali e sottopagati del mercato del lavoro, abbiano meno possibilità di carriera e meno possibilità di fare valere il loro titolo di studio. Che alle donne, insomma, non sia riconosciuto né lo stesso lavoro né lo stesso salario degli uomini”, ha commentato in proposito Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro nella segreteria Pd.

Il pessimismo dei lavoratori sul futuro: per il 68% ci saranno riduzioni del personale

L’indagine evidenzia un pessimismo diffuso tra i lavoratori rispetto alle prospettive future: il 68,6% degli intervistati ritiene che si andrà verso una riduzione del personale; il 17,8% che ci saranno delle delocalizzazioni e il 17,4% che si chiuderanno delle attività. Prospettive poco rosee anche sul fronte dell’innovazione: gli investimenti delle imprese in tecnologie, strumenti, prodotti e servizi sono stati per il 41% dei casi “poco o nulla”. Questo nonostante il 59% dei lavoratori si aspetti dalle innovazioni tecnologiche un miglioramento delle condizioni. Ma c’è anche un 33,8% che teme un aumenti dei ritmi di lavoro ed un 13,2% che ritiene che il proprio lavoro possa essere completamente sostituito dalla tecnologia.

Lo stress riguarda due lavoratori su tre

Ritmi e carichi di lavoro giudicati “eccessivi” interessano almeno un lavoratore su tre mentre per quanto riguarda i rischi per la salute pubblica, il 16,7% dei lavoratori deve sollevare “spesso” dei carichi pesanti e il 7,9% lavora “spesso” in condizioni di pericolo. Il campione evidenzia una compresenza di problemi fisici e psico-sociali causati dal lavoro: i due problemi più diffusi sono “mal di schiena e dolori articolari” (67,6% dei rispondenti) e “stress” (65,5%). Lo stress è un problema trasversale tra le professioni, anche se in misura differente: è maggiore nel lavoro impiegatizio (59,9%), nella vendita al pubblico (65,3%) e soprattutto nei servizi socio-sanitari e di cura (68,7%) ma interessa anche quasi la metà del lavoro operaio e tecnico (48,7%)

Smart working: piace ma lo pratica solo il 21% dei lavoratori

Tempi di lavoro: il 50% degli interpellati sostiene di non potere mai gestirli liberamente. Il regime in part-time è maggiore tra le donne (31,1%) rispetto agli uomini (6,9%). Ed il 33,2% è poco o per nulla soddisfatto della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, il 55,5% lo è abbastanza, l’8,9% molto (senza differenze significative tra donne e uomini). E lo smart working? Il 21% degli intervistati dichiara di lavorare da remoto. Di questi, quasi 6 su 10 lavorano da casa uno o due giorni a settimana, il 19% tre giorni a settimana e il 23,6% quattro giorni o più. Il 35,9% degli uomini e il 38,5% delle donne vorrebbe lavorare da casa (per lo più 1 o 2 giorni a settimana). Coloro che attualmente non lavorano da casa ma vorrebbero farlo sono il 18,4% Chi lavora da casa è generalmente più soddisfatto del proprio lavoro rispetto a chi non lavora da casa, in particolare considerando la conciliazione tra lavoro e vita personale.

Note metodologiche: chi ha partecipato all’inchiesta

Il questionario della Fondazione Di Vittorio è stato sottoposto a circa 50mila lavoratori. I questionari validi per l’analisi sono stati 31.0144. Il campione è risultato al 54,5% composto da donne. Quasi il 40% degli intervistati è nella fascia d’età 35-49 anni, altrettanti appartengono alla fascia 50-59 anni. Il 54% del campione è in possesso di un diploma il 33,9% ha anche una laurea. Risulta relativamente sovra-rappresentato il centro (30,7% del campione) e sottorappresentato il Sud (11,7%9, equilibrata invece la presenza di risposte dal Nord. La maggior parte dei rispondenti ha un contratto indeterminato full time (70,1%). I rispondenti sono per il 72,% occupati nel settore dei servizi, il 23,1% nell’industria, il 3% nell’agricoltura, l’1,4% nelle costruzioni. Un dato da sottolineare è che una percentuale rilevante del campione, ben l’82%, è iscritto alla Cgil. Questo perchè la distribuzione del questionario è avvenuta principalmente attraverso canali del sindacato.